Agostino d’Ippona, maestro del giusnaturalismo cristiano

Centro studi Rosario Livatino 27 Febbraio 2021 

Per Sant’Agostino i precetti della legge naturale sono indelebili perché originari, connaturati all’uomo, e non derivano da altro ordinamento se non quello posto dall’Autore della natura, che ha impresso la legge interiore e razionale nella coscienza ed è proprio in rapporto alla coscienza che possiamo giudicare se un’azione è buona o cattiva.

Daniele Onori

1. Aurelio Agostino d’Ippona nacque a Tagaste, odierna Souk-Ahras, nell’Africa romana, il 13 novembre 354. Suo padre Patrizio era pagano, mentre sua madre Monica professava il cristianesimo ed esercitò sul figlio una forte influenza. Agostino trascorse l’infanzia e l’adolescenza tra Tagaste e Cartagine: da giovane condusse una vita sregolata, di cui si parlò con veemenza nelle Confessioni.

Coltivò gli studi classici, appassionandosi in particolar modo al latino. Si legò tra l’altro a una giovane donna, dalla quale nel 372 ebbe un figlio, Adeodato. Nel 373 cominciò ad accostarsi al manicheismo, quando già lo studio dell’Ortensio di Cicerone lo aveva avvicinato alla filosofia.

Nell’approccio manicheo pensava di trovare una risposta al problema del male, che lo tormentò e stimolò per l’intera esistenza. Dopo un breve soggiorno a Tagaste, tornò a Cartagine come insegnante di retorica. Qui tra il 380 e il 381 scrisse la sua prima opera retorica (perduta) De pulchro et apto e cominciò a maturare riserve verso il manicheismo, che gli appariva poco rigoroso e scientifico rispetto al pensiero greco.

Nel 383 si recò a Roma, con la compagna e il figlio, intenzionato a insegnare retorica nella speranza di acquisire maggiore successo e denaro. Ma così non fu e nel 384 si trasferì a Milano, sempre come maestro di retorica. A Milano lo raggiunse sua madre e la sua evoluzione spirituale si compì: la lettura dei testi platonici e neoplatonici lo avevo alla comprensione del cristianesimo.

Dopo dodici anni di vita insieme, allontanò la compagna e si ritirò a Cassiciaco, vicino Milano. Sollecitato dalla madre, si fece battezzare da sant’Ambrogio la notte di Sabato santo, il 25 aprile del 387.

Persuaso che il suo compito fosse diffondere il cristianesimo nella sua patria, decise di tornare in Africa. Sulla via del ritorno, in attesa dell’imbarco a Ostia, sua madre morì. Ritornato a Tagaste, vendette i propri beni e devolvette il ricavato ai poveri. Poi si stabilì a Ippona. Qui nel 381 fu ordinato sacerdote e nel 396 ne divenne vescovo. Morì il 28 agosto 430 a Ippona, mentre questa era assediata dai Vandali.

2. È considerato il padre del giusnaturalismo cristiano volontaristico. È convinto che le idee platoniche siano concetti delle cose, eterni, immobili e sempre uguali a sé stessi, e quindi che Dio forma il mondo secondo queste idee. Poiché tutto ciò che sta nello spirito divino è eterno ed immutabile, anche le idee, appartenendo allo spirito divino, sono vere, eterne ed immutabili.

Soltanto la legge di Dio è quella giusta, e il giudice cristiano dovrà applicare la legge divina rispetto a quella umana. Agostino prende dallo stoicismo la distinzione fondamentale del diritto in legge eterna (intesa come legge divina), legge naturale (coincidente con il diritto posto dalla natura) e legge temporale (inerente alla legge dell’uomo), ma è fermamente convinto che tra le tre leggi prevale quella eterna (1).

La meditazione sulla fede, posta a base della ragione naturale, portò Agostino a tratteggiare nel De civitate Dei il primo grande disegno di filosofia e teologia della storia. Scrive Gilson: “Per la prima volta in quest’opera, grazie alla luce della Rivelazione che le svela l’origine e il fine nascosto dell’universo, una ragione umana osa tentare la sintesi della storia universale” (2).

Agostino scopre la storia, ne trova il fine che porta il suo corso verso il Principio dal quale proviene, rinviene e trasmette il senso perduto del pellegrinaggio terreno. E cerca le tracce di un piano preordinato a condurre alla felicità eterna coloro che liberamente sposano la causa di Dio, cioè i membri della civitas Dei, nonostante l’opposizione dei malvagi animatori della civitas diaboli (3).

Per Agostino la legge naturale è un’orma della vocazione divina dell’uomo, rimasta dopo la caduta di Adamo, un riflesso in noi della legge eterna di Dio. L’ordine morale, necessario presupposto della legge naturale, è anche il bene oggettivo che si presenta alla coscienza: bene che è la conversione, in termini morali e giuridici, delle verità metafisiche della legge eterna, considerata da Agostino non come concetto, ma come disposizione e comando. Essa è “la ragione divina o volontà di Dio, la quale comanda che l’ordine naturale sia conservato e vieta che sia turbato” (4).

La legge naturale è necessità nel mondo della natura fisica, libertà in quello dello spirito e della moralità: “Hoc naturalis ordo praescribit; ita Deus hominem condidit” (5)

3. La ragione e la volontà divina sono una cosa sola, tanto che la giustizia è ciò che è voluto da Dio: “Ciò che Dio volesse, è la giustizia stessa; e ciò che egli vuole, è la giustizia stessa” (6). In Agostino la sapienza ordinatrice di Dio sostituisce il fatum degli stoici, che ordina e guida verso il fine ultimo gli avvenimenti dell’universo.

La legge eterna, come supremo principio ordinatore e regolatore delle coscienze, è “quella legge che chiamiamo Ratio summa, a cui sempre si deve obbedire” (7). Alla virtus antica succede l caritas ordinata secondo la dignità ontologica degli enti, l’ordo amoris che distingue ciò che è fine da ciò che è mezzo, onde “la vera e sintetica definizione della virtù è l’amore ordinato”.

La posizione di S. Agostino appare ancor oggi di grande attualità: come l’attività manipolatrice della tecnica non sarebbe probabilmente giunta nell’ultimo secolo ai suoi esiti distruttivi senza l’appoggio di una concezione meccanicistica e razionalistica, così ora l’indispensabile metánoia non può attuarsi se non riproponendo un rapporto sapienziale, per usare il termine agostiniano, dell’uomo con la natura.

Perché mai si può pretendere di conoscere esaustivamente, come voleva certo giusnaturalismo settecentesco, la natura con certezza apodittica: l’uomo potrebbe avanzare una tale pretesa solo se fosse in grado di decifrare il mistero dell’Essere, fatto questo inequivocabilmente contraddetto dalla sua costitutiva finitezza. Questo non significa però negare, cadendo nelle aporie dello Scetticismo ogni capacità alla ragione, e ogni significato alla natura.

L’uomo non deve rinunziare a riflettere sul significato dell’“ordine naturale” per la propria esistenza: anche se questo non gli sarà mai del tutto palese, egli dovrà nondimeno cercare delle soluzioni e fornire delle risposte che, sebbene mai completamente adeguate, non sono tuttavia insensate o inutili, purché permanga limpida la consapevolezza del loro carattere specifico.

Solo in un tale rapporto, conscio dell’umana finitezza, e della sua radicale dipendenza dall’Essere, e nondimeno teso perennemente alla ricerca, può riaprirsi un dialogo rispettoso, non però servile o dogmatico, con la natura.

1) G.Fassò, Storia della filosofia del diritto, voll. I -II, Laterza, Roma-Bari, 2003- 2005

2) É. Gilson, Introduction à l’étude de St. Augustin, Paris, Vrin 1929, p. 225

3) Sulla dimensione agapica e sapienziale di Agostino rinvio ai miei: La filosofia dell’amore in Agostino e Rosmini, in Vivens Homo, (XXVII) 27/1, 2016, pp. 39-59; Sant’Agostino e l’umanesimo dell’amore, in Rivista Rosminiana di filosofia e cultura, (CX) III-IV/2016, pp. 201-225; Il percorso agostiniano dall’intelligenza a Dio Amore e Misericordia, in Rivista di ascetica e mistica, (XLI) 4/2016, pp. 517-535

4) Contra Faustum, XII, 27

5) De civitate Dei, XIX, 15

6) Sermones, CXXVI, 3. 7) De libero arbitrio, I, 6, 15