Destra, sinistra e magistratura in Italia

Agenzia Stampa Italia

22 Ottobre 2020

di Giuliano Mignini

(ASI) Il ruolo della magistratura in Italia e i suoi rapporti con le due (o le tre) ali dello schieramento politico riveste un’importanza decisiva per le forze politiche e i loro terminali giornalistici. Lo si capisce chiaramente soprattutto in certi periodi, come il presente, caratterizzato dall’esito, ancora temporaneo, della vicenda disciplinare che ha investito l’ex presidente dell’ANM Luca Palamara e sulle vicende che ad esso sono state legate.

L’atteggiamento assunto dai media, specie dai giornali di “centro destra” Libero, il Giornale e la Verità e da quelli della sinistra moderata come Il Dubbio e il Riformista, è talmente irrazionale e al di fuori dai binari di una normale informazione che si ha l’impressione che l’argomento Giustizia sia una sorta di irrefrenabile “nervo scoperto” di tutto un mondo politico giornalistico e di gran parte del mondo forense. Mi sembra indispensabile delineare in sintesi quella che è stata l’evoluzione di questi tre protagonisti di questa riflessione.

MAGISTRATURA.

Ha goduto, è innegabile, di una notevole autonomia durante il Regime fascista. Sin dal 1927 il magistrato giurava fedeltà al Re, ai reali successori e al regime fascista, oltre allo Statuto e alle altre leggi, ma non veniva imposta l’iscrizione al PNF che sopraggiunse solo con il Regio decreto 28 ottobre 1940 n. 148 ma come condizione per l’avanzamento (si vedaLa magistratura ai tempi del fascismo“, di Filippo Giannini,in Azione tradizionale.

La percentuale di magistrati “resistenti” fu elevata ma si mantenne ai livelli dei militari e delle altre categorie più direttamente legate alla Corona. Dal 10 dicembre 1945 al 13 luglio 1946, il leader comunista Palmiro Togliatti fu ministro di Grazia e Giustizia, nel governo Parri del 22 giugno 1945 e nel primo governo De Gasperi del 10 dicembre 1945.  

Un fatto che sarebbe stato determinante nella storia italiana non fu però il dicastero Togliatti ma la fondazione di Magistratura democratica (MD) un ventennio dopo e circa un paio d’anni dopo la fondazione dell’opposto gruppo di Magistratura Indipendente (MI). Tra i fondatori di MD, Marco Ramat, Salvatore Senese e Adolfo Beria d’Argentine, ex partigiano della Brigata Franchi, badogliana, liberale e anticomunista e comandata dal conte Edgardo Pietro Andrea Sogno Rata del Vallino di Ponzone.

MD non nascondeva il suo orientamento genericamente di sinistra e si batteva per l’integrale attuazione della Costituzione, vista come il trait d’union delle forze eterogenee che avevano partecipato alla “guerra di liberazione” o civile, affiancando gli alleati dallo sbarco in Sicilia fino alla fine della guerra. Attuare la Costituzione anche nel suo “spirito”. Il che non era affatto facile specie in quegli anni perché se il dettato costituzionale era l’espressione del CLN nel quale il PCI era la componente militarmente egemone, nell’ambito politico e dell’alleanza militare sorta all’indomani della guerra, il quadro dell’Italia era atlantico e anticomunista. Un’ambiguità questa che avrebbe sempre accompagnato l’Italia.

Con le due correnti contrapposte la dialettica nella Magistratura era instaurata. Col tempo sarebbero sorti altri gruppi che, nell’ambito del Consiglio Superiore della Magistratura, si sarebbero alleati ciascuno al corrispondente partito o gruppo di partiti ideologicamente affine perché anch’essi sono presenti nell’organo di autogoverno e rappresentati dai componenti “laici”. E, da allora, una parte della Magistratura avrebbe mirato a “democraticizzare” la società per via giudiziaria, mentre la parte maggioritaria avrebbe svolto le sue funzioni e avrebbe perseguito i reati commessi anche dai politici.

LA DESTRA.

“Destra”significa etimologicamente “Giustizia”. Il termine nacque in Francia. nel XVIII secolo, negli Stati generali prerivoluzionari e poi dell’Assemblea costituente e del Parlamento, per indicare la parte che comprendeva i sostenitori del Trono e dell’Altare e della società prerivoluzionaria e, poi, secondo le contingenze storiche, coloro che difendevano i valori tradizionali e si opponevano al modello “gnostico” e immanentistico di società.

Per un certo periodo, dopo il secondo conflitto mondiale, la Giustizia fu un valore recepito e difeso da chi, via via, rappresentava la “Destra”. Ma, con la rivoluzione integrale del 1968, il quadro è via via mutato, dapprima nella Chiesa, con il postconcilio e, poi, con la penetrazione nella “Destra” di una componente ad essa estranea che non sopportava i vincoli della legge, della morale e della Giustizia.

Qui dobbiamo fermarci un attimo. In Italia l’unica vera “Destra” fu quella degli insorgenti antigiacobini del triennio 1797, 98 e 99, che combatterono contro le truppe francesi anche a Citta’ di Castello e a Castel Rigone e poi ad Arezzo con i “Viva Maria”. Poi questa destra venne soppiantata dalla falsa destra della dinastia sabauda, divenuta liberale e massonica.

Nel primo dopoguerra si affermò il fascismo che era però, più che altro, un fenomeno esistenziale degli ex combattenti tornati dal fronte. Il tumulto di esperienze provocato in loro dalla guerra si cristallizzò nella durissima reazione all’Ottobre rosso di Lenin e Trotsky, del 1917. Questo avvenimento provocò il sorgere di altri movimenti analoghi in tutta Europa.

Il fascismo recava con sé, però, una componente socialista e, quando il leader autonomista del PSI, Bettino Craxi, nello sforzo di rafforzare un’identità anticomunista nel PSI, fece proprio il motto del “socialismo tricolore”, si attirò le simpatie di molti missini.

Il PSI, da parte sua, si portava però dietro anche l’anarchismo di Andrea Costa e una proverbiale idiosincrasia verso la magistratura che penetrò così nell’ambiente missino. Nel 1978 il PSI recise anche nell’iconografia i rapporti con il marxismo leninismo e si dotò del simbolo del garofano, vecchio richiamo socialista ma anche evocante il golpe dei capitani portoghesi antisalazariani di quattro anni prima che liquidarono l'”Oltremare portoghese”, sotto la copertura della NATO.

Poi, il “berlusconismo”, “figlio” peraltro del craxismo, con la sua carica di aggressiva delegittimazione dell’ordine giudiziario, di edonismo televisivo e di forte “americanizzazione” culturale, tipici di un imprenditore liberale, liberista e massone, completò il pesante inquinamento della “Destra” e indicò ad essa il nuovo nemico giudiziario, da affiancare al “comunista”, per convincerla che qualunque indagine nei confronti di Berlusconi fosse frutto del disegno politico delle “Procure” o meglio del “partito delle Procure”. Nessuno doveva più porre limiti al mercato, tantomeno la Giustizia.

La “Destra missina”, peraltro guidata da un altro personaggio, ostile sul piano personale a Berlusconi, ma in sostanziale sintonia culturale con i suoi modelli, Gianfranco Fini, si lasciò influenzare in profondità dal nuovo verbo liberista, libertino, liberale e antigiudiziario.

SINISTRA.

Qui l’etimologia non è decisamente esaltante. Indica ciò che si nascondeva sotto la piega della toga romana che veniva avvolta sotto il braccio sinistro, appunto. In sintesi, allude a qualcosa di nascosto e, quindi, di ostile e fermiamoci qui. La sinistra tende ad una società in cui tutto è rimesso all’opzione umana, senza alcun vincolo e dato oggettivo, naturale e creaturale e questo perché la sinistra si concentra sull’uomo e sulla sua volontà di potenza. In linea puramente teorica, sarebbe questa l’opzione più connaturale per tutti coloro che siano insofferenti verso la funzione giudiziaria.

C’è, infatti, un’opposizione al “dato” e al “limite” da rispettare e, quindi, anche alla legge e alla morale tradizionale Dappertutto, più o meno, è così ma in Italia no, almeno in parte.

Vediamo perché.

La “sinistra”, per lungo tempo, è stata rappresentata dal PCI, un partito che, fino agli anni novanta, in particolare fino al suo scioglimento, avvenuto il 3 febbraio 1991, dopo un’iniziale gestione da parte di Amedeo Bordiga, espulso come trotskista nel 1930, era stato sempre legato, più o meno, all’Unione sovietica e, quindi, ad un tipo di Comunismo “imperiale”, pragmatico e attento a mantenere un rapporto, sia pure più o meno problematico, con il sostrato nazionalistico (e addirittura religioso) che ha sempre costituito l'”anima” russa, cioè con lo stalinismo.

Trasportata nell’esperienza europea, questa visione, meno comunista e più pragmatica dell’internazionalismo del vecchio bolscevismo, aveva prodotto “alleanze” atipiche come quella del patto Ribbentrop – Molotov, quella della svolta filosabauda di Salerno e in generale, sempre in Italia, la tendenza ad uno strumentale “lealismo” istituzionale: le istituzioni e tra queste, importantissima, la magistratura, andavano sì rispettate ma perché l’obbiettivo era quello della loro infiltrazione con elementi legati all’apparato, mentre i “moderati” e i missini o postmissini preferivano affollare l’avvocatura.

Per di più, una parte della Magistratura, quella legata a MD, era più o meno legata al PCI che veniva favorito politicamente da una Magistratura così orientata. Le cose, però, cambiano verso la metà degli anni ’90, sia per l’emergere di una “Destra” inquinata, che, specie nella sua componente berlusconiana e forzista, si porta dietro quello che rimane del PSI e, addirittura, della sinistra extraparlamentare degli anni ’70 che era legata più al PSI che al PCI.

Poi, è lo stesso PCI che dà vita ad una vorticosa girandola di denominazioni e che si “atlantizza” e si “globalizza”, diventando anche sotto l’influsso di una metà e oltre della vecchia DC, un partito ormai “liberale” che si distingue dal berlusconismo solo per il sempre più labile richiamo alla “questione morale” di berlingueriana memoria.

E allora, mentre la pseudo destra berlusconiana, priva di qualsivoglia remora, attacca frontalmente e aggressivamente la Magistratura, la “sinistra” lascia che sia la controparte politica a toglierle le “castagne dal fuoco” dello scontro con la Magistratura, mantenendo un’apparente obbiettivita e un altrettanto apparente lealismo istituzionale.

Luca Palamara

Ora pressoché l’intero schieramento politico è diventato “magistratofobico” e il paradosso è che, dopo il processo disciplinare di Luca Palamara davanti alla Sezione disciplinare e il voto del Plenum sulla cessazione di Piercamillo Davigo dalle funzioni di membro del CSM al raggiungimento dei limiti d’età come magistrato, il paradosso, si diceva, è che le “toghe rosse” di “Area” (MD e “verdi”) abbiano sollevato la questione e, salvo un paio di elementi, si siano poi astenute mentre gran parte dei laici e dei moderati togati hanno votato per la decadenza.

E così, sotto un’autentica tempesta mediatica, mentre l’attenzione astiosa dei “magistratofobi” si è concentrata in modo furioso sul membro del CSM Davigo, l’incolpato e imputato Palamara è stato incitato a un’azione volta a colpire la generalità dell’istituzione giudiziaria.

Qual’è il mantra ripetuto ossessivamente da un mondo da cui non c’è da attendersi neppure un briciolo di buon senso e di senso di responsabilità istituzionale?

Si ripete ossessivamente: colpiscono lui per farne il “capro espiatorio” e bloccare qualunque altra indagine. Per contro, lo stesso fronte “garantista” colpisce Piercamillo Davigo che ha giudicato Palamara e che ritiene, da parte sua, di invocare un’interpretazione del tutto legittima della durata del mandato di componente del CSM, com’è suo diritto, visto che ha dichiarato che intende ricorrere contro la decisione del Plenum.

C’è un’inversione di prospettive che ha dell’incredibile. Per dare addosso a Davigo si richiama una sua frase che riguarda le riparazioni per ingiusta detenzione nelle quali molti sono i casi in cui le richieste vengono accolte. E Davigo dice che in molti casi si tratta di colpevoli che l’hanno fatta franca.  Ammetto che Piercamillo abbia sbagliato perché ha voluto esprimere una sua convinzione sincera ma senza preoccuparsi di essere frainteso. L’uomo è di una sincerità inusuale ed encomiabile.

Ma quante cose abbiamo detto io, Sallusti, Belpietro, Amadori, Facci, Sansonetti, di opinabili e di criticabili nella nostra vita ? Non nascondiamoci dietro la solita ipocrisia di molti, non dico mai tutti, politici. E allora una frase sbagliata o inopportuna va criticata ma non la si può prendere a pretesto per delegittimare una persona. Ma, di fronte a un’ondata di irrazionalità come quella che esplode, in Italia, quando si parla di Giustizia e di fronte allo spiegamento mediatico impressionante contro il Potere giudiziario, c’è ben poco da fare.

E il paradosso è che oggi sono le “toghe rosse” di Area a contestare Davigo, alleate, stavolta, del cosiddetto “Garantismo” che è garantista su tutti tranne quando sono in ballo i magistrati. E nella singolare difesa del “capro espiatorio” Palamara e del troppo sincero ed integro Davigo si consuma la ricomposizione di due mondi che si sono scontrati, per motivi contingenti, per decenni ma che, in fondo, sono accomunati dall’idea della “politicita’” della Giurisdizione, secondo il modello a “stelle e strisce” e della prevalenza delle garanzie sul fine del processo che è l’accertamento della verita.

E così lo scorso 19 ottobre il Plenum del CSM si è sì spaccato ma, contro la tesi, del tutto legittima, della permanenza di Davigo, hanno votato MI di Cosimo Ferri, Unicost di Palamara, il vice presidente del CSM e i vertici della cassazione, ovviamente i due componenti di Forza Italia, un esponente pentastellato e uno della Lega. L’astensione di Area, con l’eccezione di due elementi che hanno votato a favore della permanenza insieme al laico pentastellato Gigliotti, è stata determinante nella votazione.

Il paradosso è che, ad onta dell’affermazione di tanti “garantisti”, secondo cui sarebbe stato sconfitto l’uso politico della Giustizia, è vero l’esatto contrario. Ha vinto la nuova MI, ispirata al suo ex leader Cosimo Ferri che, dal mondo del governo e poi dal Parlamento, dove era approdato, riteneva del tutto normale gestire anche la corrente di provenienza.

Ha vinto Unicost che, per ammissione del suo ex leader Luca Palamara, ha sempre praticato la contiguità, anzi la commistione tra Politica e Giustizia. Hanno vinto la gran parte dei “laici” del CSM che sono di nomina politica. La corrente di Area, nella quale si trova MD, è da sempre la teorizzatrice della “politicita’” della giurisdizione anche se, in questa occasione almeno, ha praticato il principio più timidamente dei “moderati” che avrebbero dovuto essere apolitici e non lo sono più.

Chi ha difeso, nei principi e nei fatti, l’apoliticità della Giurisdizione sono stati Autonomia & Indipendenza e il suo leader Piercamillo Davigo. La realtà è questa. Non facciamo gli struzzi.

CONCLUSIONE

Cosa dire a conclusione di questo excursus ? La politicizzazione della Giustizia inizia con MD, con le cosiddette ‘toghe rosse” che la teorizzano. Il fine è quello della Giustizia che deve controllare la Politica. Poi, dopo mezzo secolo, questa volta sono i “moderati”, eufemismo per indicare quello che rimane della “destra”, ma inquinata dal “socialismo tricolore” e dal berlusconismo, a riproporre il concetto delle “toghe rosse” ma con termini invertiti. Non più la Giustizia sulla Politica ma la Politica sulla Giustizia e i moderati accusano di politicizzazione solo quella modello “MD”.

Ora sono questi ultimi a voler mettere le mani sulla Giustizia, attraverso l’altro mantra della “separazione delle carriere”, primo passo verso l’assoggettamento dei PM all’esecutivo. Non lo so se ci riusciranno ma l’eliminazione di Davigo è un primo passo. Io so soltanto che il Potere giudiziario dev’essere indipendente da ogni altro potere come afferma la Costituzione.

Dall’indipendenza consegue l’imparzialità cioè il principio per cui “la legge è eguale per tutti” e questa non può esistere senza l’apoliticità.