Rapporto: l’islam ha occupato lo Stato francese

La Nuova Bussola quotidiana

2 Ottobre 2020  

Nel giugno 2019 una relazione parlamentare lanciava l’allarme sull’infiltrazione islamica in ogni ambito della società pubblica francese. Uno degli autori decide di approfondire pubblicando un rapporto che è già diventato un piccolo manuale: “La radicalizzazione al cuore dei servizi pubblici”. Per la prima volta ci sono le prove del fatto che l’islamismo è ovunque nell’apparato statale.

di Lorenza Formicola

Nel giugno 2019 una relazione parlamentare lanciava l’allarme sull’infiltrazione islamica in ogni ambito della società pubblica francese. Uno degli autori, il deputato del partito repubblicano Éric Diard, dopo 53 ispezioni, 60 ore di registrazioni, 7 mesi di indagini per la prima pubblicazione, con l’aiuto del noto giornalista Henri Vernet, sa che quel documento è solo l’inizio e decide di approfondire ancora la dimensione del comunitarismo islamico in Francia pubblicando un rapporto che è già diventato un piccolo manuale: “La radicalizzazione al cuore dei servizi pubblici”.

L’inizio del processo sulla strage nella redazione di Charlie Hebdo ha riaperto recenti ferite in un Paese come la Francia che non ha mai veramente avuto un momento di pausa dal terrorismo islamico. Per la prima volta, però, ci sono le prove del fatto che l’islamismo è ovunque nell’apparato statale. Le carceri, il settore dei trasporti e lo sport sarebbero i più colpiti da questo fenomeno. Ma c’è tanto altro sotto, ed è meno nascosto di quanto si possa immaginare. Il documento da poco pubblicato approfondisce l’islamizzazione di Francia nei dettagli facendo parlare i testimoni diretti.

D’altronde quello che analisti, giornalisti e deputati denunciavano da anni, ha trovato, nella strage alla prefettura di Parigi dello scorso anno, la prova del punto di non ritorno. Una settimana dopo il momento di più alta vulnerabilità nel sancta sanctorum della polizia Parigino, Éric Diard e Henri Vernet raccolgono la testimonianza di Alain – nome di fantasia.

Alain è un poliziotto che dopo la deriva omicida di Mickaël Harponl’ufficiale di polizia radicalizzato e divenuto terrorista – ha voluto raccontare il mondo della polizia, quello che vede nel suo lavoro e che ha sperimentato sulla sua pelle. Secondo il rapporto appena pubblicato Alain ha ricevuto minacce di morte da un giovane poliziotto, suo collega, convertitosi di recente all’islam: “Eravamo diventati amici”, racconta Alain. “Poi ho saputo che si è sposato religiosamente con una donna musulmana, senza dichiarare questa unione all’amministrazione e improvvisamente ha cambiato atteggiamento. È diventato veemente nei confronti dei politici e dei media, ha avanzato tesi cospirative, giustificato attentati suicidi”. 

A poco a poco, questo poliziotto si è isolato. Oggi manifesta pubblicamente il suo credo rifiutandosi di baciare o salutare le sue colleghe perché donne. Negli ultimi tempi era diventato un ufficiale invisibile, nessuno sapeva cosa faceva o dov’era, salvo, poi tornare al centro dell’attenzione con le minacce di morte contro “Alain”.

La storia che Diard e Vernet raccontano non è aneddotica. In Francia sono circa 8.000 gli individuati come pericolosi radicalizzati e, dall’attacco alla prefettura di Parigi, sono stati denunciati 110 casi simili all’interno della polizia. Chi dovrebbe garantire la sicurezza del Paese, oggi, è più vulnerabile che mai.

“La radicalizzazione non è motivo di licenziamento” spiega Diard“.  servizi

pubblici che devono affrontare questo fenomeno hanno di fronte un punto cieco legale. A tutti i funzionari dovrebbe essere richiesto di prestare giuramento e firmare una carta che li impegni a rispettare i princìpi della Repubblica. Pertanto, in caso di violazioni, l’amministrazione avrebbe gli strumenti per agire. Il che servirebbe anche da filtro per escludere coloro che rifiutano di difendere questi principi per il fatto che pongono la shari’a al di sopra di tutte le regole, per esempio”.

La Francia è al punto di non ritorno. Anche perché la shari’a non è un fatto privato. Un sondaggio pubblicato alla vigilia dell’inizio del processo per gli attentati del gennaio 2015 rivela che il 40% dei musulmani colloca i valori islamici al di sopra di quelli della Repubblica e il 21% degli under 25 non condanna gli attentati.

Preoccupato, un ex capo dell’intelligence, ha confidato nell’anonimato, ai due autori del rapporto, il reale ruolo della Francia degli ultimi anni: un obiettivo degli islamisti. Un’offensiva che inizia negli anni ’90. “Sono molto preoccupato”, dice. “Non solo perché sono incapaci di difendere, nel cuore di Parigi, una redazione peraltro protetta, o di evitare stragi su terrazze affollate o nei teatri. Sono preoccupato soprattutto per il nostro ritardo. Il nostro Paese sta affrontando un attacco dall’interno da quasi trent’anni e ancora non abbiamo fatto nulla”.

Nel rapporto c’è anche il punto di vista di professori che da quasi vent’anni provano a lavorare con le seconde generazioni di immigrati islamici. Professori che hanno deciso di non abbandonare i quartieri più islamizzati, sperando, raccontano, di cambiare il futuro del Paese iniziando dai banchi di scuola. Eppure denunciano tutta la difficoltà del momento storico. “Negli ultimi anni è cambiato tutto. La scuola è diventata un nido di fondamentalisti”. E spesso proprio nel corpo docente. “C’è una rappresentanza eccessiva di insegnanti che mostrano la loro religione. Dieci anni fa, questo non esisteva. Barba folta, velo e tabaâ – il segno sulla fronte di un’intensa attività di preghiera.

Anche negli ospedali pubblici non si risparmia l’evidente islamizzazione della Francia di Macron. I camici bianchi vogliono a tutti i costi rivendicare la differenza che corre tra un musulmano e un medico “normale”. I medici con le barbe alla maniera salafita non stringono la mano alle colleghe, si rifiutano di togliere il velo, i pazienti vengono selezionati – non tutti meritano di essere assistiti: ci sono pazienti che anche per il modo di vestire vengono ignorati. Le studentesse di medicina con il velo oggi non sono la maggioranza, ma quasi. Essendo illegale, ma ugualmente una prassi, il rapporto non riesce, nel frattempo, a censire i medici che praticano mutilazioni genitali femminili. Il significato del velo nei luoghi di lavoro è molto profondo: delinea l’ennesimo confine che esiste tra un occidentale e un musulmano. E che non si tratti di strumentalizzazione Diard e Venet lo spiegano bene.

Najwa El Haïté, consigliere del comune di Evry-Courcouronnes, evidenzia, invece, quelli che la stampa francese chiama gli “eccessi religiosi”. La prefettura e il Comune hanno recentemente chiuso quattro scuole islamiche, di cui una clandestina. Di origine marocchina Najwa El Haïté non ha paura di attaccare con fermezza l’infiltrazione islamista. Per quanto riguarda i trasporti è ormai quasi normale, in Francia, che si organizzino preghiere indirizzate ad Allah nel bel mezzo di un autobus, che l’autista si fermi per consentirle o che durante il Ramadan le corse e il personale siano limitati. E nel rapporto è raccontato nei dettagli. 

Per Bernard Rougier, specialista nell’ascesa dell’islamismo in Francia, in nome della difesa dell’islam e del multiculturalismo, gruppi militanti islamisti riescono a giocare un ruolo cruciale con le nuove generazioni offrendo una visione della realtà che condanna così tanto la società miscredente, per esempio appunto in Francia, da godere di benevolenza in ogni ambito dello Stato che ormai hanno occupato con successo. Dalla scuola agli ospedali fino alla polizia il mondo è diviso tra impuro e puro, tra haram e halal, proibito e lecito. L’obiettivo finale è sviluppare un’identità collettiva in nome della religione, della lingua e della storia islamica. È così che si forma un ecosistema difficile da debellare, ed è, oramai, la realtà francese.  

Eppure la società globale fatica a cogliere la forma sottile – neanche tanto – di separatismo, spesso importata da reti vicine ai Fratelli Musulmani e che mira a sovvertire, dall’interno la République. Lo confermano Diard e Vernet.