L’Italia:un mondo nel mondo

Agenzia Stampa Italiana 7 Ottobre 2020

di Giuliano Mignini

(ASI) Di solito, noi italiani non pensiamo all’Italia, a quella che è la nostra Patria. Perché? Perché siamo notoriamente individualisti e, tutt’al più, campanilisti. Motivi di solidarietà e di unione tra noi, in genere, non ne troviamo e partiamo da un errore capitale e cioè che laddove c’è diversità e ricchezza, c’è disunione. I mosaici ci dimostrano il contrario.

Cerchiamo di vedere perché abbiamo questa visione di noi stessi e della terra che ci ospita. Prima dell’affermazione di Roma, la nostra penisola, dalle Alpi a Pantelleria, era sostanzialmente divisa in due aree, una non indoeuropea, legata al sostrato neolitico mediterraneo e l’altra progressivamente e precocemente indoeuropeizzata.

La prima comprendeva la Sardegna, la vasta area ligure, l’area etrusca e “popolazioni affini” e quindi l’Etruria propria tra Arno, Tevere e Tirreno, gran parte del Nord Italia cioè l’Etruria padana, l’Etruria campana e l’Alto Adige retico. Sì, proprio così, con buona pace degli “irredentisti” sudtirolesi.

Nell’estremo sud, c’erano i Sicani e gli Elimi, nell’ovest della Sicilia con rapporti con i Liguri come dimostrano i toponimi Erice – Lerici, Segesta – Sestri levante ed Entella sia in Liguria che presso gli Elimi. Accanto a quest’area occidentale non indoeuropea e più arcaica, vi è l’Italia indoeuropeizzata, cioè il settore venetico, quello celtico che premeva dal nord e tendeva ad estendersi lungo l’Adriatico, il “Friuli” celtico, i protolatini, la vasta area “osco umbro sannitica” che andava dal Tevere verso l’Adriatico e si estendeva da nord a sud da Ancona fino a quello che si può chiamare l’Alto meridione, comprendente le odierne Campania, Abruzzi, Molise e Puglia, escluso il Salento, fino all’estremo sud della penisola, le prime penetrazioni greche e i Siculi nell’est della Sicilia. Più o meno, il quadro era questo.

Come si vede, non indoeuropei ad ovest, indoeuropei ad est. La progressiva affermazione di Roma unificò il panorama ma fino a un certo punto, tanto che la suddivisione linguistica dell’Italia attuale ripropone, più o meno, il quadro preromano. D’altra parte, Roma unificava ma era rispettosa delle individualità etnico storiche.

E’ curioso notare che la stessa Roma è una realtà eterogenea: ci sono i protolatini del Palatino, i protosabini, quindi anch’essi “osco umbri”, dell’Esquilino, del Quirinale e del Viminale e gli etruschi del Celio e del colle Vaticano che probabilmente dettero il nome (Ruma), a Roma. C’è addirittura una tribù “venetulana” che ci riporta ai Veneti.

È Roma, come vedremo, la chiave per comprendere l’Italia e la sua missione. Seguire le vicissitudini politiche dell’Italia dopo la fine dell’impero romano sarebbe impresa improba. Ci basta sottolineare l’assoluta frammentazione politica dei vari territori. Più semplice è osservare lo stesso periodo dal punto di vista etnico.

L’Italia subì una profonda ed estesa germanizzazione con le invasioni barbariche e con le conquiste dei Goti, Ostrogoti, Franchi e Longobardi e, piu’ tardi, i Normanni specie in Sicilia. Vi era poi l’apporto “greco bizantino” e una forte impronta araba specie in Sicilia, Calabria e coste del sud. Ancor oggi, dal punto di vista etnico, l’Italia è una specie di mondo nel mondo.

Lungi dall’essere soltanto un paese mediterraneo, nelle vene degli italiani scorre sangue latino, veneto, germanico, celtico, osco umbro, etrusco, sardo, ligure, siculo e sicano, messapico e così via e il fenotipo italiano vede sì la componente mediterranea, ma anche quella dinarica, quella nordide e cromagnonoide e una cospicua presenza “alpina”. Un mosaico di stirpi.

Vi sono connessioni tra aree che oggi siamo abituati a considerare lontane ed estranee come ad esempio quella tra la tribù ligure degli Ambrones e l’etnonimo (misterioso) “Umbri” (si veda “Umbri/Il Sizzi’ in ilsizzi.wordpress.com>tag>Umbri).  Per gran parte della storia, l’Italia fu oggetto di ammirazione e di stima nel mondo. Poi giunse la Riforma protestante e il quadro cambiò.

E così, mentre, nel fatidico 7 ottobre 1571, i genovesi, i veneziani, i toscani e i pontifici, tutti italiani e cattolici, insieme ai cattolici tedeschi e, soprattutto, a quell’impero di Spagna, baluardo dell’Europa cattolica, combatterono e vinsero contro la flotta ottomana e difesero tutta l’Europa, anche quella protestante, dalla vittoria islamica e dalle sue conseguenze, il mondo protestante, anche quello per motivi matrimoniali, come quello anglicano, si teneva lontano dallo scontro, protetto dalla flotta cattolica di Giovanni d’Austria. Ciononostante, non perdevano occasione per calunniare la Chiesa e l’Italia.

Già che ci siamo, il comandante della fanteria di marina della flotta cattolica era, niente di meno che, il nostro concittadino Ascanio della Corgna e i circa ottocento perugini della flotta erano contesi tra le navi cattoliche per il loro ardimento e la loro proverbiale aggressività.

Ma l’Italia divenne progressivamente una terra denigrata, bella sì ma inaffidabile e “levantina”. Il prototipo dell’italiano con baffi e con la chitarra (anche quando non ce li ha), “manciaspachetti”, immortalato polemicamente nei film di Villaggio, specie nell’infermiera nazista “Inge” che vede i baffi e il mandolino anche nel povero Lino Banfi che non ce li aveva, nasce in conseguenza della Riforma.

Ma c’è un apparente sussulto di dignità con il Risorgimento, con le camicie rosse di Garibaldi che, a suon di schioppettate e di sterline, sconfiggono le ultime vestigia borboniche in Italia. Ma qui gli italiani recitano diligentemente la parte loro assegnata da un grande e nobile paese che, però, per motivi prettamente personali del Re Enrico VIII, ha ritenuto di staccarsi da Roma.

Poi la storia riprende con l'”italiano” “chitarra e mantolino” fino a quello che, ancora oggi, è il suo punto più basso, l’8 settembre 1943. Che strana data questa! Nessuno la invoca, tutti se ne vergognano. È una ricorrenza che sembra non riguardarci. Ancora non ci abbiamo fatto i conti. Eppure è all’origine della festa intoccabile del 25 aprile di due anni dopo.

Quello che accadde in quella giornata ha colpito in modo durissimo la nostra credibilità nazionale: dapprima il “ribaltone” antitedesco che ci avrebbe dato la patente di popolo “furbo” e spregiudicato che, a guerra in corso, passa da uno schieramento a quello contrapposto col proposito di lucrare una vittoria in extremis, poi l’umiliante passerella di alcuni nostri generali, come Castellano, trattati in modo sprezzante dai nuovi alleati nella stipula del “doppio armistizio”, il tentativo disperato di ritardare l’annuncio dell’armistizio, la fuga a Brindisi del Re e di Badoglio che abbandonano le truppe, la mancata difesa di Roma, la diserzione in massa delle truppe abbandonate, eppure l’eroica resistenza dei granatieri a Porta S. Paolo e altrove.

C’è di tutto in quella giornata che precede quella che viene chiamata, a seconda dei punti di vista, “guerra di liberazione” o “guerra civile” e poi la vittoria alleata.

Lucky Luciano

All’indomani, un altro capo d’accusa per l’italiano, quello di essere mafioso, anche se Cosa Nostra avrebbe dato un appoggio significativo agli alleati nello sbarco in Sicilia e nella gestione dell’Italia liberata. E, insieme a Cosa Nostra, riacquista piena libertà d’azione la massoneria.

Col tempo, anche in conseguenza della “risurrezione” della mafia, dopo la repressione durissima esercitata dal “prefetto di ferro” fascista Cesare Mori, si impose tra gli italiani un’altra divisione, quella tra il Nord e il Sud, quest’ultimo divenuto povero dopo la conquista piemontese, costituì l’area depressa dell’Italia, vittima di una sorta di curioso complesso di superiorità settentrionale che lo considerava una sorta di palla al piede dopo averlo “liberato” senza il consenso delle popolazioni del sud. I

meridionali divennero quindi gli italiani dell’Italia ma all’estero dove non andavano per il sottile per una congenita incapacità culturale specie degli statunitensi, eravamo tutti uguali, cioè tutti mafiosi, nonostante i noti servigi resi da Lucky Luciano e da altri “uomini d’onore”, come Albert Anastasia, Genco Russo e Calogero Vizzini, alla causa alleata.

Il resto è storia recente: felice parentesi del “miracolo economico” avvantaggiato dall’economia mista, presto soffocato dal terrorismo e poi dalle privatizzazioni selvagge. Gli italiani sono divenuti individualisti e autolesionisti. Non pensano che a se stessi, dopo la lotta che il radicalismo culturale ha condotto alla famiglia e agli aggregati sociali, quelli che si chiamano “corpi intermedi”.

Oggi, il popolo italiano è disgregato, legato tutt’al più al campanile e sono i colori delle squadre di calcio o delle feste cittadine che ricordano agli italiani che sono parte di qualcosa che li trascende. In senso etnico e linguistico, l’Italia è stata sempre la terra delle diversità.

Un mosaico di lingue e di stirpi ma con una individualità geografica che non ha eguali nel mondo, incastonata com’è tra le Alpi e il Mediterraneo e tutte le sue componenti storiche o erano presenti in Italia da epoca immemorabile o sono giunte qui, provenendo da est o da nord, queste erano le direzioni.

Per tornare alle ragioni che ci tengono uniti al di là delle diversità, non serve a nulla Camillo Conte di Cavour o il “Gran Ierofante” della massoneria egizia Giuseppe Garibaldi o Giuseppe Mazzini o il vivace Vittorio Emanuele II. Per questi, gli italiani dovevano essere ancora “fatti” ma alla “piemontese”. Impresa vana.

Bisogna tornare a Roma nel suo spirito.

Un errore che facciamo noi italiani e certi “saputelli” d’oltralpe è quello di ritenerci la “ridotta” mediterranea aggredita soprattutto dai tedeschi, olandesi, ma anche dai francofoni, francesi, belgi, lussemburghesi.

Gli italiani “nostalgici” del Ventennio se la prendono, in parte a torto, come al solito con i britannici che ci considerano “papisti” per via di quel problema matrimoniale più volte richiamato. In realtà, si tratta di una visione miope e imprecisa perché l’Italia è non solo mediterranea ma anche germanica e greca e così via. E, all’interno dell’Italia, Roma è un mondo nel mondo e, per volere divino, venuta meno ormai Gerusalemme, Roma è, per sempre, la capitale della Nuova ed Eterna Alleanza. Scusate se è poco.  

Noi italiani saremo certamente tanto diversi gli uni dagli altri ma ci portiamo dentro l’universalità di Roma. Occorre solo che riconosciamo le date infauste della nostra storia e i nostri errori ma anche le nostre qualità. Sappiamo parlare a tutti e comprendere le ragioni di tutti, da questo ponte tra Nord, Sud, Ovest e Oriente che è questa nostra terra