La Scienza può indurre allarmismo (leggere attentamente i report ufficiali)

Tempi n.6 Giugno 2021

A smentire la narrazione del clima impazzito sono gli stessi dati dell’Onu e del governo americano. Peccato che siano accuratamente  seppelliti fra centinaia di pagine incomprensibili ai più. Parla Steven Koonin, ex esperto di Obama, rovesciatore di “certezze” catastrofiste

di Pietro Piccinini

indovinello. Chi è che dice che non esiste prova di un effetto dell’attività umana sugli uragani negli ultimi cento anni, che il ghiaccio della Groenlandia non si scioglie più rapidamente oggi rispetto a ottant’anni fa, che l’impatto economico del cambiamento climatico causato dall’uomo da qui alla fine di questo secolo sarà minimo? un pazzo negazionista? no. Lo dicono il governo degli Stati Uniti e l’Ipcc dell’Onu, lo stesso identico gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico che nel 2007 si è guadagnato un premio Nobel per la pace spargendo panico a piene mani sull’aumento dei fenomeni meteorolgici estremi, lo  scioglimento dei ghiacci e la rovina economica che ci aspettano se non cambieremo radicalmente il nostro modo di vivere così distruttivo.

Si scoprono queste e molte altre cose sorprendenti leggendo il libro di Steven  Koonin, fisico, membro della national Academy of Sciences, professore della new York university dove ha fondato e dirige il Center for urban Science and Progress, già provost del California institute of Technology (Caltech), in passato anche chief scientist del colosso petrolifero Bp nell’ambito delle rinnovabili, soprattutto ex sottosegretario per la Scienza al dipartimento dell’Energia dell’amministrazione Obama. insomma, uno che ha finito la scuola, prima di andarsene in giro a dare lezioni sul clima.

E che però da qualche anno si è messo a terremotare la narrazione catastrofista dominante e dunque passa per “negazionista” (così lo ha liquidato per esempio Repubblica, senza badare al fatto che i suoi commenti appaiano senza problemi su Wall Street Journal e New York Times).

La tesi di Koonin è che riguardo all’impatto dell’uomo sul clima del pianeta, ma anche riguardo alla portata stessa del cambiamento climatico, la scienza è molto meno unanime di quanto sostengano politici, media e tanti addetti ai lavori. E per dimostrarlo utilizza solo ed esclusivamente i report ufficiali delle massime istituzioni (soprattutto governo americano e Ipcc) e ricerche di indiscutibile autorevolezza.

Tutti documenti che – al netto delle sintesi per giornalisti e decisori, spesso furbescamente studiate per assecondare lo storytelling allarmista – contengono, magari seppellite tra centinaia di pagine illeggibili, moltissime esplicite ammissioni di ignoranza, incomprensione o disaccordo sull’interpretazione dei dati di realtà.

Domande senza risposta

Il paradosso è che non solo la scienza del clima dispone di pochissime certezze, ma sembra averne sempre meno: uno dei capitoli più interessanti di Koonin è quello che racconta come le decine di modelli climatici a cui si affidano i report ufficiali per produrre le loro valutazioni siano più discordi fra loro oggi di quanto non lo fossero in passato. Questo perché i modelli, spiega Koonin a Tempi, «negli anni hanno provato a includere sempre più processi, e quando aumenta la sofisticatezza, aumenta anche la probabilità di sbagliare qualcosa. Il punto è che si indaga su effetti molto piccoli sul sistema: la dimensione dell’influenza umana è dell’1 per cento.

Non sorprende che sia così complicato misurarla correttamente». Questo si coglie perfettamente nel libro, con abbondanza di numeri e infografiche: il nostro contributo alle emissioni di gas serra e di conseguenza al riscaldamento globale è talmente piccolo e recente, rispetto agli enormi processi e cambiamenti climatici millenari in atto nel pianeta, che appare davvero azzardato, se non presuntuoso in tutti i sensi, attribuirci con certezza la responsabilità totale del “clima impazzito”.

Azzerare le emissioni di gas serra potrebbe quindi avere un effetto risibile, a fronte di un costo – questo sì certo – esorbitante. È un problema di rischi e benefici.  Un esempio? «Ci sono attualmente 3 miliardi di persone, circa il 40 per cento della popolazione mondiale, che non beneficiano dell’energia necessaria a uno sviluppo dignitoso», ricorda Koonin.

«Come potranno averla in tempi ragionevoli senza fare ricorso ai combustibili fossili, che sono oggi la fonte di energia più conveniente e affidabile? Dal mio punto di vista è immorale negare loro questa possibilità. Se smettiamo subito di usare combustibili fossili per “salvare il mondo”, che ne sarà di questi 3 miliardi di uomini? Nessuno risponde mai a questa domanda».

Per Koonin non c’è una parte da sposare (se la prende anche con chi dice che il climate change è una bufala) e non c’è un complotto da smascherare; solo ideologia, conformismo, pavidità intellettuale da superare. Non ci sono da svelare cose che “nessuno vi dice”, al contrario: si tratta di dire con coraggio quello che davvero la scienza sa. E non sa. «Io sono stato molto attento a utilizzare nel libro esclusivamente dati provenienti dai rapporti ufficiali o da articoli scientifici basati su questi, tutte fonti di qualità, tutte verificabili in nota. Non sono io che parlo, è quel che dice la scienza ufficiale».

Previsioni e caveat

Dunque non si trova nel testo alcun dubbio sul fatto che «il pianeta si è riscaldato di circa 1,1 gradi dalla fine del XIX secolo»; o sul fatto che «l’influenza umana sul clima è aumentata significativamente, soprattutto per via dei gas serra, in particolar modo la Co2, che immettiamo nell’atmosfera utilizzando i combustibili fossili», ma anche «per via degli aerosol che emettiamo sempre bruciando combustibili fossili, e la cui influenza sarà spazzata via dalle acque: «C’è ancora molto dibattito su quali cambiamenti ci sono stati (se ci sono stati) o ci saranno nei fenomeni meteorologici estremi, su quanto rapidamente il livello del mare sta crescendo e quanto crescerà».

Il dibattito non è inventato da Koonin: si ritrova nei report ufficiali scrupolosamente riportati in nota nel libro, i quali «fanno previsioni ipotetiche su queste cose, ma ci mettono molti più caveat di quanto si sappia». Non a caso il saggio di Koonin si intitola Unsettled, che tradotto letteralmente in italiano farebbe pena ma in inglese evoca bene l’incertezza, l’irrisolutezza, il contrario dell’assertività unanime che viene spesso attribuita alla “Scienza”. Già, “La Scienza”: la chiama proprio così l’ex sottosegretario di Obama, con le maiuscole, a mo’ di provocazione verso quanti la immaginano come una monolito fissato per sempre.  

Bugie a fin di bene?

Uscite dalla penna di uno scienziato che frequenta le stanze dei world leaders, certe cose fanno effetto. Il principio guida di Unsettled è il rigore scientifico, ma non mancano incursioni polemiche e aneddoti da “dietro le quinte” assai istruttivi. Come il racconto del seminario guidato da Koonin nel 2014 per testare, su incarico della American Physical Society, lo stato dell’arte della climatologia.

Fu allora che il professore iniziò a prendere piena coscienza – restandone «scosso» – di quanto i modelli di studio utilizzati nei report ufficiali fossero incapaci di determinare con certezza l’impatto dell’uomo sul clima, di quanto contrastassero tra loro e con le osservazioni, tanto da richiedere pareri di esperti per «offuscare le lacune». Koonin si rese conto che – scrive – «i comunicati stampa e i sommari del governo e dell’Onu non riflettono correttamente i report stessi.

All’incontro si era creato un consenso intorno ad alcuni nodi importanti, ma non la compatta unanimità propalata dai media. Illustri esperti del clima (compresi gli stessi autori dei report) sono imbarazzati dal modo in cui certi media dipingono la scienza».

Ma se questo è il quadro, perché Koonin è un caso isolato? Perché non si vede una rivolta di massa degli scienziati contro il dogma catastrofista? «Penso che un fattore sia la pressione ambientale», spiega il professore a Tempi. «Se dici qualcosa che devia dalla narrazione, vieni messo da parte. È un fenomeno che ho visto. Un altro fattore è che alcuni scienziati pensano davvero che il clima sia in pericolo e che vada fatto tutto il possibile per salvarlo, compreso essere fuorvianti e sleali».  

L’infamia del negazionismo

A un certo punto, raccontando della reazione scomposta di vari colleghi alle sue prese di posizione, l’autore scrive: «Sembra che evidenziando quelle incertezze (della scienza, ndr) così chiaramente e pubblicamente, io abbia inavvertitamente violato una sorta di codice del silenzio, come l’omertà della mafia». Proprio così: mafia. «Mi rendo conto che per un lettore italiano è un’immagine forte», commenta Koonin con Tempi, ma richiama efficacemente l’effetto intimidatorio che riduce tanti colleghi al silenzio.

«Quanto a me», continua Koonin, «sono abbastanza avanti nella carriera perché tanti timori che avrei avuto nello scrivere questo libro se fossi stato più giovane non siano più preoccupazioni reali. Perderò qualche amico, non sarò più invitato a certe cene, qualcuno cercherà di infangarmi. E sia». Anche lui ha subìto qualche «pressione ambientale» a causa delle sue prese di posizione. In Unsettled c’è qualche episodio emblematico.

Dal collega che gli dà ragione su tutto ma obietta che sono «munizioni per i negazionisti» a quello che invoca il suo licenziamento in tronco. Per fortuna finora, dice Koonin, «la mia università ha coraggiosamente protetto la mia libertà accademica», ma chi segue le vicende americane sa che oggi c’è poco da scherzare quando nei campus partono campagne di questo tipo.

Intendiamoci, Koonin non è affatto contrario all’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra: a questo ha lavorato per Obama con «grande soddisfazione», e nel libro indaga anche altri modi per raffreddare il pianeta, perché non nega che si stia riscaldando. «Come potrei negare la scienza se quel che dico esce direttamente dai dati e dai report ufficiali?», si legge in Unsettled. «Trovo particolarmente ripugnante che invocare un dibattito aperto sia equiparato alla negazione dell’Olocausto, specie quando i nazisti hanno assassinato più di duecento miei parenti nell’Europa dell’Est».

Il “peccato” di apertura a Trump  Come ci è finito uno così nel novero dei negazionisti? Difficile dirlo. Parlando  con Tempi, l’unico “crimine di guerra” che commette è porre domande: «L’uomo dimostra da sempre un bisogno innato di sentirsi responsabile di tutto quello che accade, compresi i cambiamenti climatici. Già nella Bibbia troviamo Dio promettere buone piogge in cambio di obbedienza: è un modo di pensare in atto da ben prima che l’impatto umano sull’ambiente fosse significativo.

A maggior ragione la domanda è: fino a che punto i cambiamenti climatici che abbiamo visto nell’ultimo secolo sono insoliti? E se lo  sono, in quale misura vanno attribuiti agli uomini e non alla natura?». Forse il peccato originale di Koonin è stato non escludere a priori una eventuale partecipazione al team di accademici che l’amministrazione Trump stava tentando di mettere assieme per sfidare l’opinione comune sul climate change.

Per Koonin l’utilità di un “red team” – una squadra di esperti incaricati di stressare le conclusioni dei comitati scientifici ufficiali affinché ne emergano le debolezze – è un chiodo fisso almeno dal 2017. ne parla ampiamente nel libro e lo ripete anche a Tempi: «Vede, negli Stati uniti lo facciamo per tutti i problemi importanti, in particolare quelli che riguardano la sicurezza nazionale, l’ambito a cui è stato elevato il cambiamento climatico. Parliamo di spendere migliaia di miliardi di dollari a causa della “Scienza”: se toccasse a me decidere, vorrei ascoltare tutti i punti di vista per soppesare adeguatamente rischi e benefici».

Fatto sta che, prima di realizzare che il progetto era meno rigoroso delle attese e perciò di chiamarsi fuori, per un attimo Koonin ci aveva creduto, nel red team di Trump. grave errore: è così che per certa stampa è diventato “negazionista”. «Ma è sbagliato che la sola idea di una collaborazione con l’amministrazione Trump sia motivo di critiche», ribatte il professore che nel libro si dichiara democrat. «Anche Eric Schmidt, ex Ceo di Google, ha presieduto un’importante commissione nazionale sotto Trump, e Schmidt rispetto al cambiamento climatico è quello che si direbbe un “believer”, qualunque cosa voglia dire».  

I proclami assurdi della Casa Bianca La cosa più sorprendente scoperta studiando i report ufficiali sul clima?  «Direi la previsione dell’impatto economico del riscaldamento del pianeta, in generale e per gli Stati uniti», confessa Koonin. «nel libro ho riportato le stime: l’Ipcc ritiene che se la temperatura si alzasse di 3 gradi, ossia molto di più dell’obiettivo di 1,5 fissato dagli Accordi di Parigi, di qui al 2100 l’economia globale ne risentirebbe negativamente per – attenzione – il 2-3 per cento. E il rapporto più recente del governo americano dice praticamente la stessa cosa: un riscaldamento di 6 gradi, il quadruplo dell’obiettivo di Parigi, avrebbe un impatto negativo sull’economia del paese di circa il 4 per cento alla fine del secolo. Sa cosa significa in sostanza?

Che la crescita economica “perderebbe” un paio d’anni nei prossimi settanta. io quando l’ho capito sono trasecolato: sarebbe questa la “minaccia esistenziale per l’umanità” di cui ci parlano?». Guarda caso, “minaccia esistenziale per l’umanità” è il termine utilizzato da Joe Biden per giustificare il suo piano da duemila e rotti miliardi di dollari da investire in infrastrutture sostenibili, energia verde, decarbonizzazione.

«Ci sono molti ponti e strade negli Stati uniti che hanno bisogno di essere riparati. E va bene puntare a una riduzione delle emissioni», commenta Koonin. «Ma gli obiettivi che l’amministrazione ha stabilito, per esempio zero emissioni da generazione di energia elettrica entro il 2035, sono impossibili. Anzi distruttivi. Si calcola che per arrivare a zero emissioni entro il 2035 dovremmo chiudere da qui ad allora 11 impianti a combustibili fossili al mese. undici al mese: uno ogni tre giorni». insomma si capirà presto se Biden fa sul serio.

Aggiunge Koonin: «Va tenuto presente che il settore oil & gas vale l’8 per cento del Pil americano e impiega circa 10,5 milioni di persone. Come si intende fare i conti con tutto questo per arrivare a zero emissioni in 15 anni? Che distruzione, che terribile distruzione…».

Possibile che perfino il presidente degli Stati unita si accontenti della semplificazione catastrofista e non riesca a circondarsi di esperti capaci di prefigurargli rischi e benefici? «Conosco, anche personalmente, diversi scienziati del suo team», dice Koonin. «Alcuni sono ottimi studiosi. Penso che dovranno sudare molto per fornire consulenza climatica coerente con i proclami politici. Sempre che vogliano preservare la propria integrità, come credo».