Aborto, il conto salato: 5 miliardi per eliminare 6 milioni

La Nuova Bussola quotidiana

25 Maggio 2021 

A 43 anni dall’approvazione, una delle poche certezze è che la Legge 194 è stata un totale fallimento. Pro Vita & Famiglia presenta il primo studio sui costi economici e sociali dell’aborto: spesi circa 120 milioni all’anno. E con l’aborto domestico da RU 486 tornano anche gli aborti clandestini che si diceva di voler eliminare approvando la legge. Nasce un osservatorio permanente sull’applicazione della 194.

di Luca Marcolivio

A 43 anni dall’approvazione, una delle poche certezze, è che la Legge 194 è stata un totale fallimento. Avrebbe dovuto limitare, fino ad azzerarli, gli aborti clandestini e ciò non è avvenuto. Avrebbe dovuto promuovere la maternità, mentre, al contrario, ci troviamo nell’inverno demografico più drammatico che il nostro Paese abbia mai incontrato. L’aborto eugenetico, poi, è più che mai praticato. Sono queste e molte altre le provvisorie – e amare – conclusioni cui è pervenuto il primo rapporto sui costi di applicazione della Legge 194/1978.

Lo studio, presentato ieri mattina a Roma presso la Sala Giubileo della LUMSA, è stato redatto da un team di economisti, medici e giuristi, con il patrocinio della SIBCE (Società Italiana per la Bioetica e i Comitati Etici), dell’AIGOC (Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici), della Fondazione “Il Cuore in una Goccia” e di Pro Vita & Famiglia. Contestualmente, lo stesso gruppo di lavoro ha lanciato un Osservatorio permanente sull’applicazione della legge 194.

I numeri sono impietosi: dai 4,1 ai 5,6 miliardi spesi in 43 anni per far sopprimere 6 milioni di bambini nel ventre materno. Circa 120 milioni l’anno. Come spiegato da Benedetto Rocchi, professore associato al Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa, Università di Firenze, si tratta di «stime prudenziali perché i dati Istat sulle complicanze sono incompleti». In ogni caso, sono dati che dovrebbero finalmente «aprire un dibattito».

Gli aspetti fallimentari della Legge 194 sono molteplici, a partire dall’aborto clandestino che rinasce come “cripto-aborto”, grazie alla domiciliarizzazione della pratica favorita dalla Ru486. La Legge 194 ha quindi determinato problematiche di salute pubblica e demografiche.

L’aborto è anche una cartina di tornasole dei limiti della sanità pubblica, la quale, di anno in anno, «sta restringendo il suo perimetro». Alla luce di questi effetti controproducenti, si è domandato Rocchi, «perché finanziare l’aborto con i soldi dei contribuenti?».

L’aborto è da molti anni fuori dai radar del dibattito per svariate ragioni. Come sottolineato da Stefano Martinolli, Dirigente medico presso l’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina a Trieste, «è un tema scomodo per le persone comuni» che spesso sono direttamente coinvolte, «per i politici che temono un calo di consensi», mentre «per gli ecclesiastici è un tema divisivo».

È inoltre evidente, ha aggiunto Martinolli, «la correlazione tra aumento degli aborti e calo demografico». Circa il 15% delle gravidanze si conclude con una interruzione volontaria. Tutto concorre, quindi, a favorire una «mentalità denatalistica». È ormai tempo, ha affermato poi lo specialista, di abbandonare ogni tipo di «discussione ideologica e astratta sull’argomento e confrontarsi con il mondo reale». Basterebbe, ha osservato Martinolli, prendere spunto da taluni «blog al femminile», che fanno emergere tutti i drammi negati dai media mainstream.

La Legge 194, ha affermato da parte sua Filippo Maria Boscia, presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cattolici, «è iniqua perché viziata da alcuni inganni». In primo luogo, grazie all’aborto farmacologico-domiciliare, «quello che un tempo era documentabile oggi è diventato nascosto». Boscia si è quindi soffermato sulla sindrome post-abortiva, ascrivibile tra le «sindromi post-traumatiche da stress».

«La donna che abortisce – ha detto il ginecologo – si porta appresso un lutto che dura tutta la vita, conseguenza di una scelta non facile ma comunque tragica e traumatica». Quando fu approvata la Legge 194 fu accolta come una norma che avrebbe reso “sicuro” l’aborto: non è stato affatto così. Le conseguenze fisiche e psichiche dell’aborto sulla donna sono sia immediate che future, a dimostrazione che la donna è ben consapevole del fatto che «non le viene asportato un tumore ma le viene ucciso un figlio».

Entrando nello specifico dell’aborto farmacologico, il professor Boscia ha riferito delle complicanze legate in primo luogo all’«espulsione parziale, che costringe al ricovero e al raschiamento». Altre donne, a causa di «danni tubarici irreversibili, si ritrovano impossibilitate a portare a conclusione una nuova gravidanza».

Giuseppe Noia presidente dell’Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici e Direttore Hospice perinatale – Centro per le Cure Palliative Prenatali del Policlinico Gemelli, ha messo in luce la tragica decuplicazione dell’aborto eugenetico, sottolineando anch’egli le complicazioni legate all’aborto farmacologico. In questo scenario dove l’ipocrisia regna sovrana, «dov’è l’interesse per la salute delle donne?», si è domandato Noia.

Si pone dunque un problema formativo e informativo, che riguarda soprattutto le ragazze di oggi: «Se si ruba il loro futuro procreativo, si commette un delitto contro l’umanità. Se l’aborto viene presentato come unica soluzione, siamo davanti a qualcosa di antiscientifico e antiumano», ha concluso Noia.

Ha chiuso il giro di interventi, Francesca Romana Poleggi, docente di discipline giuridiche ed economiche e direttore editoriale del mensile Notizie Pro Vita & Famiglia, che ha lamentato la totale mancanza di aiuto da parte dello Stato nei confronti della maternità. Gli unici sforzi in tale direzione, ha detto Poleggi, arrivano dal volontariato. Tra le contraddizioni del sistema sanitario attuale, in epoca di pandemia: la minore cura di settori come quello oncologico, mentre «gli aborti non frenano», Poleggi ha quindi annunciato l’istituzione di un osservatorio permanente sull’applicazione della legge 194.

L’organo sarà composto dal gruppo di lavoro sul report presentato ieri, rimanendo però aperto ad enti, istituzioni e singole persone che vogliano aderire. L’Osservatorio fornirà un servizio necessario e dovuto alla collettività, considerando in particolare quanto sia importante la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale specie in questo momento in cui la pandemia ha imposto ingenti sforzi in termini umani e monetari.

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