Una nuova ricerca dell’Enea sul sacro Lino custodito a Torino

SindoneLa Stampa.it 20 dicembre 2011

di Marco Tosatti

Roma _ L’Enea, l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha pubblicato un rapporto sui cinque anni di esperimenti svolti nel centro Enea di Frascati sulla “colorazione simil-sindonica di tessuti di lino tramite radiazione nel lontano ultravioletto”.

In parole povere: si è cercato di capire come si è impressa sul telo di lino della Sindone di Torino l’immagine così particolare che ne costituisce il fascino, e il più grande e radicale interrogativo, di “individuare i processi fisici e chimici in grado di generare una colorazione simile a quella dell’immagine sindonica”.

Nell’articolo linkato si trova lo sviluppo della ricerca. Gli scienziati (Di Lazzaro, Murra, Santoni, Nichelatti e Baldacchini) partono dall’ultimo (e unico) esame completo interdisciplinare del lenzuolo, compiuto nel 1978 dalla squadra degli scienziati americani dello STURP (Shroud of Turin Reasearch Project).

Una base di partenza di cui troppo spesso chi scrive e discetta di Sindone preferisce non tenere conto, a dispetto dell’evidenza dei dati, verificati da un accurato controllo su riviste “peer rewieved”, cioè approvate da altri scienziati in modo oggettivo e indipendente.Il rapporto dell’Enea smentisce, con molto fair play, quasi “en passant”, ma con molta chiarezza, l’ipotesi che la Sindone di Torino possa essere opera di un falsario medievale.

L’ipotesi è stata avvalorata – contro molte argomentazioni di peso – dall’esito delle discusse, e probabilmente falsate – misurazioni al C14; un esame la cui credibilità è stata resa molto fragile oltreché dalla difficoltà oggettiva (le possibilità di contaminazione di un tessuto di cui non si conosce che in parte il percorso storico sono altissime), anche da errori fattuali di calcolo, dimostrati, e dall’impossibilità di ottenere per i controlli necessari i “dati grezzi” dai laboratori. A dispetto delle reiterate richieste. Un’omissione che basta da sola a gettare un’ombra pesante sulla correttezza scientifica dell’episodio.

Scrive il rapporto: “La doppia immagine (frontale e dorsale) di un uomo flagellato e crocifisso, visibile a malapena sul lenzuolo di lino della Sindone di Torino presenta numerose caratteristiche fisiche e chimiche talmente peculiari che rendono ad oggi impossibile ottenere in laboratorio una colorazione identica in tutte le sue sfaccettature, come discusso in numerosi articoli, elencati nelle referenze.

Questa incapacità di replicare (e quindi falsificare) l’immagine sindonica impedisce di formulare un’ipotesi attendibile sul meccanismo di formazione dell’impronta.  Di fatto, ad oggi la Scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine corporea sulla Sindone.

A parziale giustificazione, gli Scienziati lamentano l’impossibilità di effettuare misure dirette sul lenzuolo sindonico. Infatti, l’ultima analisi sperimentale in situ delle proprietà fisiche e chimiche dell’immagine corporea della Sindone fu effettuata nel lontano 1978 da un gruppo di 31 scienziati sotto l’egida dello Shroud of Turin Research Project, Inc. (STURP).

Gli scienziati utilizzarono strumentazione all’avanguardia per l’epoca, messa a disposizione da diverse ditte produttrici per un valore commerciale di due milioni e mezzo di dollari, ed effettuarono numerose misure non distruttive di spettroscopia infrarossa, visibile e ultravioletta, di fluorescenza a raggi X, di termografia e pirolisi, di spettrometria di massa, di analisi micro-Raman, fotografia in trasmissione, microscopia, prelievo di fibrille e test microchimici”.

Le analisi effettuate sul telo sindonico non trovarono quantità significative di pigmenti (coloranti, vernici) né tracce di disegni. Sulla base dei risultati delle decine di misure effettuate, i ricercatori STURP conclusero che l’immagine corporea non è dipinta, né stampata, né ottenuta tramite riscaldamento.

Inoltre, la colorazione dell’immagine risiede nella parte più esterna e superficiale delle fibrille che costituiscono i fili del tessuto di lino, e misure effettuate recentemente su frammenti di telo sindonico dimostrano che lo spessore di colorazione è estremamente sottile, pari a circa 200 nm = 200 miliardesimi di metro, ovvero un quinto di millesimo di millimetro, corrispondente allo spessore della cosiddetta parete cellulare primaria della singola fibrilla di lino. Ricordiamo che un singolo filo di lino è formato da circa 200 fibrille.

Altre importanti informazioni derivate dai risultati delle misure STURP sono le seguenti: Il sangue è umano, e non c’è immagine sotto le macchie di sangue; la sfumatura del colore contiene informazioni tridimensionali del corpo; le fibre colorate (di immagine) sono più fragili delle fibre non colorate; la colorazione superficiale delle fibrille di immagine deriva da un processo sconosciuto che ha causato ossidazione, disidratazione e coniugazione della struttura della cellulosa del lino. “In altre parole, la colorazione è conseguenza di un processo di invecchiamento accelerato del lino”.

Come già accennato, fino ad oggi tutti i tentativi di riprodurre un’immagine su lino avente le medesime caratteristiche sono falliti. Alcuni ricercatori hanno ottenuto immagini aventi un aspetto simile all’immagine sindonica, ma nessuno è mai riuscito a riprodurre simultaneamente tutte le caratteristiche microscopiche e macroscopiche. “In questo senso, l’origine dell’immagine sindonica è ancora sconosciuta.

Questo sembra essere il nodo centrale del cosiddetto “mistero della Sindone”: indipendentemente dall’età del lenzuolo sindonico, che sia medioevale (1260 – 1390) come risulta dalla controversa datazione al radiocarbonio o più antico come risulta da altre indagini, e indipendentemente dalla reale portata dei controversi documenti storici sull’esistenza della Sindone negli anni precedenti il 1260, la domanda più importante, la “domanda delle domande” rimane la stessa: come è stata generate l’immagine corporea sulla Sindone?”.

Ci sono due possibilità, scrivono gli scienziati, su come il lenzuolo sindonico sia stato posto intorno al cadavere: posato sotto e sopra (non completamente a contatto con tutto il corpo irrigidito dal rigor mortis) oppure pigiato sul corpo e legato in modo da avere un contatto con quasi tutta la superficie corporea.

“La prima modalità è avvalorata dal fatto che esiste una precisa relazione tra l’intensità (sfumatura) dell’immagine e la distanza fra corpo e telo. Inoltre, l’immagine è presente anche nelle zone del corpo non a contatto con il telo, ad esempio immediatamente sopra e sotto le mani, e intorno la punta del naso. La seconda modalità è meno probabile perché sono assenti le deformazioni geometriche tipiche di un corpo a tre dimensioni riportato a contatto su un lenzuolo a due dimensioni. Inoltre, manca l’impronta dei fianchi del corpo. Di conseguenza, possiamo dedurre che l’immagine non si è formata dal contatto del lino con il corpo”.

E’ proprio questa osservazione, “unita alla estrema superficialità della colorazione e all’assenza di pigmenti” che “rende estremamente improbabile ottenere una immagine simil-sindonica tramite metodi chimici a contatto, sia in un moderno laboratorio, sia a maggior ragione da parte di un ipotetico falsario medioevale”. Sotto le macchie di sangue non c’è immagine. Questo significa che le tracce di sangue si sono depositate prima dell’immagine.

Quindi l’immagine si formò in un momento successivo alla deposizione del cadavere. Inoltre tutte le macchie di sangue hanno contorni ben definiti, senza sbavature, quindi si può ipotizzare che il cadavere non fu asportato dal lenzuolo. “Mancano segni di putrefazione in corrispondenza degli orifizi, che si manifestano dopo circa 40 ore dalla morte. Di conseguenza, l’immagine non dipende dai gas di putrefazione e il cadavere non rimase nel lenzuolo per più due giorni”.

Una della ipotesi relative alla formazione dell’immagine era quella di una forma di energia elettromagnetica (ad esempio un lampo di luce a corta lunghezza d’onda), che potrebbe avere i requisiti adatti a riprodurre le caratteristiche dell’immagine sindonica, quali la superficialità della colorazione, la sfumatura del colore, l’immagine anche nelle zone del corpo non a contatto con il telo e l’assenza di pigmenti sul telo.

I primi tentativi di riprodurre il volto sindonico tramite radiazione, utilizzarono un laser CO2 che hanno prodotto una immagine su un tessuto di lino simile a livello macroscopico. Tuttavia, l’analisi microscopica ha evidenziato una colorazione troppo profonda e molti fili di lino carbonizzati, caratteristiche incompatibili con l’immagine sindonica.

Invece i risultati dell’Enea “dimostrano che un brevissimo e intenso lampo di radiazione VUV direzionale può colorare un tessuto di lino in modo da riprodurre molte delle peculiari caratteristiche della immagine corporea della Sindone di Torino, incluse la tonalità del colore, la colorazione superficiale delle fibrille più esterne della trama del lino, e l’assenza di fluorescenza”.

Tuttavia, avvertono gli scienziati dell’Enea, “va sottolineato che la potenza totale della radiazione VUV richiesta per colorare istantaneamente la superficie di un lino corrispondente ad un corpo umano di statura media, pari a IT superficie corporea = 2000 MW/cm2 17000 cm2 = 34mila miliardi di Watt rende oggi impraticabile la riproduzione dell’intera immagine sindonica usando un singolo laser eccimero, poiché questa potenza non può essere prodotta da nessuna sorgente di luce VUV costruita fino ad oggi (le più potenti reperibili sul mercato arrivano ad alcuni miliardi di Watt)”.

Però l’’immagine sindonica “presenta alcune caratteristiche che non siamo ancora riusciti a riprodurre, – ammettono – per esempio la sfumatura dell’immagine dovuta ad una diversa concentrazione di fibrille colorate gialle alternate a fibrille non colorate”. E avvertono: “Non siamo alla conclusione, stiamo componendo i tasselli di un puzzle scientifico affascinante e complesso”. L’enigma dell’origine dell’immagine della Sindone di Torino rimane ancora “una provocazione all’intelligenza”, come aveva detto Giovanni Paolo II.