Libertà religiosa e diritto di resistenza: il caso della guerra cristera

Storia Libera n.1-2015

di Giovanni Formicola

Abstract

La Cristiada – l’epica insorgenza armata dei cattolici messicani contro un potere che considerava la Chiesa nemica del popolo e il cattolicesimo un male sociale – dura tre anni, dal 1926 al 1929. Essa e poco nota – anche se un film omonimo finalmente in programmazione in Italia dal 2014 sta contribuendo, raccontandola con fedelta storica, a liberarla dalla crosta di silenzio che ne soffoca la memoria – sebbene sia stato un episodio unico della storia del XX secolo. Infatti, diversamente da altri accadimenti con i quali sembra avere rapporti di forte analogia, come la guerra civile spagnola, combattuta esattamente dieci anni dopo (1936-1939), e stata un puro fenomeno di popolo e di popolo credente. Qui non s’intende tanto raccontarla, quanto cercare di coglierne le radici remote e le cause prossime – al di la della leggenda nera sulla scoperta, conquista ed evangelizzazione del Messico –, e discutere le questioni della sua legittimita morale e della sua efficacia storica.

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The Cristiada – the epic armed insurgency of Mexican Catholics against a government that considered the Church as a enemy of the people and Catholicism as a social evil – goes from 1926 to 1929. It has been a unique episode in the XX century, yet it still remains little known, even if a historically faithful movie eventually available in Italy from 2014 is contributing to break the crust of silence that overshadows the memory.

Unlike other events presenting strong analogies, like the Spanish Civil war fought precisely ten years later (1936-1939), it has been a purely popular phenomenon, regarding a people of believers. Our aim is not so much to recount the story as to seek its remote roots and proximate causes – beyond the black legend of Mexican discovery, conquest and evangelization – and discuss questions related to its moral legitimacy and historical effectiveness. Keywords: Cristiada, Catholicism, Mexico, right of defence, religious freedom.

L’autore

Giovanni Formicola (1957). Avvocato penalista napoletano. Socio fondatore di Alleanza Cattolica. E stato componente del Comitato regionale campano per la bioetica. Ha collaborato in modo indipendente a varie testate cartacee e online, tra le quali Cristianità, Catolicismo, Il Secolo d’Italia, l’Indipendente, Il Roma, il Giornale del Sud, il Corriere del Sud, l’Occidentale e la rivista di studi conservatori Cultura & Identità. Impegnato nell’ambito della formazione storico-politica, ha al suo attivo circa duemila tra riunioni e seminari di studio nonche oltre trecento conferenze pubbliche in Italia e all’estero su temi religiosi, storici, politici, giuridici,bioetici e piu in generale di Dottrina Sociale della Chiesa.

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DELLA CRISTIADA E DEI CRISTEROS (1) si sa poco, per non dire nulla. Non è facile incontrare non dico chi l’abbia letta, ma anche solo conosca l’esistenza di questa pagina della storia. Lo storico franco-messicano Jean Meyer (1942-viv.) (2) nel corso delle sue ricerche “incontrò” l’ignoranza totale di essa proprio là dove fu scritta.

«Sono arrivato in Messico nel 1965, avevo 22 anni; in quel momento il conflitto religioso nella sua tappa armata – che ebbe l’apice tra il 1926 e il 1929 – era un avvenimento ancora recente. Se poi si tiene conto che una piccola guerriglia continuò fino al 1940, quando la Chiesa delegittimò ogni sollevazione armata per motivi religiosi, beh, si capisce che il tema Cristiada era ancora molto sensibile nella memoria di tutti. […] Non solo la Chiesa non ne parlava in pubblico, ma non ne parlava neppure nei seminari; nella stessa storia della Chiesa messicana il capitolo Cristiada era evitato, o toccato con una prudenza tale che si cadeva nel ridicolo storico. Ricordo la mia sorpresa, nel 1968, a Pontegrande, nel Jalisco; lì, in questo Stato che divenne l’epicentro della sollevazione armata, c’era il seminario della Compagnia di Gesù dove io andavo a lavorare, perché era dotato di un grande archivio, che i gesuiti mi avevano aperto molto generosamente, diversamente dal Governo, che allora non mi aveva permesso di vedere nessun archivio, e diversamente anche dalla Chiesa nei suoi livelli di ufficialità. Un giorno si sono avvicinati dei giovani studenti e mi hanno chiesto perché passavo tutti i fine settimana chiuso, lavorando su testi, fogli, documenti».

«Cominciai a parlare con loro raccontandogli del mio lavoro di ricerca sulla Cristiada e mi sono accorto che non sapevano assolutamente nulla, nulla, pur vivendo in una regione che è stata uno degli epicentri di questa eruzione armata. Allora, con il permesso del prefetto, ho fatto una conferenza per i seminaristi. Anche in questa occasione sono rimasto esterrefatto della loro totale ignoranza dell’argomento. Questo per dirle come erano le cose trent’anni fa. […] in Messico, la Chiesa ha manifestato una prudenza esagerata, al punto da non rimettere mai sul tappeto la nuova situazione. Il risultato è stato quasi all’altezza delle direttive del delegato apostolico, nel 1929, a proposito degli accordi: “Proibizione per i cattolici di scrivere, parlare e pensare sulla questione”» (3)

Eppure la “questione” costituisce un unicum nella storia del XX secolo e forse nell’intera storia della cristianità, intesa come famiglia di nazioni, cristiane per cultura e civiltà, pur nella differenziazione etnica, linguistica, di costume, istituzionale, sociale ed economica. Infatti, diversamente dall’analoga esperienza spagnola, che seguirà esattamente di un decennio quella messicana e che pure interesserà un triennio (1936-1939) (4), unico attore è in realtà il popolo messicano, il popolo credente.

Né l’esercito, né formazioni politiche strutturate, né fronti culturali e politici contrapposti, e neppure la Chiesa e la sua gerarchia vi giocano un ruolo significativo, come invece accade in Spagna. L’unico precedente davvero assimilabile, quale insorgenza cattolica spontanea contro un governo tirannico e persecutore, è quello vandeano (5), che però ha avuto dimensione regionale e non nazionale. Inoltre, costitutiva dell’assoluta peculiarità di quanto allora accaduto in Messico nella storia della cristianità è, come vedremo, la volontaria sospensione, da parte dell’autorità ecclesiastica messicana d’ogni celebrazione di culto pubblica: Messa, amministrazione dei sacramenti, funerali.

Una sorta d’inaudita “serrata” ecclesiastica, che sarà la causa “prossima” dell’insorgenza del popolo cattolico e della conseguenteCristiada. Ma come spesso accade, prima o poi anche la più spessa crosta del silenzio e dell’oblio può essere spezzata. E non solo per gli specialisti o i cultori d’un certo topos della storia.

Nel 2012 ha visto la luce un film, For a greater glory (6),che ha contribuito non poco a far conoscere la Cristiada e i cristeros. Dopo due anni d’inspiegabile assenza, nell’autunno del 2014, grazie ad uno sforzo che non è esagerato definire eroico d’una casa cinematografica indipendente, la Dominus Productions, che ne ha curato il doppiaggio professionale in italiano, è finalmente programmato nelle nostre sale cinematografiche con il titolo di Cristiada (7).

Il successo di pubblico, non pronosticabile per un film non promosso dalla grande distribuzione e dai consueti trailer pubblicitari, ha attirato così l’attenzione per la guerra cristera e soprattutto alla repressione anche cruenta della libertà religiosa in Messico. Non sembra perciò esercizio puramente accademico fornire qualche contributo per articolare e rendere più consapevole quest’attenzione.  

Sembrerà strano al lettore informato non trovare nell’apparato critico riferimenti alla citata opera di Meyer nonché ad altre dello stesso autore, e neppure al pregevole saggio di Mario Arturo Iannaccone di recente pubblicazionr (8). Ma scopo di questo scritto non è tanto quello di narrare la Cristiada – per la quale appunto si rimanda alle opere appena menzionate, che si danno come cornice –, quanto quello di cercare il fondamento del fatto storico, cioè le sue radici, remote e prossime, e il suo significato profondo, discuterne la legittimità in rapporto alla causa che gl’insorgenti intendevano difendere, e cioè la sua coerenza morale con la fede per la quale dicevano di battersi, e infine cercare di capire se il sangue versato è scorso inutilmente.

1. IL PRIMO E FONDAMENTALE SFORZO, allora, è fare unità tra fatto e fondamento, cioè il suo “significato” (9) Perché nella ricerca del suo “senso” – che non è il “senso della storia” delle filosofie costruttivistiche e storiciste, ma l’insegnamento che da essa si può trarre come “deposito di esperienze per la politica” – la storia possa essere effettivamente magistra. Affinché lo sia, occorre però trovarle allievi disciplinati e diligenti, consapevoli che «chi sbaglia storia, sbaglia politica» (Giovanni Cantoni, 1938-viv.), in quanto la storia è «politica sperimentale» (10) come recentemente ha confermato con l’autorevolezza del suo magistero pontificio, ma anche culturale, Benedetto XVI (2005-2013).

«Come voi ben sapete, fu Leone XIII che, di fronte a una storiografia orientata dallo spirito del suo tempo e ostile alla Chiesa, pronunciò la nota frase: “Non abbiamo paura della pubblicità dei documenti” e rese accessibile alla ricerca l’archivio della Santa Sede. […] Leone XIII era convinto del fatto che lo studio e la descrizione della storia autentica della Chiesa non potessero che rivelarsi favorevoli ad essa. Da allora il contesto culturale ha vissuto un profondo cambiamento. Non si tratta più solo di affrontare una storiografia ostile al cristianesimo e alla Chiesa. Oggi è la storiografia stessa ad attraversare una crisi più seria, dovendo lottare per la propria esistenza in una società plasmata dal positivismo e dal materialismo».

«Entrambe queste ideologie hanno condotto a uno sfrenato entusiasmo per il progresso […] Il passato appare, così, solo come uno sfondo buio, sul quale il presente e il futuro risplendono con ammiccanti promesse. A ciò è legata ancora l’utopia di un paradiso sulla terra, a dispetto del fatto che tale utopia si sia dimostrata fallace. Tipico di questa mentalità è il disinteresse per la storia, che si traduce nell’emarginazione delle scienze storiche. […] Ciò produce una società che, dimentica del proprio passato e quindi sprovvista di criteri acquisiti attraverso l’esperienza, […] si presenta particolarmente vulnerabile alla manipolazione ideologica. […]o rese più difficili dai diversi contesti storici. La Chiesa non è di questo mondo ma vive in esso e per esso» (11).

La citazione è lunga, ma non fuori tema. Anzi. In essa è la chiave critica dell’attenzione alla “questione” cristera, al suo fondamento e significato. L’auto-comprensione della Chiesa – mandata dal suo Fondatore a proseguirne la presenza nella storia, cioè ad evangelizzare –, com’espressa da Benedetto XVI in questo discorso, non ignora la sua collocazione nel tempo, nella storia, ed il condizionamento che ne deriva.

Inoltre, essa non può mutilare la sua missione dimenticando che Gesù,nel drammatico dialogo con Ponzio Pilato s’è proclamato Re di tutta la storia. Il che significa, da un lato, che la libertà per la Chiesa sia tutt’altro che un accessorio superfluo, anzi le è essenziale e quindi è irrinunciabile; dall’altro che non può accontentarsi della conversione e della devozione dei singoli, cioè che Cristo regni solo sui cuori, ma deve adoperarsi affinché il suo regno sia anche sociale (12).

Così, quando e ovunque la missione sia impedita o anche solo ostacolata nell’ordine temporale – che è come dire nell’ordine politico e civile – è doveroso adoperarsi per rimuovere tali ostacoli e impedimenti; ma la stessa rimozione poi non può accontentarsi di se stessa: una volta liberata, la missione tende all’instaurazione anche sociale della regalità di Cristo. L’uno e l’altro passo – libertas Ecclesiae e exaltatio Ecclesiae (in quanto Corpo mistico di Cristo, Sua presenza nella storia) – non possono essere compiuti senza un popolo cattolico, un laicato fedele e consapevole della propria fede – consapevolezza che non si riduce a quella alfabetizzata –, che ha questa specifica missione nella più ampia missione ecclesiale (13).

Prodotto inevitabile di tale sviluppo è una società ignara del proprio passato e quindi priva di memoria storica. Non è chi non veda la gravità di una simile conseguenza: come la perdita della memoria provoca nell’individuo la perdita dell’identità, in modo analogo questo fenomeno si verifica per la società nel suo complesso. […] La Chiesa, chiamata da Dio Creatore ad adempiere al dovere di difendere l’uomo e la sua umanità, ha a cuore una cultura storica autentica, un effettivo progresso delle scienze storiche.

La ricerca storica ad alto livello rientra infatti anche in senso più stretto nello specifico interesse della Chiesa. Pur quando non riguarda la storia propriamente ecclesiastica, l’analisi storica concorre comunque alla descrizione di quello spazio vitale in cui la Chiesa ha svolto e svolge la sua missione attraverso i secoli. Indubbiamente la vita e l’azione ecclesiali sono sempre state determinate, facilitate Non si può perciò comprendere il fondamento e il significato della Cristiada senza conoscerne le radici storiche remote: essa può essere stata un’opera della fede – e quindi il richiamo a Cristo Re non un mero pretesto – solo se a compierla è un popolo cattolico. E se un popolo è cattolico ce lo dice la sua storia.

La storia dei Cristeros e della Cristiada non può essere dunque ben compresa senza delinearne il rapporto – se c’è, naturalmente – con una storia più ampia, persino remota e non solo messicana.

1.1. Primo ideale capitolo di questa storia è la Reconquista: la terra iberica contesa all’islam per quasi otto secoli come impresa cattolica che forma una nazione. Essa idealmente inizia a Covadonga, dal latino Cova dominica, “Grotta della Madonna”, insignificante luogo delle Asturie, nella Spagna nord-occidentale, fra le montagne dei Picos de Europa, dove il mitico nobile Pelayo (690?-737) con alcuni suoi baroni e un vescovo decide di non varcare i Pirenei per sfuggire alle armi musulmane e di affrontarle in battaglia.

Nel 722, dopo una serie innumerevole di sconfitte dei cristiani, gli arabi vengono battuti. Se è vero che le fonti storiche non danno alcuna certezza sullo svolgimento degli eventi e sullo stesso esito della battaglia, tuttavia è un fatto che il 2 gennaio 1492, settecentosettanta anni dopo, il re moro Boabdil (1459-1528) firma la capitolazione di Granada e la consegna libera ai re cattolici, Ferdinando III d’Aragona (1452-1516) e Isabella I di Castiglia (1451-1504) (14). La Reconquista è compiuta (15).

1.2. Da questa, quasi prendendo slancio – e non è difficile riconoscere lo stesso spirito e le stesse motivazioni (ovviamente tra altre) –, corona e gente di Spagna iniziano un’altra avventura cattolica e nazionale: la Conquista (e l’evangelizzazione) delle Americhe (16).

È nello stesso 1492 che l’italiano Cristoforo Colombo (1451-1506) (17) sostenuto dai medesimi Reyes catolicos, porta anche la croce di Cristo nel Nuovo Mondo (18). Hernàn Cortés (Monroy Pizarro Altamirano, 1485-1547) nel 1521, due anni dopo ch’era sbarcato nel Messico, la porterà a Tenochtitlàn, l’odierna Città del Messico. Raramente si riscontra una Leyenda Negra come quella che grava su questa impresa e sui suoi storici risultati.

Ad essa va opposta la verità, non un’altrettanto falsa “leggenda rosa”. Tuttavia, prim’ancora di provare a restituirle un po’ di verità, ancorché in modo rapido e necessariamente schematico, va osservato che se la conquista e l’evangelizzazione del Messico fossero state davvero quello che risulta dalla storiografia “leggendista”, allora sarebbe semplicemente incomprensibile come il popolo messicano indio e meticcio, anche a oltre tre secoli di distanza, non abbia steso tappeti di fiori innanzi a chi gli prometteva di liberarlo dalla Chiesa cattolica e da tutti i suoi agenti d’oppressione, ascrivendosi in massa alla massoneria. Giammai lo ha fatto.

Una pagina di uno storico francese, riportata da Giovanni Cantoni, fornisce un prezioso e forse decisivo contributo di verità, anche se non sembra aver trovato sin qui discepoli attenti. Dunque, «[…] vi sono, tanto nei paesi democratici d’America come d’Europa, due modi di scrive re la Storia. Vi sono due Storie: la falsa e la vera – affermava nel 1927 lo storico francese Marius André (1868-1927) –. La prima è destinata ai bambini delle scuole primarie, al popolo, e a quei borghesi che, terminati i loro studi all’età di circa sedici anni, non li proseguono e si accontentano di leggere opere dette di volgarizzazione. Insomma, si tratta della Storia dalla quale la gran massa degli elettori attinge idee, opinioni, amori e odi, quella del suffragio universale.

«L’altra ha un carattere quasi confidenziale, tanto è ristretta l’élite alla quale si rivolge; ne viene insegnata una parte ai candidati alla licenza e all’associazione in storia, soltanto una parte perché, anche nelle più alte sfere dell’università, l’insegnamento pubblico commette errori spesso volontari imposti dall’interesse a difendere, in questo modo, una dottrina o un regime. Infatti, vi sono regimi che non durerebbero più di trent’anni se s’insegnasse la Storia vera nelle scuole primarie e nei licei».

«La separazione fra le due categorie è così netta che si è potuto vedere, in Francia, un illustre professore pubblicare due opere di Storia, l’una per l’insegnamento primario, l’altra per l’insegnamento superiore, che, a proposito di diversi episodi, sono in contraddizione formale, essendo l’una la negazione dell’altra. Per la Storia dell’America, in Francia non vi è nessuna differenza fra i due insegnamenti: è, con l’aggiunta di un gran numero di errori incoerenti relativi ai fatti e alle date, la Storia ufficiale insegnata ai bambini delle scuole primarie d’America, e questa Storia costituisce il capolavoro – se è permesso usare questo termine –, il peggior capolavoro della mistica rivoluzionaria. Secondo la quale gl’indiani, i neri, i meticci e i bianchi dell’America spagnola sono vissuti più di trecento anni sotto un regime oscurantistico, assolutistico e tirannico, martirizzati dai viceré e dai loro adepti, e dall’Inquisizione; gl’indigeni, i creoli [gl’iberoamericani nati o discendenti da genitori spagnoli] anche di puro sangue spagnolo erano esclusi da ogni funzione pubblica; tutte le attività industriali erano vietate, la fabbricazione del più piccolo strumento era punito con la morte dall’Inquisizione, e così via».

Nel 1810, edotto e trascinato dall’esempio della Rivoluzione francese, il Popolo si solleva, dal Rio de la Plata fino alla frontiera degli Stati Uniti settentrionali, spezza le proprie catene e proclama la Repubblica. Il re di Spagna manda eserciti per riportarli sotto il proprio giogo. Dopo quindici anni di guerra, la Libertà trionfa, l’America è libera e il Popolo sovrano» (19).

Ma le cose stanno diversamente, quando non in modo diametralmente opposto: «La Storia vera, quella che viene nascosta a questo Popolo, quella della quale è assolutamente impossibile ogni confutazione, dice: l’amministrazione spagnola in America non fu perfetta, ma potrebbe venire anche proposta come un modello in numerosi punti. Essa fu soprattutto paterna nei confronti degl’indigeni.

L’Inquisizione, alla quale si rimprovera, in versi e in prosa, di aver bruciato centinaia di migliaia d’indiani, non ne ha bruciato neppure uno; quanto ai bianchi ne ha condannati, per delitto d’eresia, meno su un intero continente e nel corso di duecentocinquant’anni che certi tribunali laici d’Europa in un anno e in una sola città. Vi erano in America libertà e franchigie municipali non più esistenti in nessuna Repubblica del Vecchio e del Nuovo Mondo. Non era proibita nessuna attività industriale; alcune erano più prospere di oggi.

Gli americani non erano esclusi dalle funzioni pubbliche; i creoli alti funzionari erano più numerosi di quanto non siano i funzionari nativi in molte colonie europee del secolo XX. Gli autori di manuali forniscono come prova dell’asservimento dell’America da parte della monarchia spagnola il fatto che vi sono stati solo diciotto viceré o governatori creoli. Ebbene, quanti viceré o governatori generali nativi del paese vi sono stati in India e in Algeria?

Questa indignazione è tanto più risibile per il fatto che i promotori della Rivoluzione emancipatrice furono, in maggioranza, ufficiali e alti funzionari creoli» (20).  Non manca però chi, pur riconoscendo che la Conquista non fu genocida e che non tutta la storia dell’America ispanica, fino all’indipendenza, sia stata caratterizzata da uno spietato regime di tirannia e sfruttamento delle popolazioni autoctone, ne contesta la legittimità. Sotto questo profilo, fin da subito, l’autorità ecclesiastica – all’epoca l’unica autorità dottrinale e morale riconosciuta – s’è espressa in termini positivi.

«Il problema della legittimità della colonizzazione viene affrontato con l’appello alla Santa Sede da parte della Corona di Castiglia e con la richiesta di arbitrato, e risolto dalle cosiddette tre Bolle Alessandrine – le prime due intitolate entrambe Inter coetera ma emanate rispettivamente il 3 e il 4 maggio 1493, e la terza Eximiae devotionis, pure del 4 maggio, seguite dai brevi Pii fidelium, del 23 giugno dello stesso anno, e Dudum siquidem, del 25 settembre –, cioè dai documenti con i quali Papa Alessandro VI (1492-1503) anzitutto concede il patronato per l’evangelizzazione a tale Corona, poi suddivide le aree d’influenza delle Corone spagnola e portoghese» (21).

1.3. I frutti della Conquista. Una civiltà indo-cristiana, “meticcia” nel senso più alto, cioè nel senso d’inculturazione rispettosa di quanto v’era di rispettabile nella cultura e nella civiltà “innestate”. Una civiltà ricca ben presto di scuole (si arrivò, nel 1540, ad avere anche mille allievi indios nelle scuole istituite presso i circa trecento [!] monasteri nel Messico del XVI secolo!), di ospedali, di chiese, di monumenti, di un proprio stile architet tonico e urbano, del meticciato etnico (nessuna forma di razzismo) (22).

Mi piace inoltre ricordare, tra i frutti indiretti dell’avventura iberoamericana, le basi teoriche del moderno diritto internazionale, elaborate soprattutto nella così detta “Scuola di Salamanca” proprio a partire dagl’interrogativi etico-giuridici che ponevano la Conquista e l’evangelizzazione dopo la “scoperta”. Non ci si sbaglia, dunque, a ritenere che quel mondo non era certamente divenuto perfetto, ma altrettanto certamente era divenuto migliore, se non altro perché erano cessate le ecatombi umane e il cannibalismo rituali.

E ciò grazie all’opera dei missionari, soprattutto domenicani e francescani, ma anche alla tanto demonizzata civiltà degli spagnoli e agli orientamenti dati fin da subito dalla Corona spagnola alla Conquista e all’evangelizzazione (23) non da tutti e non sempre rispettati, ma certamente – e la riflessione dei giuristi, confluita nella legislazione di Carlo V, lo testimonia abbondantemente – neppure rimasti lettera morta, come vorrebbe la letteratura antispagnola modellata sulle esagerazioni e gli unilateralismi del frate domenicano Bartolomé de la Casas. Se le cose non stessero così, non ci sarebbe stata la Cristiada. Ma la Cristiada c’è stata.

2. DOPO TRE SECOLI CIRCA DI VICE-REGNO ISPANICO, all’inizio del XIX secolo anche il Messico, nel corso del più ampio processo che riguarda l’intera Iberoamerica, si rende indipendente (24). Ma, contrariamente all’opinione diffusa, tale processo, almeno all’inizio, non ha un carattere rivoluzionario, non vuole cioè essere un momento di rottura con la tradizione religiosa, culturale, politica e civile dei popoli e delle nazioni ispano-americane. Anzi, scaturisce dalla volontà di difendere e preservare gl’istituti, soprattutto politici, che provenivano direttamente dalla civilizzazione cristiana dell’Europa, e della Spagna in particolare, pur in fase di decadenza e lenta corruzione.

L’indipendenza, è più motivata dal rifiuto delle tendenze centraliste-assolutistiche metropolitane e della “francesizzazione” della Spagna, nel senso della sua contaminazione rivoluzionaria (Costituzione di Cadice, 1812), che da un’intenzione progressistico-democratica. Alle sue origini, dunque, l’indipendenza è il modo per provare a restaurare e conservare le antiche libertà spagnole e nuovo-spagnole, e soprattutto per tenere lontana la Rivoluzione, almeno nella sua versione francese.

Si può dire che, come accaduto nelle colonie inglesi dell’America settentrionale (25), l’indipendenza ha uno scopo in certo senso contro-rivoluzionario. Lo testimoniano numerosi autori e soprattutto fonti.  Purtroppo, il processo dell’indipendenza iberoamericana, e specialmente di quella messicana, viene caratterizzato da una grave crisi di potere, della quale approfittano i liberali rivoluzionari e anti-cristiani, che ne risultano, seppure largamente minoritari, i veri vincitori e beneficiari.

3. SONO FINALMENTE GIUNTO AGLI EVENTI PROSSIMI alla Cristiada. E non ho percorso quest’ultimo tratto della storia più velocemente perché motus in fine velocior, e nemmeno perché è più breve. Bensì e semplicemente perché è un periodo storiograficamente meno controverso. Tutt’al più se ne tace o minimizza la curvatura anticlericale, cioè ostile alla presenza pubblica della Chiesa cattolica.  

A Porfirio Diaz Mory (1830-1915), che, pur lasciandole in formale vigore, di fatto disapplicherà le «leggi di riforma», garantendo alla Chiesa e ai cattolici – cioè ai messicani – un periodo di relativa pace sociale, di «tolleranza» (26) succedono Francisco Ignacio Madero Gonzàlez (1873-1913), che muore assassinato, José Victoriano Huerta Marquez (1850-1916) e José Venustiano Carranza Garza (1859-1929).

Quest’ultimo, tra il 1914 e il 1920, promuove la persecuzione detta “carranzista” (27) – non più solo liberale, ma alleata alle correnti socialiste marxiste –, che inizia con l’espulsione dei gesuiti e dei sacerdoti stranieri dallo Stato del Nuevo Leòn (1914). Essa si accanisce anche contro le prime formazioni politiche cattoliche – fino ad allora i partiti erano prerogativa del notabilato massonico –, costituite all’inizio del nuovo secolo, come il Partito Cattolico Nazionale, naturalmente contro le chiese e gli edifici religiosi, nonché contro il clero cattolico vessato in ogni modo (non mancheranno gli oltraggiosi disseppellimenti di cadaveri di vescovi e religiosi, i cui resti venivano gettati per le strade).

Avrà il suo culmine nella promulgazione della “terribile” Costituzione del 1917, che sviluppa e condensa giuridicamente la “Rivoluzione messicana”, anticipando in molti punti la Costituzione sovietica. Questa Costituzione – tutt’ora vigente –, in particolare con cinque articoli, separa radicalmente la Chiesa dallo Stato, costringendola ad uno status giuridicamente inferiore anche a quello di comuni associazioni private: l’intento è precisamente di reciderne le radici sociali, confinando la fede e le sue manifestazioni in una dimensione, più che privata, “nascosta” e comunque soggetta a controlli e autorizzazioni amministrative particolarmente vessatori.

L’art. 3 esclude la religione da ogni programma scolastico e vieta alla Chiesa, al clero e alle “corporazioni religiose” qualsiasi tipo d’insegnamento. L’art. 5 proibisce ordini e voti religiosi. L’art. 24 impone che ogni atto di culto si svolga nei “templi” o nei domicili privati, e comunque sotto la sorveglianza dell’autorità. L’art. 27 dichiara la nazionalizzazione dei “templi” e di ogni edificio ecclesiastico o religioso, dai vescovadi ai seminari, e nega alle chiese ogni diritto e capacità patrimoniale ed economica (vendere e comprare).

L’art. 130 instaura un giurisdizionalismo stretto e rigoroso, vieta ai religiosi ogni espressione e attività che possa essere intesa come “politica” e critica nei confronti dello Stato e delle sue leggi, proibisce i partiti “confessionali”, nega ogni diritto elettorale ai “ministri del culto”, stabilisce un numero chiuso per il clero (in alcuni Stati, in esecuzione di tale disposizione, viene ammesso un sacerdote ogni centomila abitanti), che può essere solo di nazionalità messicana, istituendone un’anagrafe civile.  

Inizialmente, sotto la breve presidenza di Alvaro Obregòn Salido (1880-1928), queste norme ed indirizzi non vengono attuati se non blandamente; dopo la Cristiada saranno progressivamente “dimenticati”; solo nel 1992, comunque, le norme più ostili vengono emendate per attenuarne il tono anticlericale, nel rispetto del quale, tuttavia, papa Giovanni Paolo II, durante il suo primo viaggio in Messico, fu chiamato dalle autorità señor Wojtyla.

Intanto se sotto la presidenza Obregòn si allenta la persecuzione dall’alto, s’intensificano le violenze di “base”, che culminano nel sacrilego attentato alla Madonna di Guadalupe: la tilma solo per miracolo rimane integra. La svolta decisiva si avrà con la presidenza Calles.  Nel 1925 egli tenta di promuovere la costituzione di una scismatica “Chiesa Nazionale Messicana” di disobbedienza romana e di obbedienza governativa, un autentico classico della Rivoluzione anticristiana.

In poche settimane il tentativo abortisce per mancanza di fedeli. Il 12 maggio 1926 viene espulso il Nunzio Apostolico. Gli sforzi del presidente di applicazione letterale e rigorosa del dettato costituzionale contro la Chiesa in Messico culminano nell’approvazione il 14 giugno 1926 della così detta Ley Calles, promulgata il 2 luglio. Una delle disposizioni insieme più ridicole epperò rappresentative dello spirito della legge, è l’obbligo di battezzare con acqua corrente per ragioni igieniche.

La situazione della Chiesa e del culto cattolico diventa impossibile. Nel giro di un mese dalla sua promulgazione si pongono in atto le misure amministrative e di polizia per eseguirne le disposizioni – che non sono né più né meno quelle della Costituzione applicate nel modo più restrittivo – contro ogni realtà e manifestazione di vita religiosa. Il semplice possesso di un’immagine religiosa può costare la libertà, se non la vita, come avverrà sistematicamente durante l’insorgenzacristera.

La goccia che fa traboccare il vaso della pazienza e della mitezza cristiane è l’esecuzione forzata della nazionalizzazione delle chiese, dei conventi e di ogni edificio religioso. Il popolo cattolico, prevalentemente contadino, reagisce e si solleva in (poche e rudimentali) armi nell’agosto 1926. Intanto, alla persecuzione esso aveva reagito costituendo una serie di associazioni e organizzazioni, nelle quali si studiava il magistero sociale, le opere degli studiosi cattolici, le vite e le imprese delle più nobili figure del cattolicesimo ibero-americano come Augustín de Iturbide (28) e Garcia Moreno (29).

Quando la crisi si fa più acuta, i diversi organismi confluiscono nella Lega Nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa, che risponde alla promulgazione della Legge proclamando l’OLB, la strategia dell’Oraciòn, del Luto (i cattolici indossano il lutto per la morte della libertà religiosa), delBoicote (boicottaggio economico di tutto quanto fosse statale, dalle lotterie ai monopoli del fumo e dell’alcol, ai mezzi di trasporto, alle banche di proprietà pubblica dalle quali ritirano i propri risparmi).

Vengono raccolte in poche settimane due milioni di firme (una cifra immensa in un Paese di diciassette milioni di abitanti con un alto tasso di analfabetismo) in calce ad una petizione motivata, redatta da eminenti giuristi, con la quale si chiede al Parlamento di sospendere l’esecuzione della Legge. Il Parlamento la dichiara irricevibile con un solo voto contrario.

Che cosa rimane ai cattolici per difendere la libertà di vivere la fede? Papa Pio XI interviene prima con una lettera apostolica, poi con un’enciclica, cui nel tempo seguiranno altre due, e il “caso messicano” sarebbe stato da lui portato ad esempio del male di cui è capace la Rivoluzione atea e anticristiana, e della “congiura del silenzio” che la copre, nell’enciclica contro il comunismo Divini Redemptoris (19 marzo 1937).

I vescovi messicani ancora presenti nelle loro diocesi dopo una lunga serie di proteste e di appelli perché fosse rispettata la libertà religiosa, alla fine proclamano dal 31 luglio 1926, alla vigilia dell’entrata in vigore della Ley calles, la sospensione pubblica del culto cattolico su tutto il territorio nazionale. Misura inaudita, mai adottata prima, mai finora replicata, in tutta la storia della cristianità. Non più messe, non più sacramenti, non più cerimonie religiose dai matrimoni ai funerali, i tabernacoli vengono svuotati, le chiese serrate.

Difficile col senno di poi valutare questa decisione, che appare come un estremo grido di dolore, una provocazione per smascherare, concentrandoli nel tempo e nello spazio, gli effetti della legislazione radicalmente anticristiana, e rendere evidente a tutti quanto desolato fosse il panorama cui tende la Rivoluzione e così suscitare una presa di coscienza, una resipiscenza o una reazione civile. Quello che è certo, però, è che né i vescovi, né tanto meno la Santa Sede, vogliono, e neppure incoraggiano o velatamente suggeriscono, l’insorgenza armata – la cui legittimità morale fu a lungo tema di discussione tra la gerarchia ecclesiastica (30) –, che è un’iniziativa propria ed esclusiva del popolo cattolico.

Sono le autorità sociali (31) a giudicare l’estremo rimedio l’unica possibile risposta ad un’intollerabile tirannia, alla quale non è lecito rassegnarsi perché nega diritti fondamentalissimi e il principale bene civile, la libertà di vivere e praticare la fede nella propria patria (32).Tale giudizio è inoltre confortato da una ragionevole speranza di successo – ed infatti sul campo i cristeros non sono stati mai sconfitti – e dalla convinzione che la situazione era giunta ad un punto tale che non v’era più alcuna pace sociale che meritasse di essere comunque conservata. E nemmeno sembra loro di dover paventare un peggioramento delle condizioni di vita della Chiesa e dei cattolici a causa dell’insorgenza armata (ed infatti, dopo la Cristiada, sia pur lentamente, le cose sono andate sempre migliorando), che è ormai l’unica alternativa alla resa e quindi allo sradicamento forzoso del culto cristiano dal Messico (33).

4. INIZIA DUNQUE LA GUERRA CRISTERA, la Cristiada. I suoi attori si considerano membri di un Esercito Liberatore o Guardia Nazionale, la cui insegna è, con il Cuore di Gesù e l’immagine dalla Madonna di Guadalupe, Dios, Patria y Libertad. E Cristiada viene chiamata la loro epopea, con riferimento al classico poema epico di Marco Gerolamo Vida da Cremona (1485-1566) in sei cantiche sulla vita di Gesù Cristo La Cristiade, che ebbe largo corso nel mondo ispanico nel secolo XVI e nei successivi.

Lo spirito che li anima è ben illustrato dal loro giuramento: «Io, N. N., prometto solennemente, sulla mia parola di uomo e sul mio onore di cavaliere, e giuro davanti a Dio, Giudice Supremo, che terrà conto di tutti i miei atti, e davanti a nostra Madre e Regina Santa Maria di Guadalupe, Patrona dell’Esercito Liberatore: di operare con ogni entusiasmo per la nobile causa di Dio e della Patria e di lottare fino a vincere o a morire, nell’adesione al piano del Movimento liberatore. Giuro anche obbedienza e subordinazione ai miei superiori e di evitare ogni difficoltà con i miei fratelli nella lotta, dimenticando rancori personali, affinché agiamo d’accordo in tutto fino a ottenere la vittoria. Giuro inoltre che per nessun motivo o circostanza rivelerò qualcosa che possa compromettere i miei fratelli nella lotta, ma preferirò morire piuttosto che tradire la santa Causa. Prometto e giuro, infine, per la salvezza eterna della mia anima, di comportarmi da vero cristiano e di non macchiare la santa Causa che difendiamo, con atti indegni» (34).

Sul piano logistico, l’Esercito Liberatore – sempre comunque carente di mezzi: si calcola che ognuno dei circa cinquantamila armati che alla fine annovera non avesse mai contemporaneamente più di una decina di proiettili – sarà sostenuto dalle Brigate Femminili intitolate a Santa Giovanna d’Arco, che svolgeranno un preziosissimo lavoro nelle retrovie e nelle città. I cristeros suppliscono alla mancanza di clero (non tutti, dei pochi sacerdoti e vescovi rimasti in Messico, li seguono) per la celebrazione della Messa con la quotidiana recita del Rosario.

Teatro dell’insorgenza è di fatto l’intero territorio della Repubblica Federale, ma essa viene combattuta soprattutto negli Stati centro-occidentali, dove maggiore è il radicamento della Chiesa e più forte la devozione dei fedeli, come il Jalisco, il Michoacàn, il Guanajuato, il Querétaro, il Durango, la Colima, lo Zacatecas. In altri termini, la Cristiada – come la Vandea – avviene dov’è più alta l’intensità religiosa, dove l’evangelizzazione è stata più profonda o dov’è stata “ripresa”, come nel caso vandeano grazie alla predicazione di S. Luigi Grignion de Montfort (1613-1716) in Vandea e Bretagna.

Non mancano gli episodi di eroismo, di martirio e neppure veri e propri miracoli. L’impasse militare in cui presto si trova l’esercito federale spinge ad una repressione violenta nei confronti della popolazione civile rimasta nei villaggi e nelle città: il minimo segno esteriore di appartenenza alla Chiesa, come qualsiasi atto di culto e di amministrazione (clandestina) dei sacramenti da parte dei pochi sacerdoti non fuggiti né uniti ai combattenti, costa la vita.

«“L’esercito federale” scrive il generale Luis Garfias “ha condotto una guerra senza pietà. Non faceva prigionieri, i civili venivano presi in ostaggio e molti fra loro fucilati. La tortura era sistematica, molti villaggi furono rasi al suolo” […] uno stato che esponeva i cadaveri e fotografava con compiacimento i propri orrori […] i rivoluzionari ritenevano che tutto fosse permesso contro il nemico della Rivoluzione» (35).

Dopo circa un anno di “spontaneismo armato” e di guerra di guerriglia, combattuta da gruppi poco o punto collegati tra loro, nell’estate del 1927, viene “assunto” e nominato capo dell’Esercito Liberatore – il cui comando, le cui operazioni e la cui struttura vengono così unificate – il generale Enrique Gorostieta y Velarde (1890-1929), ufficiale di carriera, che si unisce ai cristeros non per fede ma per rancore nei confronti del Governo, che non ne avrebbe premiato i meriti.

Durante la guerra si convertirà al cattolicesimo e condividerà fino in fondo la fede e le ragioni dei suoi soldati, portando sulla camicia un grande e ben visibile crocifisso, segno delle sue nuove e profonde convinzioni. Alla sua morte, il 2 giugno 1929, gli succede per qualche settimana Jesus Degollado Guìzar, fratello della madre del fondatore dei Legionari di Cristo, p. Marcial Maciel Degollado (1920-2008). Tornando per un momento alla questione della liceità morale della decisione d’insorgere e della conseguente guerra, va osservato ch’esse vanno valutate col senno ex ante, sebbene quello “di poi” aiuti a capire meglio.

Da questo punto di vista, rivelatore dello spirito dominante nei cristeros è il fatto che nessuno di essi si sia trasformato, dopo la guerra, in bandito di strada: dall’Esercito Liberatore non sono usciti briganti, come spesso accade in simili circostanze agli “sconfitti” (le virgolette significano la peculiarità della sconfitta cristera, non avvenuta sul campo). La loro devozione e il loro spirito di crociata erano autentici. Ed è con questo spirito che prendono quella che è una “decisione in prima persona”, come sopra descritta. Fu proprio prudente? Si può discutere, ma certamente non fu avventata, né priva di ragioni.

I vescovi messicani e la Santa Sede non hanno mai condannato l’insorgenza, ma non l’hanno neppure formalmente benedetta, come sarebbe accaduto dieci anni dopo per l’alzamiento spagnolo con la famosa Lettera collettiva dell’episcopato dell’1 luglio 193736. Sta di fatto, però, che se il vescovo di Durango, José Maria Gonzàlez y Valencia (1884-1959), pur senza mai pubblicizzare la sua opinione, condivide le ragioni degl’insorgenti e dell’insorgenza, sostenendole presso i suoi confratelli, certamente pubbliche sono le prese di posizione dell’«Osservatore Romano», che segue praticamente giorno per giorno la guerra cristera, non dissimulando le proprie opinioni, e quelle dei principali teologi morali del tempo.

«Né si dica che potrebbero i cattolici unirsi e organizzarsi a tentare una difesa per le vie legali; perché ogni associazione di fedeli per un tale fine è strettamente vietata dalla legge Calles con le pene più gravi (artt. 10-16); sicché non resta alle masse che non vogliono sottostare alla tirannia o non sono più frenate dalla pacifica predicazione del clero, che la ribellione violenta» (37).

«La Lega nazionale per la difesa della libertà religiosa al Messico, in nome di tutti i messicani che lottano per la santa libertà di coscienza, e per le istituzioni sacre della famiglia, della proprietà e della religione; in nome di questa patria afflitta, in nome del sangue generoso, versato a fiotti sui campi da battaglia dai nostri eroici liberatori; in nome del sangue benedetto dei nostri martiri, che sono morti per la fede di Cristo nostro Re, invia un voto caloroso di riconoscenza e di gratitudine agli illustri intellettuali europei che, di fronte al mondo, e seguendo l’esempio di Sua Santità il Papa, e di Bernard Shaw [1856-1950], hanno denunciato l’infame “cospirazione del silenzio” con cui la sedicente stampa d’informazione ha raccolto le iniquità compiute ogni giorno nella persecuzione religiosa intrapresa contro di noi» (38).

«Fanno molto male quelli che, credendo, di difendere la dottrina cristiana, disapprovano il movimento armato dei cattolici messicani. Per difendere la morale cristiana non è necessario ricorrere alle menzogne di certe false dottrine pacifiste. I cattolici messicani stanno usando di un diritto e compiendo un dovere» (39). Anche la «Civiltà Cattolica» ne avrebbe poi esaltato le gesta (40).

Quanto al Pontefice Pio XI, per lui parlano le encicliche dedicate al Messico in quegli anni, che tolgono ogni fondamento alla tesi di una sua presa di distanza dal movimento cristero, che risulterebbe da una certa nota comparsa su «L’Osservatore». «C’è chi crede e vuol far credere che circoli nel Messico e altrove la voce che lo stesso Sommo Pontefice ha impartito una speciale benedizione dell’insurrezione armata ed ha perfino concesso indulgenze speciali ai combattenti, incoraggiando quindi (viene da sé) anche la raccolta di denaro destinato ai combattenti. Consta da numerosi e noti documenti del Santo Padre si è sempre schierato dalla parte dei suoi figli messicani perseguitati e sofferenti per la fede dei loro padri, ma è pure documentato che nulla vi è di vero nella voce di cui sopra» (41).

È tuttavia vero che la Santa Sede e buona parte dell’episcopato vivono con un certo disagio e persino imbarazzo la guerra cristera, e si potrebbe dire che non vedano l’ora che essa finisca. E così, non appena se ne presenta l’occasione e nonostante che l’armata cattolica sia in una posizione di forza, impongono gli accordi (arreglos) con il governo, cui con grandissimo e sofferto spirito di obbedienza i comandanti, i soldati e il popolo cristero si sottomettono. (Forse perché ammaestrate da questa esperienza, dieci anni dopo le gerarchie ecclesiastiche si sarebbero regolate diversamente circa la cruzada spagnola).

Gli arreglos si rivelano una vera trappola. Alla Chiesa non viene concesso giuridicamente nulla, tanto è vero che i vescovi che partecipano alle trattative devono presentarsi ai colloqui con gli esponenti del governo e dell’esercito federale in abiti civili, in obbedienza al permanente divieto di usare gli abiti religiosi fuori dai luoghi di culto autorizzati. È veramente singolare come, pure in mancanza di qualsivoglia garanzia da parte del governo, gli accordi di pace vengano firmati il 21 giugno 1929. Gli scontri armati durano ancora qualche settimana, ma poi, in obbedienza alle loro autorità ecclesiastiche, i cristeros smobilitano.

Essi però non si fidano troppo dei federali (e forse anche delle capacità di discernimento dei loro pastori), e ritirandosi invitti, dei circa cinquantamila armati, solo quattordicimila consegnano il proprio fucile. E avevano ragione i diffidenti. Inizia subito una repressione durissima e feroce. I più ingenui tra ufficiali e soldati cattolici vengono presi casa per casa: si calcolano in circa millecinquecento gli uccisi dopo gli arreglos, a guerra finita.

Il generale Degollado è tra i diffidenti e presto espatria, salvando così la sua vita. «In effetti poco dopo gli accordi del luglio 1929, il governo Portes Gil [Emilio, 1890-1978], dando prova di quello “spirito di buona volontà e di rispetto” assicurato ai vescovi negoziatori degli arreglos, mons. Leopoldo Ruiz y Flòres [1865-1941] e mons. Pascual Dìaz Barreto [1876-1936], diede inizio per mezzo di sicari prezzolati allo sterminio sistematico e premeditato dei cristeros che avevano deposto le armi, al fine di ostacolare qualunque rinascita del movimento.

La caccia all’uomo fu efficace e crudele: si può calcolare, appoggiandosi sulle testimonianze di cristeros che si salvarono, come, appunto, i capi Jesùs Degollado e Josè Gutièrrez, una cifra di almeno 1.500 vittime, delle quali quasi cinquecento erano capi militari, dal grado di tenente a quello di generale. Furono ammazzati più capi cristeros dopo gli arreglos che non durante la guerra. Questo lascia intendere quanto lunga e dura sia stata la prova di fede sostenuta dai cristeros, i quali ciononostante si mantennero fedeli alla Chiesa e alla loro promessa a Cristo Re, aiutati soprattutto dagli stessi sacerdoti che li avevano assistiti spiritualmente durante la guerra» (42).

Così sullo stesso argomento ritiene di esprimersi il generale Degollado in una lettera ai cristeros: «In realtà, il nascente accomodamento concertato fra l’Ecc.mo Delegato Apostolico e il presidente Portes Gil ci ha strappato la cosa più nobile, la cosa più sacra che figurasse nella nostra bandiera [ma abbiamo obbedito], poiché la Chiesa ha dichiarato che, per il momento, si rassegnava ad accettare ciò che era riuscita a ottenere, sperando di arrivare con altri mezzi alla conquista delle libertà di cui necessita e alle quali ha pieno diritto. In conseguenza, la Guardia Nazionale ha assunto tutta la responsabilità del conflitto, ma quella responsabilità non le sarà imputabile a partire dal 21 giugno scorso: l’attuale situazione non è stata né voluta né gradita da parte sua […]».

«Dobbiamo […] rispettare con riverenza i decreti ineluttabili della Provvidenza: è certo che non abbiamo avuto vittoria completa, ma vi è per noi come cristiani una soddisfazione intima molto più ricca per l’anima: il compimento del dovere e l’offerta alla Chiesa e a Cristo del più prezioso dei nostri olocausti: quello di vedere infranti davanti al mondo i nostri ideali, ma conservare – sì vivaddio! – la convinzione sovrannaturale, che la nostra fede mantiene e alimenta, che finalmente Cristo Re regnerà in Messico, non a metà, bensì come Sovrano assoluto […] la Guardia Nazionale sparisce, non perché vinta dai suoi nemici, bensì, in realtà, perché abbandonata da quelli che dovevano ricevere, per primi, il frutto prezioso dei suoi sacrifici e abnegazioni […]. Città del Messico, agosto 1929 […]. Jesùs Degollado Guìzar, Soldato di Cristo Re» (43).  

Camisas Rojas

La situazione così determinatasi, comunque e nonostante tutto complessivamente migliore di quella sotto Calles (che nel frattempo era stato destituito, pur conservando una certa influenza sul governo), avrebbe portato ad un’altra insorgenza armata, la cosiddetta Segunda (1934-38), certamente di dimensioni minori sia per intensità che per estensione. In essa si distinguono per furore anticattolico le Camisas Rojas, un gruppo dichiaratamente garibaldino-fascista, fondato e guidato da Tomàs Garrido Canabal (1891-1943), governatore dello stato di Tabasco e nel 1934 ministro dell’Agricoltura. Egli invierà una bottiglia di champagne in carcere ai militanti che il 30 dicembre 1934 avranno sparato sui fedeli all’uscita dalla Messa, uccidendone cinque. Questa organizzazione evidenzia connessioni ideologiche dell’odio anti-cattolico rivoluzionario tanto interessanti quanto intenzionalmente ignorate.

5. PROVO ORA A TIRARE LE FILA DEL DISCORSO, di fare unità tra i fatti e il loro significato, affinché possano dirci, se ne hanno da dire, qualcosa per il nostro oggi.  La guerra cristera fu guerra “religiosa” (44) e non di classe (45), come qualcuno sostiene, ritenendo quella religiosa una mera sovrastruttura di un conflitto che opponeva il popolo contadino alla borghesia cittadina.

In realtà, le guide del movimento cristero erano tutti socialmente borghesi – come il beato martire (46) Anacleto Gonzàlez Flores (1888-1927)47 avvocato e dirigente della Lega nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa, ucciso dai governativi dopo essere stato torturato –, e le motivazioni religiose o anti-religiose furono praticamente sincere da entrambe le parti. Una di queste era costituita dal popolo messicano, articolato in tutte le sue classi, come risultato dalla Conquista e dalla successiva evangelizzazione, come erede della realtà della civiltà indo-cristiana e del suo effettivo radicamento, popolo che voleva rimanere fedele a tale eredità ed identità, nelle quali riconosceva la propria patria.

Dall’altra, c’era una potente minoranza liberalmassonica, sempre più radicale fino ad assumere tratti giacobini e quindi filo-socialisti, che invece riteneva l’identità cattolica e la presenza della Chiesa fattori di arretratezza e impedimento allo sviluppo e al progresso della patria. Questa minoranza cercò d’imporre con la forza – era la temperie dell’epoca – al popolo messicano quella “riforma” che tanti si attardano a rimpiangere come obiettivo mancato da tutte le “rivoluzioni” italiane, da quella umanistica non cristiana a quella risorgimentale, fino alla Resistenza.

In Messico, dunque, si svolge con la modalità accelerata e cruenta, un episodio forse periferico – ben altra centralità avrà quello, già richiamato per la sua analogia ma anche per la sua diversità, che interesserà dieci anni dopo la già madre patria spagnola – della Rivoluzione anti-cristiana (48), la cui cifra è sempre, in ultima analisi, religiosa, anche quando assume tratti politici, o socio-economici, o morali e culturali. Come già osservato, la principale differenza tra le due vicende è l’assenza nei cristeros di un qualsivoglia progetto politico specifico.

Essi chiedevano soltanto la piena libertà religiosa, mentre in Spagna, come pure s’è già detto, si sarebbero scontrate anche due ben distinte idee dell’ordine civile, che all’interno dei due fronti in lotta presentavano accentuazioni e sfumature di posizioni diverse, quando non difficilmente compatibili, fermo restando il carattere esplicitamente cattolico di uno di essi. 

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1) Semplificazione di cristoreyes, appellativo con il quale veniva dileggiato il loro grido di guerra e di morte, «Viva Cristo Rey!».

2) Francese naturalizzato messicano nel 1979, può essere considerato lo storico della guerra cristera, di cui ha contemporaneamente svelato e custodito la memoria con la sua monumentale opera, iniziata come tesi di dottorato e pubblicata dieci anni dopo in tre volumi, La Cristiada, Tusquets Editores, Mexico 1975, che fino al 2000 ha avuto venti edizioni, ma mai tradotta in italiano.

3) JEAN MEYER, Quando la storia è scritta dai vincitori. Insurrezione vandeana e rivolta dei cristeros messicani: due sollevazioni popolari escluse dalla storia ufficiale e dalla memoria nazionale, in La Vandea, Corbaccio, Milano 1995, p. 239.

4) In entrambi i casi s’insorge in armi contro un potere ostile, che intende negare e impedire alla Chiesa e al cristianesimo, nonché l’influenza, la mera presenza sociale, non esitando allo scopo a ricorrere anche alla persecuzione violenta. Ma l’analogia finisce lì: nel conflitto in Spagna le motivazioni politiche ed economiche hanno un peso tutt’altro che irrilevante. Cfr., tra i tanti studi di cui è costituita una sterminata bibliografia, ESTANISLAO CANTERO NUÑEZ, 1936. «L’assalto al cielo»: la guerra civile spagnola. Le cause dell’«alzamiento», in «Cristianità», 24 (1996), ottobre, n. 258, p. 19-26.; GABRIELE RANZATO, La Guerra di Spagna, Giunti, Firenze 1995; IDEM, La grande paura del 1936. Come la Spagna precipitò nella guerra civile, Laterza, Roma-Bari 2011; LUIS PIO MOA RODRIGUEZ, Le origini della guerra civile spagnola, trad. it. Edizioni della Meridiana, Firenze 2006. Più specificamentesulla persecuzione religiosa, i cui martiri riconosciuti dallaChiesa, tra beati e santi, sono quasi duemila, oltre la classica opera dimons. ANTONIO MONTERO MORENO, Historia de la persecuciòn religiosa en España, 1936-1939, BAC, Madrid 2004, si possono consultare diVICENTE CÀRCEL ORTÌ, La Gran Persecuciòn. España, 1931-1939. Historia de còmo intentaron aniquilar a la Iglesia catòlica, EditorialPlaneta, Barcelona 2000, ed una sua versione ridotta, tradotta in italiano, Buio sull’altare. 1931-1939: la persecuzione della Chiesa in Spagna, Città Nuova, Roma 1999. Mi permetto di rinviare anche aimiei Spagna 1936: l’«assalto al cielo», in «Annali Italiani on line», 14 dicembre 2007, (visitato il 29 gennaio 2015), e A guerra civil espanhola 70 anos depois, intervista a «Catolicismo», 58 (2008), gennaio,n. 685, p. 20-24.

5) Cfr. La Vandea, cit. e soprattutto lo studio dello storico francese Reynald Secher (1955-viv.), tradotto in italiano, Il genocidio vandeano, con una prefazione di Jean Meyer e una presentazione di Pierre Chaunu (Effedieffe, Milano 1989). Secher ha anche curato con Jean- Joël Brégeon (1946-viv.) la riedizione di un pamphlet di Gracchus (François Noël) Babeuf (1760-1797), La guerra della Vandea e il Sistema dello Spopolamento (Effedieffe, Milano 1989), cui ha premesso un lungo saggio introduttivo intitolato anch’esso Il genocidio vandeano.

6) Il titolo richiama quello del romanzo dello scrittore inglese Graham Greene (1904-1991), The power and the glory (trad. it. Il potere e la gloria, Mondadori, Milano 1971), la drammatica storia, nel Messico della persecuzione anticattolica successiva alla Cristiada, d’un sacerdote alcolista e peccatore in fuga da un tenente dell’esercito federale che gli dà la caccia, e che si riscatta con un atto di fedeltà al suo ministero pur nella consapevolezza che gli sarebbe costato, come effettivamente gli costerà, la vita. L’opera ha ispirato la sceneggiatura de La croce di fuoco, film diretto da John Ford (1894-1973) nel 1947 con Henry Fonda (1905-1982) in veste di attore protagonista.

7) Regia di Tim Wright. Tra gl’interpreti: Peter O’Toole, Andy Garcia, Eduardo Veràstegui.

8) Cfr. MARIO ARTURO IANNACCONE, Cristiada. L’epopea dei Cristeros in Messico, Lindau, Torino 2013.

9) «È urgente […] che […] ci si interroghi sul rapporto che intercorre tra il fatto e il suo significato; rapporto che costituisce il senso specifico della storia» (GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio circa i rapporti tra fede e ragione, 14 settembre 1998, n. 94).

10)  Cfr. JOSEPH DE MAISTRE, Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche e delle altre istituzioni umane, trad. it. SocietàEditrice Il Falco, Milano 1982, p. 23.

11) BENEDETTO XVI, Discorso ai membri del pontificio comitato di scienze storiche, 7 marzo 2008.

12) Cfr. PIO XI, Lettera enciclica Quas primas sull’istituzione dellafesta di Gesù Cristo Re, 11 dicembre 1925.

13) Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto Apostolicam actuositatem sull’apostolato dei laici, 18 novembre 1965.

14) Cfr. JEAN DUMONT, La regina diffamata. La verità su Isabella la Cattolica, trad. it. SEI, Torino 2003.

15) Cfr. CÉSAR VIDAL MANZANARES, España frente al islam. De Mahoma a Ben Laden, La Esfera de los Libros, Madrid 2004, in particolare i capitoli I-XIII (p. 19-229).

16) Cfr. GIOVANNI CANTONI, La Conquista dell’Iberoamerica (1493-1573): i protagonisti, le modalità e i problemi, in Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa, a cura di Giovanni Cantoni e FrancescoPappalardo, D’Ettoris editori, Crotone 2006, p. 139-181; JEANDUMONT, Il Vangelo nelle Americhe. Dalla barbarie alla civiltà, prefazione di Marco Tangheroni, trad. it. Effedieffe, Milano 1992.

17) Cfr. MARCO TANGHERONI – MAURIZIO PARENTI, Cristoforo Colombo, ammiraglio genovese e «defensor fidei», in «Cristianità», 20(1992), marzo, n. 203, p. 11-17.

18) Cfr. ALBERTO CATURELLI, Il Nuovo Mondo riscoperto. La scoperta, l’evangelizzazione dell’America e la cultura occidentale, trad. it.Ares, Milano 1992.

19) MARIUS ANDRÉ, Préface a LAUREANO VALLENILLA LANZ, Césarisme démocratique en Amérique, trad. franc., Èditions de la Revue de l’Amérique latine, Chez Exprinter, Paris 1927, p. 7-8, cit. in GIOVANNI CANTONI, L’indipendenza politica iberoamericana (1808-1826): dalla «reazione istituzionale» alla guerra civile, in Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa, cit. p. 387-388.

20) Ivi, p. 9-10 (p. 388-389).

21) CANTONI, La conquista dell’Iberoamerica, cit., p. 169.

22) Cfr. DUMONT, Il Vangelo nelle Americhe, cit., soprattutto p. 75-83.

23) Per Isabella di Castiglia, gl’indigeni del Nuovo Mondo vanno trattati «bene e con amore, senza far loro il minimo torto, in maniera tale da avere con loro molto dialogo e familiarità» (Istruzione a Cristoforo Colombo del 29 maggio 1493, cit. in DUMONT, La regina diffamata, cit., p. 121-22). E ancora: «È necessario informare gl’Indiani sulla nostra santa fede affinché ne giungano a conoscenza, senza esercitare su di loro alcuna costrizione» (Istruzione al Governatore delle Indie, Nicolas de Ovando, del 16 settembre 1501, cit. in ivi, p. 125). Nel suo testamento raccomanda di «non permettere che gl’indigeni […] subiscano il minimo torto nelle loro persone e nei loro beni. Al contrario, bisogna ordinare che siano trattati con giustizia e umanità, riparando ai torti che essi possono aver subito», allo scopo di «indurre e portare [quei] popoli convertiti alla nostra santa fede cattolica» (cit. in ivi, p.128).

24) Devo tutte le mie informazioni sul processo dell’indipendenza messicana e della sua evoluzione politica all’insuperabile sintesi di CANTONI, L’indipendenza politica iberoamericana, cit.

25) Cfr. FRIEDRICH VON GENTZ, L’origine e i princìpi della rivoluzione americana a confronto con l’origine e i princìpi della rivoluzione francese, introduzione di Russel Amos Kirk, prefazione di John Quincy Adams, trad. it., Sugarco, Milano 2011.

26) Mi sono avvalso, per questa ultima rapida ricostruzione soprattutto dell’articolo di EMILIO MARTÌNEZ ALBESA, Messico, dal Regno cattolico alla Repubblica laicista. Verso la guerra dei cristeros, in «Nova Historica. Rivista internazionale di storia», 7 (2008), n. 25, p. 9-31.

27) Cfr. LUIS ALFONSO OROZCO MARTINEZ, Il Messico dal 1914 al 1940 e la guerra cristera, in «Nova Historica. Rivista internazionale di storia», 7 (2008), n. 25, p. 38-39.

28) «Il militare e uomo politico Augustín de Iturbide (1783-1824) – imperatore del Messico dal 1823 al 1824 – proclama l’indipendenza della Nuova Spagna il 24 febbraio 1821, pubblicando nella città di Iguala – oggi Iguala de la Independencia, nello Stato di Guerrero, a 120 chilometri da Città del Messico – appunto il Plan de Iguala, un programma politico secondo cui “1º La religione della Nuova Spagna è e sarà quella cattolica, apostolica, romana, senza titolo giuridico per nessun’altra. 2º La Nuova Spagna è indipendente dalla vecchia e da ogni altra potenza, anche del nostro continente. 3º Il suo governo sarà una monarchia moderata, in accordo con la costituzione peculiare e confacente del regno. 4º Il suo imperatore sarà il signor don Ferdinando VII, e, se non si presenterà personalmente in Messico a prestare il giuramento entro il termine che verrà indicato dalle Cortes, saranno chiamati in tal caso il serenissimo signor infante don Carlo [di Borbone (1788-1855)], il signor don Francesco di Paola [di Borbone (1794-1865)], l’arciduca Carlo [Ludovico di Borbone (1799-1883)] o un altro membro di casa regnante che il Congresso giudichi adeguato” […]; inoltre “12º Tutti gli abitanti della Nuova Spagna, senza distinzione alcuna fra europei, africani e indios, sono cittadini di questa monarchia con la possibilità di svolgere ogni funzione, secondo i propri merito e capacità” […]; infine 16º “Si formerà un esercito protettore che si denominerà delle Tre Garanzie, perché prende sotto la sua protezione, in primo luogo, il mantenimento della religione cattolica, apostolica, romana, collaborando con ogni mezzo alla sua portata affinché non vi sia mescolanza alcuna con nessuna setta e vengano attaccati opportunamente i nemici che la possono danneggiare; in secondo luogo, l’indipendenza sotto il sistema descritto; in terzo luogo, l’unione strutturale di americani e di europei; così, garantendo basi tanto fondamentali di una condizione felice della Nuova Spagna, si sacrificherà dando la vita dal primo all’ultimo dei suoi membri prima di consentire la loro infrazione”» (CANTONI, L’indipendenza politica iberoamericana, cit., p. 419-420).

29) Gabriel Gregorio García y Moreno y Morán de Buitrón (1821-1875) due volte presidente dell’Ecuador (1859-1865 e 1869-1875). Viene assassinato il 6 agosto 1875, durante il suo secondo mandato, per mano dei sicari della Massoneria. Crivellato di colpi, al loro grido: «Muori, carnefice della libertà!», egli ebbe ancora la forza di rispondere: «Dios no muere!» (Dio non muore!). È ricordato per la sua prospettiva di fede solidamente allineata con la tradizione della Chiesa cattolica. Sotto la sua amministrazione, l’Ecuador divenne la nazione leader nel campo della scienza e dell’educazione superiore nell’America Latina.

30) Cfr. JUAN GONZÀLEZ MORFÌN, «L’Osservatore Romano» e la guerra cristera, in «Nova Historica. Rivista internazionale di storia», 7 (2008), n. 25, p. 74-87 e IDEM, La liceità morale della guerra dei cristeros (1926-1929), in «Cultura & Identità», 3 (2011), n. 9, p. 74-87.

31) Per autorità sociale intendo chiunque, pur non rivestendo cariche istituzionali o di rappresentanza, cioè non essendo titolare di potere formale, trovi séguito nel popolo. «La valutazione delle condizioni che giustificano una rivoluzione dev’essere fatta dagli uomini migliori per virtù, prudenza e competenza, che s. Tommaso [1225-1274] chiama “homines virtuosi” [«oggi questi uomini si potrebbero chiamare leaders»], realmente mossi dal bene comune» (REGINALDO MARIA PIZZORNI, Filosofia del diritto, Pontificia Università Lateranense-Città Nuova Editrice, Roma 1982, p. 407, la citazione tra parentesi quadra è ibidem, nota 35).

32) Sul diritto di resistenza e d’insorgenza anche armata, cfr. PIZZORNI, Filosofia del diritto, cit., p. 396-427, con specifico riferimento al “caso messicano”. «[…] In teoria la resistenza armata è lecita soltanto come ultima ratio, quando non vi sia altro mezzo per la salvezza della società. In pratica però la sua legittimità dipende dalle particolari e molteplici circostanze storiche ed ambientali, dalle quali si dovrà giudicare dell’opportunità di ricorrervi. Al riguardo notiamo come i Vescovi messicani evitando di pronunciarsi direttamente per la rivoluzione l’approvarono implicitamente dichiarando che i laici “hanno il diritto di difendere con la forza i diritti inalienabili che non possono difendere con mezzi pacifici” [Cfr. Déclaration des evéques au président Calles, in «America», 14 maggio 1927, p. 99]» (Ibid., p. 419, il riferimentotra parentesi quadra è ibidem, nota 54).

33) Sono queste le altre condizioni di legittimità dell’insorgenza armata,che in loro presenza diventa addirittura doverosa secondo il miglioreinsegnamento della teologia morale sociale. «[…] si ista concurrerent quod haberent causam iustam et potentiam, et non esset detrimentum boni communis, moverent seditionem rationabiliter, et peccarent si non moverent» [«se tutte questecondizioni concorressero, cioè che la causa sia giusta e si abbia la forzaper difenderla, e che non ci sia detrimento per il bene comune,ragionevolmente s’insorgerebbe contro il potere costituito, e anzi sipeccherebbe se non s’insorgesse»] (PETRUS DE ALVERNIA, Continuatio Sancti Thomae in Politicam, liber V, l. 1, n. 4, consultabile sul sitoCorpus Thomisticum, visitato il 29 gennaio 2015). 

34) Cit. in LUIS ALFONSO OROZCO MARTINEZ, Jesùs Degollado Guizar; l’ultimo generale cristero, in «Nova Historica. Rivista internazionaledi storia», 7 (2008), p. 64, n. 25.

35) MEYER, Quando la storia è scritta dai vincitori. Insurrezione vandeana e rivolta dei cristeros messicani: due sollevazioni popolari escluse dalla storia ufficiale e dalla memoria nazionale, cit., p. 243.«Rivoluzionari» per Meyer – e più correttamente rispetto a p. Pizzorni– sono i detentori del potere tirannico, e non gl’insorgenti.

36) Cfr., per una nuova traduzione italiana, «Nova Historica. Rivista Internazionale di Storia», 6 (2007), p. 64, n. 23.

37) «L’Osservatore Romano», 11 agosto 1926, cit. in GONZÀLEZ MORFÌN, «L’Osservatore Romano» e la guerra cristera, cit., p. 75-76.

38) Lettera di ringraziamento della Lega di Difesa della Libertà religiosa, in «L’Osservatore Romano», 28 settembre 1928, cit. in ibid., p.86.

39) P. Arthur Veermersch SJ [docente di teologia a Lovanio e alla Gregoriana, 1858-1936], 1927, cit. in GONZÀLEZ MORFÌN, La liceità morale della guerra dei cristeros (1926-1929), cit., p. 80.

40) «La Civiltà Cattolica», 1931, vol. 2, p. 78.

41) «L’Osservatore Romano», 8/9 giugno 1928, cit. in GONZÀLEZ MORFÌN, «L’Osservatore Romano» e la guerra cristera, cit., p. 83.

42) OROZCO MARTINEZ, Jesùs Degollado Guizar; l’ultimo generale cristero, cit., p. 71.

43) Cit.

44) Sebbene d’un tipo particolare: per difendere la propria religione, la libertà di professarla e viverla, e la sua rilevanza anche sociale, non per imporla.

45) Cfr. MASSIMO INTROVIGNE, I cristeros: fu davvero guerra di religione. Una recensione di Matthew Butler, Popular Piety and PoliticalIdentity in Mexico’s Cristero Rebellion. Michoacán, 1927-29, in «Cristianità», 33 (2005), luglio-ottobre, n. 330-331, p. 30-32.

46) Il 22 giugno 2004 viene dichiarato servo di Dio da S. GiovanniPaolo II, ed il 20 novembre 2005 beato da Benedetto XVI.

47) Secondo di dodici figli nati dalla famiglia povera di Valentín González Sanitiz e Maria Flores Navaho, fondatore e capo dell’Associazione cattolica della gioventù messicana e del giornale La Palabra, dal quale attaccava l’anticlericalismo del governo di Plutarco Elías Calles. Era anche il fondatore ed il presidente dell’Unione Popolare, istituita per organizzare i cattolici nella resistenza alle persecuzioni contro la Chiesa. Inizialmente, Anacleto sostenne la resistenza passiva contro il governo, venendo definito il “Gandhi messicano”. Nel1926, tuttavia, avendo appreso dell’omicidio di quattro membri dell’associazione cattolica della gioventù messicana, entrò a far parte della Lega Nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa, sostenendo così la ribellione dei cristeros. Anacleto non imbracciava le armi, ma faceva discorsi di incoraggiamento e scriveva opuscoli di propaganda e difesa delle ragioni della Chiesa e dei cattolici perseguitati contro il governo anticlericale; dava anche sostegno economico, vitto, alloggio e vestiti a chi lo richiedeva.

48) Cfr. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, presentazione e curadi Giovanni Cantoni, Sugarco, Milano 2009.

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