L’eterno ritorno del diritto naturale

Hans Kelsen

Hans Kelsen

L’Osservatore Romano

martedì 25 settembre 2012, numero 39

A un anno dal discorso del Pontefice al Bundestag

di Miguel Delgado Galindo
(Sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici)

Nell’autorevole discorso pronunziato da Benedetto XVI al Bundestag, il Parlamento federale tedesco, il 22 settembre 2011 a Berlino, in occasione del suo terzo viaggio apostolico in Germania, il Papa volle affrontare la questione dei fondamenti del diritto negli Stati democratici, mettendo a confronto la ragione aperta al linguaggio dell’essere con la ragione positivista, e incalzando, al contempo, un dibattito pubblico sull’argomento.

Nel suo intervento, il Papa ebbe a citare il celebre filosofo del diritto Hans Kelsen (1881-1973). Nato a Praga, in seno a una famiglia ebrea, Kelsen è stato, senza dubbio, il giusfilosofo più influente del ventesimo secolo. Studiò giurisprudenza nella capitale dell’impero austro-ungarico, e frequentò le sedute del Circolo di Vienna, il cui approccio neopositivista contribuì a segnare il suo pensiero.

Kelsen insegnò prima presso l’università di Vienna e, successivamente, in quella di Colonia, fino all’avvento dei nazisti — la «banda di briganti» a cui si riferì il Papa, prendendo spunto di una citazione del De Civitate Dei, di sant’Agostino – nel gennaio del 1933, circostanza che lo portò a trasferirsi a Ginevra, dopo essere stato privato ingiustamente della sua cattedra universitaria. All’inizio della seconda guerra mondiale, Kelsen emigrò negli Stati Uniti, dove insegnò presso l’università di Harvard e, finalmente, in quella di California, a Berkeley.

Tra le numerose pubblicazioni di Kelsen, spicca per la sua importanza La dottrina pura del diritto (Reine Rechtslehre), pubblicata per la prima volta a Vienna nel 1934, nella quale egli sintetizzò il suo pensiero giuridico. È, questa, un’opera che ha avuto un influsso significativo nella cultura giuridica del secolo scorso, specialmente in Europa.

A proposito della risonanza di questo volume, mi si permetta un breve cenno autobiografico che ritengo rilevante: quando intrapresi gli studi di giurisprudenza, La dottrina pura del diritto era il testo fondamentale di riferimento del corso di Diritto naturale – ancora esistente, almeno formalmente, nel piano di studi vigente di giurisprudenza — e l’aula destinata alle matricole era intitolata proprio a Kelsen.

L’intento di questo giurista era quello di restituire al diritto il suo carattere di scienza, ristabilendo la purezza del suo oggetto proprio. Per raggiungere tale scopo, Kelsen sosteneva che il metodo giuridico deve liberare il diritto da qualsiasi legame con l’etica, la sociologia e la psicologia.

Egli riteneva che la giustizia è un ideale irrazionale, il cui contenuto non può essere determinato dalla conoscenza razionale. L’oggetto di studio del giurista è soltanto il diritto positivo, il quale di per sé non è giusto né ingiusto, ma semplicemente è quello che è stato prodotto secondo la procedura stabilita dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato.

La dottrina pura del diritto, secondo Kelsen, si occupa soltanto del diritto reale e possibile, senza alcun tipo di ulteriore valutazione assiologica. Soltanto agendo secondo questo principio il giurista rimane tale, e la sua attività può essere qualificata veramente come scienza.

Stando alla concezione kelseniana, il diritto appartiene all’ambito del dover essere (Sollerì), e non al piano dell’essere (San), cioè della natura, dalla quale invece, secondo la dottrina giusnaturalista – anche nota come dottrina del diritto naturale — il diritto può essere dedotto.

Questa dottrina ritiene che nella natura esista un ordinamento universale, immutabile e vincolante per tutti, preesistente al diritto positivo, che l’uomo può conoscere grazie alla ragione, e così distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Il diritto naturale non sarebbe una sorta di diritto confessionale della Chiesa cattolica, ma è alla portata di tutti, al di là della propria fede religiosa, giacché i suoi principi sono fondati appunto sulla ragione umana. Infatti, come affermava Benedetto XVI nel suo discorso al Bundestag, i teologi cristiani si sono appellati alla natura e alla ragione come fonti originarie del diritto, rifiutando il diritto religioso.

Negli anni Sessanta Kelsen pubblicò, anche questa volta a Vienna, la seconda edizione — notevolmente ampliata — della sua opera La dottrina pura del diritto. Quest’ultima pubblicazione rivela un evoluzione del suo pensiero giuridico su parecchi temi, evoluzione dovuta anche all’influsso della filosofia del diritto nordamericana.

Sebbene nei primi scritti di Kelsen il mondo del diritto risulti completamente scollato dal mondo dei fatti, posteriormente egli ammette che le norme giuridiche sono il risultato di un atto creatore della volontà. Pertanto, la natura potrebbe contenere delle norme giuridiche soltanto se una volontà le avesse inserite previamente in essa. Ciò presupporrebbe un Dio creatore, la cui volontà si introduce nella natura.

A questo proposito, Kelsen asserisce che è assolutamente vano discutere sulla verità di questa fede. Ma, si interroga Benedetto XVI: «Lo è veramente? — vorrei domandare. È veramente privo di senso riflettere se la ragione oggettiva che si manifesta nella natura non presupponga una Ragione creativa, un Creator Spiritus?».

Su tale assunto pare adeguato citare l’opera del giurista tedesco Heinrich Rommen (1897-1967) L’eterno ritorno del diritto naturale (Die ewige Wiederkehr des Naturrechts), pubblicata a Leipzig nel 1936. Rommen nacque a Colonia e studiò presso le università di Münster e di Bonn. Perseguitato anch’egli dal regime nazista a causa delle sue pubblicazioni e per il suo coinvolgimento in diversi gruppi cattolici tedeschi, nel 1938 Rommen si trasferì negli Stati Uniti, dove insegnò all’università di Saint Joseph (Connecticut), all’università di Saint Thomas (Minnesota) e, infine, alla Georgetown University (Washington, D. C.), dal 1953 fino al 1967, anno della sua morte.

Rommen riteneva che la sfera centrale del diritto risiede proprio nell’ambito dell’essere e che tra il livello ontologico e quello pratico esiste un nesso inscindibile. Di conseguenza, la ragione pratica non sarebbe altro che l’applicazione, in termini di dovere, del principio dell’essere.

Ad esempio, ogni uomo possiede il diritto alla vita per la sua stessa dignità di persona; da questo principio segue necessariamente che la vita per la sua stessa dignità di persona; da questo principio segue necessariamente che la vita umana è indisponibile, va difesa in ogni suo stadio e qualsiasi attentato contro di essa va punito dall’ordinamento giuridico statale. L’uomo, dotato di libera volontà, partecipa alla legge naturale tramite la sua ragione. E dunque, l’intera creazione non è altro che una partecipazione alla legge eterna.

La storia del XX secolo ha palesato chiaramente cosa accade quando la politica e il diritto si allontanano dalla legge di natura; il regime nazista e quello comunista ne sono esempi eclatanti. Un anno fa, il Papa fece presente ai parlamentari tedeschi che, nelle materie che riguardano la dignità dell’uomo, in uno Stato democratico di diritto, il principio della maggioranza – pur essendo necessario nell’adottate una decisione — non è sufficiente: il politico deve interrogarsi sulla giustizia di un dato provvedimento. E in questo processo viene in aiuto il diritto naturale.

II primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazione Unite nel 1948, recita: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». Sarebbe stato possibile che i membri dell’Assemblea generale dell’Onu, anche a larga maggioranza, avessero redatto questo articolo — come anche gli altri ventinove di questa dichiarazione di diritti — in senso negativo?

Assolutamente no; sarebbe stato completamente assurdo e impensabile. Perché? Perché sarebbe totalmente irragionevole e contrario alla natura e alla giustizia negare qualsiasi di questi diritti a ogni persona umana. Essi sono preesistenti a qualsivoglia dichiarazione di diritti, in quanto fondati sulla dignità umana.

Quando il diritto si dissocia dall’etica, immediatamente prendono il sopravvento ideologie totalitarie. A prima vista, sembrerebbe che nel XXI secolo le ideologie siano scomparse dal nostro pianeta; ma non e così. Al giorno d’oggi esiste un’ideologia più sottile e camuffata, portatrice di pseudo diritti, che è quella dell’egoismo morale, la quale tende a promuovere una legislazione — ad esempio in materie come la bioetica e la famiglia — che si adatti ai capricci etici di ogni momento.

Allo stesso modo, quando l’economia viene scissa dall’etica sociale, sono i più potenti della finanza mondiale a prendere in mano il governo (cfr. Benedetto XVI, Caritas in veritàte, nn. 36 e 45). Ma questa strada conduce al despotismo dei più forti nella società in ogni tappa della storia.

Il discorso di Benedetto XVI al Bundestag ha messo in evidenza che il diritto naturale coadiuva il politico nella sua ricerca di ciò che è giusto, che è appunto il compito essenziale della politica. È per questo che il diritto naturale ritorna, e ritornerà sempre. Dopo la sua fine che alcuni avevano preconizzato, non ci resta null’altro che ritornare proprio al diritto naturale.