Sul corretto uso delle parole

vocabolario(titolo redazionale)

di Clive Staples Lewis

Obiezioni più gravi possono sorgere – e sono state espresse – circa il mio uso della parola “cristiano” per indicare chi accetta le dottrine comuni del cristianesimo. Mi chiedono: «Chi sei tu, per stabilire chi è e chi non è cristiano?»; oppure: «Non è possibile che persone cui non è dato credere a queste dottrine non siano spesso molto più autenticamente cristiane, più vicine allo spirito di Cristo, di tanta gente che vi crede?”. Ora, questa obiezione è in un certo senso molto giusta, molto caritatevole, molto spirituale, molto acuta. Ha tutti i pregi del mondo, tranne quello di essere utile.

Il fatto è che non possiamo, senza danno, usare il linguaggio come vorrebbero coloro che muovono queste obiezioni. Cercherò di chiarire questo punto con la storia di un’altra parola, molto meno importante. La parola “gentleman” indicava in origine qualcosa di riconoscibile: chi aveva un blasone e una proprietà terriera. Dicendo che uno era “un gentleman” non gli si faceva un complimento, si dichiarava un fatto; dire che non era “un gentleman” non era un insulto, ma un’informazione.

Non c’era contraddizione nel dire che il tale era un bugiardo e un gentleman, come non vi è oggi nel dire che il tale è uno sciocco e un dottore in lettere. Ma poi qualcuno cominciò a obiettare (molto giustamente, caritatevolmente, spiritualmente, acutamente, molto tutto meno che utilmente): «Ah, ma l’importante in un gentleman non è il blasone e la terra, è il modo di comportarsi!

Il vero gentleman è chi si comporta come dovrebbe fare un gentleman! E in questo senso, Tizio non è molto più gentleman di Caio?». L’intenzione era buona. Essere onesti, cortesi, coraggiosi, è molto più lodevole che avere un blasone. Ma non è la stessa cosa. Per giunta, non è una cosa su cui tutti saranno d’accordo. Chiamare uno “un gentleman” in questo senso nuovo e affinato diventa, infatti, non un modo di dare un’informazione su di lui, ma un modo di lodarlo; negare che egli sia “un gentleman” diventa semplicemente una maniera di insultarlo.

Quando una parola cessa di essere un termine descrittivo e diventa un puro termine di elogio, non ci dice più qualcosa di preciso su un oggetto, ma soltanto qual è, verso quell’oggetto, l’atteggiamento di chi parla. (Un “bel” pranzo significa solo un pranzo che piace a chi sta parlando).

Il termine “gentleman”, una volta spiritualizzato e affinato, e privato del suo vecchio e grossolano valore semantico, significa di fatto soltanto un uomo che piace a chi sta parlando. Il risultato è che adesso “gentleman” è una parola inutile. Avevamo già una quantità di termini laudativi, sicchè per quest’uso non ce n’era bisogno; d’altra parte, se qualcuno (per esempio in un’opera storica) vuole usarla nel suo vecchio significato, non può farlo senza spiegazioni. In questo senso è stata bruciata.

Ebbene, se lasciamo che venga spiritualizzato e affinato, o “approfondito” come direbbero certuni, il senso della parola “cristiano”, anche questa diventerà in breve una parola inutile. Anzitutto, gli stessi cristiani non potranno applicarla a nessuno. Non spetta a noi dire chi, nel senso più profondo, è o non è vicino allo spirito di Cristo.

Non leggiamo nel cuore degli uomini. Non possiamo giudicare, e anzi ci è proibito di farlo. Sarebbe da parte nostra una perversa ignoranza dire che qualcuno è o non è cristiano in questo senso affinato. Ed evidentemente una parola che non potremo mai applicare non sarà di grande utilità.

Quanto ai non credenti, useranno senza dubbio molto volentieri la parola in quel senso. In bocca a loro diventerà semplicemente un termine di lode. Dicendo che uno è cristiano, intenderanno che lo ritengono un uomo buono. Ma questo uso del termine non costituirà un arricchimento della lingua, perchè abbiamo già la parola “buon”. Frattanto, la parola “cristiano” sarà stata sciupata per qualsiasi fine realmente utile cui potesse servire.