La trasformazione in atto della teologia morale cattolica (3)

Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân

sulla Dottrina sociale della Chiesa

Newsletter n.1125 del 17 Novembre 2020

di Stefano Fontana

Il problema del cominciamento consiste nel chiarire su cosa si fonda una disciplina, quale sia il suo principio, da dove essa abbia inizio. È il problema fondamentale dato che “un piccolo errore all’inizio è grande nella conclusione” [1]. Nell’inizio deve esserci anche il principio, vale a dire la giustificazione ultima dell’inizio. L’inizio, preso in sé, è solo un dato di fatto: un percorso è iniziato. Il problema del cominciamento consiste nel chiedersi cosa sia il principio dell’inizio, ossia cosa fondi, spieghi e legittimi quell’inizio. Ogni disciplina ha a che fare con questo problema.

Il problema del cominciamento si pone diversamente per la filosofia e per le altre discipline, tra cui la teologia. Solo la filosofia – e in particolare la metafisica – è capace di fondare se stessa, tutte le altre, compresa la teologia, partono da degli assunti che non sono in grado, rimanendo all’interno del loro ambito, di dimostrare. Per la teologia questo assunto consiste nella fede nella rivelazione di Dio.

La teologia morale ha quindi due fonti e, quindi, due cominciamenti. Il primo è il dogma nei suoi contenuti ed esigenze morali. Le verità rivelate e fissate dalla Chiesa nel deposito della fede contengono anche prescrizioni morali sia di tipo naturale che soprannaturale, precetti e consigli [2]. Oltre a precetti e consigli specifici, però, il dogma cattolico contiene anche delle esigenze formali ed epistemiche di logica della morale, sicché non gli si confà ogni tipo di morale filosofica, ma solo quella che corrisponde alla retta ragione pratica, alla logica della morale naturale. Il dogma cattolico non consente un pluralismo di visioni etiche.

Il secondo inizio / principio della teologia morale è l’etica naturale, l’uso della ragione pratica nel suo corretto rapporto con la ragione teoretica [3]. Questo inizio è autonomo dall’altro, dato che la ragione naturale ha una propria autonomia al suo specifico livello, e dato che la filosofia è un sapere capace di fondare se stesso dimostrando la verità del proprio inizio. Tuttavia non è scollegato in quanto fa capo allo stesso Dio, Creatore e Salvatore.

I due inizi sono complementari e si chiariscono a vicenda. La morale naturale trova se stessa e le proprie conclusioni naturali quando esamina, diventando teologia morale, le esigenze rivelate del dogma. Queste ultime trovano conferma umana nelle loro indicazioni etiche e, nello stesso tempo, temprano la ragione naturale, consolidandone ed elevandone i risultati. Si tratta quindi di complementarietà, ma secondo una ultima priorità della rivelazione sulla morale naturale. Ciò è reso evidente da due osservazioni. La prima è che la rivelazione ha anche insegnato leggi della morale naturale, ritenendo che la sola ragione naturale possa conoscere delle incertezze nei loro riguardi [4]. La seconda è che la natura umana è indebolita dal peccato e senza l’aiuto purificatore ed elevante della grazia della rivelazione rischia di perdersi.

Non possono costituire alcun inizio per la teologia morale le scienze umane in quanto non normative ma descrittive. Esse possono essere di aiuto (non essenziale) in seguito, ma non costituiscono nessuna fonte di legittimazione o di fondamento nel momento del cominciamento. La morale non può nascere dal comportamento registrato dalle scienze sociali in quanto essa guida il comportamento e non ne dipende. Se lo guida, essa deve già esserci prima e indipendentemente dal comportamento.

Non può essere cominciamento nemmeno un sapere scientifico in generale, perché la scienza è un sapere ipotetico-deduttivo e quindi né assoluto né universale. Non assoluto perché le sue conclusioni dipendono dall’ipotesi di partenza assunta; non universale perché le sue conclusioni valgono solo nell’ambito settoriale delimitato dall’ipotesi assunta. La morale non appartiene alla scienza ma alla filosofia o alla teologia.

Non può essere cominciamento nemmeno la situazione esistenziale o storica in cui si trova il soggetto morale. Né quindi una filosofia né una teologia narrative. Le situazioni esistenziali sono infatti mutevoli, ma l’etica vuole trovare delle norme di comportamento valide semper et ad semper, in ogni tempo, in ogni circostanza e per tutti.

Il cominciamento filosofico può essere dato dalla coscienza pensante (l’io penso) e avremo un morale razionalista, oppure dalla conoscenza dell’ordine finalistico dell’essere e avremo una morale realista. Il primo tipo di morale rimane però infondatoa in quanto viene semplicemente posta dal soggetto tramite un proprio atto di volontà indipendente da ogni presupposto, quindi arbitrario. Ciò che è posto senza ragioni non può essere considerato fondato. La morale risulta quindi fondata solo sulla conoscenza dell’ordine finalistico dell’essere. Si dice ordine “finalistico” e non semplicemente ordine, perché è il fine a dare il senso all’ordine, ci potrebbe essere un ordine senza fine ma in questo caso sarebbe senza senso, come nel caso dell’ordine deterministico che, infatti, non può fondare nessuna morale.

Questo vuol dire che il cominciamento della morale è la conoscenza di un mondo di essenze, la morale è “essenzialista” [5]. Il fondamento dei criteri per il bene e il male è la conoscenza dell’essenza finalistica delle cose su cui si fonda il giusnaturalismo realista. La priorità dell’essenza sull’esistenza è propria della filosofia classica e cristiana, il contrario è frutto della modernità.

La trasformazione in atto della teologia morale cattolica non accetta più questa impostazione né nel suo insieme né nei suoi aspetti particolari. Il rifiuto della metafisica non può che storicizzare la morale. La conoscenza delle essenze è considerata astratta e rigida e incapace di valorizzare, se non in senso applicativo, la situazione di vita in cui il soggetto agente deve operare. Si pensa poi che tale situazione di vita venga conosciuta dalle scienze umane che quindi diventano impropriamente costitutive del cominciamento.

Partendo dalla situazione (mutevole) si deve sostenere che la norma morale è sempre anche conosciuta tramite la coscienza soggettiva e, quindi, che in parte è anche sempre “posta” e non solo “trovata”. La coscienza è quindi anche fondativa della morale e non solo applicativa. Una sorta di razionalismo diventa quindi sempre presente nella nuova teologia morale. Per tutti questi motivi la norma morale diventa soggetta al cambiamento e all’evoluzione nel tempo.

La nuova teologia morale cattolica si contrappone quindi nettamente al quadro della teologia morale classica e cristiana. Benedetto XVI tra i motivi del “collasso della teologia morale” ha indicato l’abbandono del giusnaturalismo [6] e la riduzione della morale a morale biblica. Abbandono del giusnaturalismo significa abbandono della metafisica e rifiuto di un’etica essenzialista sostituita da una esistenzialista.

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[1] Tommaso D’Aquino, L’ente e l’essenza, in Opuscoli filosofici, Città Nuova, Roma 1989, p. 39.

[2] Cfr. M. Konrad, Precetti e consigli. Studi sull’etica di San Tommaso d’Aquino a confronto con Lutero e Kant, Lateran University Press, Città del Vaticano 2005.

[3] Cfr. J. Pieper, La realtà e il bene, Morcelliana, Brescia 2011.

[4] Cfr. S. Cecotti, La teologia della legge antica e della legge nuova, in AA.VV., Il senso della legge e le leggi senza senso, (a cura di S. Fontana), Fede & Cultura, Verona 2019, pp. 39-72.

[5] S. Th., I-II, q. 18, a. 5, ad. 1 – bene è essere secondo natura, male contro natura.

[6] Questo nella Nota del papa Emerito sulla Chiesa e gli abusi sessuali di aprile 2019. Cfr. anche S. M. Lanzetta, Un collasso della teologia morale  alla radice della crisi, “Fides Catholica” , XVI (2019) 1, pp. 5-16.