I gay vogliono i matrimoni ma non usano le unioni civili

unioni civiliLibero 9 giugno 2012

Solo 289 iscrizioni negli 82 Comuni dove è stata istituita l’anagrafe delle coppie di fatto. Bari in testa, forse per l’effetto Vendola, zero patti a Bologna.

di Caterina Maniaci

È stata definita una grande battaglia per i diritti civili ma il fatto è che i registri comunali delle coppie di fatto, richiesti da anni a gran voce, con tante manifestazioni pubbliche a sostegno, si sono rivelati un clamoroso flop. Un’inchiesta di KlausCondicio, il programma condotto da Klaus Davi, rivela che nel corso del 2011, in tutti gli 82 comuni italiani che hanno istituito i registri delle unioni civili, sono solo 298 le coppie omosessuali che vi hanno aderito.

Insomma, a quanto pare le coppie omosessuali non sembrano preferire la sanzione civile del loro status di coppia. In controtendenza ci sono solo i comuni di Bari e Torino, per il resto, il mondo gay sembra non aver colto l’opportunità offerta da alcune amministrazioni. In totale, nel 2011 le coppie registrate nei comuni che hanno adottato il registro sono state 298. Con una media irrisoria di 3,6 coppie per ciascun comune.

Nella top ten dei comuni più “virtuosi” del 2011, al primo posto c’è Bari con 140 iscrizioni (sarà per l’influenza di Nichi Vendola?) seguita da Torino con 48. Al terzo posto Firenze, che nel 2011 ha totalizzato appena 10 iscrizioni. Fanalino di coda Bologna, dove non si registrano iscrizioni fin dal 1999, anno di istituzione del registro. Con 729 iscrizioni, Bari si conferma il comune dove i registri delle unioni civili hanno avuto maggior successo da quando sono stati istituiti nel luglio del 2007. Di queste 510 attestazioni riguardano coppie eterosessuali.

A Torino, dove i registri sono comparsi nel giugno 2010, le iscrizioni totali sono 132, di cui 41 si riferiscono a coppie dello stesso sesso. Nella top dei comuni si è classificata anche Firenze, con 82 iscrizioni dal 2001, Pisa (52 dal 1997) e Padova (48 dal 2006). Perla verità nel comune patavino non è istituito un vero e proprio registro delle coppie di fatto, ma si rilascia un’attestazione di iscrizione nell’anagrafe della popolazione quale «famiglia anagrafica costituita da persone coabitanti legate da vincoli affettivi».

In ogni caso si tratta di numeri esigui, soprattutto se confrontati con quello di altri Paesi europei. In Germania, da quando nel 2001 è stata istituita la legge, sono state registrate 23 mila unioni civili tra persone dello stesso sesso. In Gran Bretagna, dal 2005, sono state 42.778. Intanto, mentre la Napoli di Luigi De Magistris ha dato il via proprio in questi giorni al registro delle unioni civili, a Milano il sindaco Giuliano Pisapia insiste: entro l’anno il registro si farà, lo ribadisce nel presentare la campagna “Una volta per tutti”, progetto di iniziativa popolare per il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso.

Carlo Giovanardi (Pdl) definisce «un flop» questa campagna, anche alla luce dei dati presentati da Klaus Davi. «Dietro questa battaglia si celano obiettivi ideologici», sottolinea ancora Giovanardi, secondo il quale «riconoscere l’unione civile omosessuale aprirebbe le porte all’adozione e alla fecondazione etcrologa».

E se la promessa della realizzazione entro l’anno del registro, fatta da Pisapia, trova la piena approvazione di Anna Paola Concia, parlamentare Pd, che parla di «banale buon senso, nulla di rivoluzionario», Giovanardi invece insiste e definisce la proposta del registro «un vero flop che dimostra come i gay non hanno così bisogno di unioni matrimoniali, si sentono già sufficientemente tutelati dalla nostra giurisprudenza avanzata e dal nostro codice civile che garantisce anche gli omosessuali attraverso il riconoscimento dei diritti individuali.

E per le famiglie standard (forse diventate nel frattempo la vera eccezione) che succede? La crisi le sta tartassando impietosamente e la Chiesa, insieme al mondo cattolico compatto, ne chiede a gran voce un sostegno. Il Consiglio dei ministri ha approvato il Piano nazionale per la famiglia, un piano che, secondo il governo, per la prima volta contiene «linee di indirizzo omogenee in materia di politiche familiari», non interventi d’emergenza e frammentati.

Il Forum della associazioni familiari ha dato atto di un impegno serio ma ha anche espresso rammarico per l’esclusione del Fattore famiglia, ossia un criterio di imposizione fiscale piuttosto semplice, secondo i sostenitori: se si hanno dei figli è giusto pagare meno tasse. Ma i soldi per applicarlo non ci sono, ha risposto chiaro e tondo il premier Mario Monti.