Il consumo dei corpi

Il Corriere della Sera

10 maggio 2021 

Alessandro D’Avena  

«Il primo rapporto sessuale di molte adolescenti che vengono in cura da me è stata una violenza». Così mi ha raccontato una psicoterapeuta alla quale chiedevo lumi su recenti episodi di cronaca ascritti alla cosiddetta «cultura della stupro».

Secondo lei l’educazione affettiva di molti ragazzi è alimentata dall’esposizione a ore di video pornografici, che li portano a far coincidere il sesso con il dominio dell’altro. Per questo trovo l’espressione «cultura dello stupro» riduttiva: perché mai una società che accetta senza problemi la pornografia si indigna del fatto che i gesti maschili nei confronti di una ragazza siano predatori?

Che Internet abbia reso immediatamente disponibile una mole abnorme di materiale pornografico è uno dei temi rimossi dalla cultura contemporanea. I dati pubblicati dal solo sito Pornhub (una delle tante versioni pornografiche di YouTube) sono sorprendenti: nel 2019, 42 miliardi di visite, 115 milioni al giorno, saliti a 130 milioni nel 2020.

Il materiale disponibile sul sito equivale a 169 anni di video. Negli Usa ogni secondo 28mila persone consumano porno (il 61% da smartphone) e ogni secondo vengono spesi 3mila dollari per videochat private. Il 90% dei ragazzi tra 8 e 16 anni consuma giornalmente pornografia in rete e, quasi sempre, la prima volta è accaduto casualmente (l’età media si è abbassata a 9 anni). Il 74% dei consumatori abituali sono uomini.

Come si può pensare che tutto questo non abbia un impatto enorme sulla sessualità, e in particolare dei giovani maschi? Gli iper-corpi del porno sono macchine di potere dall’orgasmo continuo e perfetto, che impongono un immaginario di dominio che esclude la fragilità, la paure, i difetti dei corpi veri.

Il sesso, dialogo che raggiunge ogni angolo dell’anima e del corpo, proprio grazie all’accettazione totale e all’ascolto reciproci, viene ridotto a illusione priva della sua ordinaria e più raramente festiva realtà, perché serve solo a eccitare chi guarda.

Gli esseri umani fanno l’amore al modo in cui amano. Se sanno amare con gentilezza, forza, generosità, tenerezza, timidezza, faranno l’amore con gentilezza, forza, generosità, tenerezza, timidezza, perché appunto l’amore «si fa» come si fa un quadro, un romanzo, una torta… e, come ogni creazione, ciò dipende da ispirazione e immaginazione, che sono conseguenti all’ascolto e alla scoperta della realtà, l’altro è altro «da» me e non altro «per» me.

Nella pornografia non c’è nessun altro da me, ma un monologo, spesso violento, in cui l’altro è solo uno strumento. Nella città in cui sono nato si dice «meglio comandare che fottere», a dimostrazione che entrambe le esperienze servono a un io debole a sentirsi qualcuno grazie al dominio sull’altro. Il potere garantisce un «godimento» prolungato, «fottere» no, e infatti spesso l’ossessione per la «durata» sostituisce la «pienezza» dell’esperienza.

Per questo la pornografia crea dipendenza soprattutto in chi non si sente all’altezza di rapporti veri, una dipendenza di cui non si parla, benché sia molto diffusa tra i ragazzi.

L’immaginazione è la facoltà più potente dell’uomo, da essa dipende la nostra capacità di creare noi stessi e il mondo (la felicità è la realizzazione delle proprie attitudini creative e relazionali), e il sesso ne è una delle manifestazioni più grandi. Ma se l’immaginazione (che è sempre attivata da una mancanza e spinge quindi a una scoperta) è sostituita dalla soddisfazione immediata offerta da immagini artificiali, la capacità creativa si spegne, perché non c’è alcuna scoperta dell’altro, ma solo il suo sfruttamento.

Infatti la fruizione frequente di pornografia, dimostrano le ricerche, porta spesso alla perdita del desiderio, perché la realtà delude sempre rispetto alla proiezione mentale. Il vuoto educativo in ambito affettivo viene oggi spesso riempito dall’immaginario pornografico che, anche in termini di ore, è diventato l’educazione sentimentale dei ragazzi, soprattutto i maschi.

Tempo fa partecipai a una trasmissione in cui, provando a esprimere queste convinzioni, venni accusato di moralismo, mentre mi limitavo a dire che dovremmo educare i ragazzi alla capacità di conoscere il mondo senza distruggerlo, al contrario di un approccio consumistico dei corpi, soprattutto quelli femminili. Io educo a guardare il mondo con gentilezza, cioè ascoltando e scoprendo, perché ho come fine la libertà dei miei studenti, la pornografia educa invece a consumare, usare, dominare, perché ha come scopo vendere, rendendo dipendenti dai consumi compulsivi.

Prima di parlare di cultura dello stupro, dovremmo interrogarci su quella che chiamerei «stuprornografia»: il consumismo ha trasformato il sesso in dominio e assoggettamento dell’altro, ma le relazioni vere e profonde, proprio grazie al sesso, si «alimentano», non si «consumano».