Per salvare i delfini gli ambientalisti devastano la pesca

Abstract : gli ambientalisti hanno ingaggiato una battaglia per salvare i delfini rovinando la pesca e costringendoci a importare più pesce. Ma sono stati proprio i pescatori a volere la legge che vieta la pesca professionale per 45 giorni l’anno, il “riposo ecologico” durante la riproduzione della fauna marina. Sono loro che rinunciano volontariamente a pescare con lo strascico entro sei miglia dalla costa,

Articolo pubblicato su Avvenire del 13 gennaio 1991

Pescatori in via di estinzione

E gli ecologisti si mobilitano per salvare i delfini

di Maurizio Blondet

L’estate scorsa, gli ambientalisti hanno combattuto quella che probabilmente ritengono la loro più bella battaglia: quella per «salvare i delfini». Gl’intelligenti cetacei incappavano talora nelle reti flottanti dei pescatori di pesce spada. Di qui, furibonde manifestazioni, allarmate conferenze stampa, interrogazioni parlamentari, ricorsi al Tar. Alla fine la vittoria: l’uso di reti flottanti è vietato. Il delfino è slavo. «E duemila pescatori di pesce spada, concentrati in paesetti della Calabria e della Sicilia dove mancano altre possibilità di lavoro, non possono più esercitare il loro tradizionale mestiere», aggiunge amaro Ettore Iani, vice presidente dell’Ancp, l’Associazione Nazionale Cooperative della Pesca: «I pescatori: ecco una specie in via di estinzione che nessuno difende».

E viene fuori l’altra parte della storia, quella che i giornali e la tv, assordati dagli ecologisti, non hanno raccontato. «S’è parlato di “strage di delfini” e si sono criminalizzati i pescatori», dice Iani, «ma gli ecologisti non hanno mai promosso una indagine scientifica su quanti delfini vengono catturati accidentalmente dalle reti: uno oppure 30 su cento? Quanto è realmente grave il problema? Nessuno l’ha voluto sapere».

Non negherete, dico, che le reti flottanti, se pescano i pescispada, pescano anche i delfini. «Gli ecologisti non sanno (i pescatori si) che i delfini hanno un sonar naturale  che gli consente di “sentire” ed evitare quelle reti» risponde Giancarlo Pasquali, presidente dell’Ancp. «Di norma i delfini saltano allegramente sopra le reti flottanti, se sono sani. Quelli che finiscono nelle reti – ecco il punto – sono animali malati. Malati d’inquinamento, ci spiegano i nostri pescatori: non a caso la cattura involontaria di delfini è più frequente nel mar Ligure, il più “sporco”».

Gli esperti fanno anche un’altra ipotesi: che i delfini – specie da lungo tempo protetta – siano diventati troppo numerosi nel Mediterraneo, e anche per questo vi siano tanti individui malati. Individui che, se invece di delfini fossero cervi o caprioli del Gran Paradiso, sarebbero abbattuti dai guardacaccia. «Se la popolazione dei delfini fosse eccessiva, bisognerebbe addirittura ridurla, per i danni che questi cetacei, grandi predatori, possono infliggere all’altra fauna ittica» dice Iani: «Ma nessuno lo sa, e gli ecologisti non lo vogliono sapere. Hanno affrontato il problema in termini emozionali, anzi quasi “religiosi”: salvare il delfino, e senza sentir ragioni».

Ci sono almeno riusciti? «No», risponde Pasquali. Gli altri Paesi mediterranei, da Malta alla Spagna, dalla Grecia alla Francia a Cipro, continuano a consentire l’uso delle reti flottanti. Il divieto c’è solo in Italia, e riguarda solo i nostri pescatori».

Così la bella battaglia ecologista per “salvare i delfini” ha un solo effetto: sulle nostre tasche. Dovremo importare più pesce dall’estero.  «E già ne importiamo per 2.500 miliardi l’anno», dice il presidente dell’Associazione pescatori: «Il fatto è che da anni la “produzione” nazionale di pesce è stagnante, mentre i consumi crescono. Gli italiani, ambientalisti o no, mangiano più pesce: dai 14 chili annui pro capite, tendono ad avvicinarsi ai 30 chili degli americani o dei nord-europei. Il problema è: come soddisfare la domanda che cresce, senza esaurire le riserve di pesce del Mediterraneo.

E’ un problema che i pescatorii più interessati a non far finire la “materia prima”  del loro lavoro – si sono posti da tempo. Sono stati i pescatori a volere la legge che vieta la pesca professionale per 45 giorni l’anno, il “riposo ecologico” durante la riproduzione della fauna marina. Sono loro che rinunciano volontariamente a pescare con lo strascico entro sei miglia dalla costa, per non danneggiare la fauna ittica giovane, che vive sottocosta; loro ad auto-limitarsi nella pesca alle vongole, nella potenza dei motori, nella lunghezza delle reti. E sono stati loro a porre un freno ai pescatori sportivi, riuscendo a far bocciare un progetto di legge, che dava loro la facoltà di usare reti da 5 metri».

Ma che danno possono fare i dilettanti? «In Italia sono due milioni» replica Pasquali: «dia una rete da 5 metri a ciascuno, e avrà 10 mila chilometri di reti, da coprire più volte l’intero sviluppo delle nostre coste».

La battaglia per il delfino dell’estate scorsa ha inquinato, tra l’altro, certi rapporti politici. Pare che ta i rappresentanti della Lega pescatori (comunisti) e Chicco testa, il leader “verde” nel partito rosso, siano corse parole grosse, forse anche vie di fatto. Pasquali non conferma. Diplomaticamente si limita a dire: «Cosa vuole, i pescatori sono una categoria debole. I giovani fuggono da un lavoro durissimo dove le retribuzioni sono precarie, le previdenze sociali inadeguate, le pensioni irrisorie. Sono 50 mila in tutto e stanno diminuendo».

Una categoria che porta pochi voti: e che perciò, se comprendiamo bene, i parlamentari non hanno troppo interesse a salvare dall’estinzione. I delfini rendono di più.

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