Un fiore nella desolazione

Takashi NagaiL’Osservatore Romano n.14, martedì 5 aprile 2011

II Giappone di fronte alle prove antiche e nuove

di Ferdinando Cancelli

Un padre si aggira per le rovine fumanti di Nagasaki. Vicina a lui, in lacrime, la sua piccola figlia trova un fiore spuntato in quella desolazione: «Non piangere, vedi bene che il buon Dio non ci ha completamente abbandonati» le dice il papa. A raccogliere delicatamente e a riferire queste parole del dottor Takashi Nagai è padre Christian de Chergé, priore di Notre Dame de l’Atlas a Tibhirine, nell’omelia per l’Immacolata del 1993.

Pur riferendo un solo dettaglio della tragica e coraggiosa vita di un giapponese della prima metà del secolo scorso, il monaco dischiude uno spiraglio che ci aiuta a ricordare la figura di un cattolico giapponese e a comprendere meglio la compostezza di un popolo duramente provato allora come oggi.

Takashi, il cui nome significa «nobiltà», nacque nel 1908 vicino a Hiroshima da una nobile famiglia che lo alleva nel solco della tradizione shintoista. Approdato come il padre agli studi medici, troverà alla facoltà di medicina dell’università di Nagasaki un clima materialista e riduzionista. Sarà però il confronto con la morte della madre, discendente da un’antica famiglia di samurai, a imprimere alla sua vita un orientamento nuovo.

Ricordando infatti quei momenti trascorsi il 29 marzo 1930 seduto accanto al suo letto, scriverà: «Attraverso quell’ultimo penetrante sguardo mia madre demolì il quadro ideologico che io mi ero costruito. Questa donna, che mi aveva messo al mondo e allevato, questa donna che non si era mai concessa un momento di riposo nel suo amore per me, negli ultimi istanti della sua vita mi parlò molto chiaramente. Il suo sguardo mi diceva che lo spirito umano continua a vivere dopo la morte. Tutto questo veniva come un’intuizione, un’intuizione che aveva il sapore della verità».

Il Signore, ancora solo sull’uscio, busserà più forte e lo farà mettendo nelle mani di Takashi i Pensieri di Blaise Pascal: «Cosa dovrà mai essere questa fede cattolica — si chiede il giovane — perché il sapiente Pascal abbia potuto accettarla senza rinnegare la sua scienza?». Il suo cuore è ormai abitato e lo porterà a scegliere una famiglia cattolica per alloggiare durante i suoi studi: Sadakichi Moriyama e la sua sposa sono discendenti di una casata giapponese che ha saputo, durante lunghe persecuzioni, conservare accesa la fiamma della fede cattolica

Sarà la loro giovane figlia Maria Midori a invitare, la sera del 24 dicembre 1932, il giovane Takashi alla messa di mezzanotte: «Ho sentito Qualcuno vicino a me che non conoscevo ancora» scriverà qualche anno più tardi nel libro Una luce su Nagasaki il giovane ormai divenuto medico riferendosi a quella celebrazione. Battezzato il 9 giugno 1934 con il nome di Paolo in onore di san Paolo Miki, Takashi sposa nello stesso anno Maria Midori dalla quale avrà quattro figli: è ormai sordo dall’orecchio destro per le conseguenze di una severa otite e dovrà rinunciare alla medicina clinica per l’impossibilità di servirsi dello stetoscopio.

Il Signore infatti stava preparando per lui un avvenire diverso: si dedicherà, supportato costantemente dalla moglie, alla radiologia, branca della medicina che muoveva ancora i primi passi esponendo i suoi pionieri al pericolo costante delle radiazioni ionizzanti.

Influenzato anche dagli incontri con padre Massimiliano Kolbe — che tra il 1931 e il 1936 risiedeva in un sobborgo di Nagasaki ove aveva fondato un convento — Takashi diverrà un vero apostolo della carità per i suoi malati: «L’opera di un medico è di soffrire e di rallegrarsi con i suoi pazienti, di ingegnarsi a diminuire le loro sofferenze come se fossero le proprie». Da allora quest’uomo, che nei momenti di sconforto troverà nel rosario e nella Madonna la forza per andare avanti, percorrerà la strada della sofferenza e del servizio che lo porterà più vicino a Gesù e ai fratelli.

Quando il 9 agosto del 1945 una seconda bomba atomica viene sganciata sul Giappone, a essere colpita è proprio la città di Nagasaki, in particolare il quartiere nord di Urakami: il dottor Nagai, già dal giugno di quello stesso anno consapevole di essere malato di leucemia, alle 11.02 si trova al lavoro nel proprio servizio di radiologia situato a 700 metri dal punto di esplosione e viene seriamente ferito.

Solo l’11 agosto, dopo essersi dedicato con tutte le forze alla cura dei feriti, riuscirà a ritrovare le macerie della propria casa e i pochi resti carbonizzati della moglie, allora trentasettenne, Maria Midori. Accanto — scriverà — giaceva una corona del rosario.

Takashi, giunto in punto di morte, si ristabilirà dopo aver pregato intensamente padre Kolbe e vorrà essere tra i primi a riabitare quel quartiere di Urakami devastato dalla bomba atomica: farà ricostruire, con i materiali ricavati dalla propria casa distrutta, una piccola baracca dalla superficie pari a quella di due tatami e la chiamerà Nyokodo (che significa «come te stesso», dal precetto evangelico «ama il prossimo tuo come te stesso»). Vi abiterà con i due figli sopravvissuti Makoto e Kayano e con altri parenti.

Comincerà a dedicarsi ai moltissimi orfani di Nagasaki (per i quali fonderà anche una biblioteca) e a scrivere libri: tra questi, Le campane di Nagasaki che, insieme all’opera del figlio Makoto, // sorrìso delle campane di Nagasaki, è forse l’opera che più ha contribuito a diffonderne il messaggio di pace.

Il dottor Nagai morirà nel 1951, il primo maggio, mese dedicato a Maria. La folla che segue il suo funerale, nella cattedrale di Urakami, alla fine della cerimonia si mette in marcia per il cimitero distante un chilometro: i primi vi giungeranno quando molti non saranno ancora riusciti a uscire dalla cattedrale.

Ancora oggi nel quartiere è possibile passeggiare sotto alcuni dei mille ciliegi da lui piantati per far rifiorire la terra devastata, dove il suo Nyokodo è diventato il Nagasaki City Nagai Takashi Memorial Museum diretto dal nipote Tokusaburo Nagai.