Volete far risparmiare lo Stato? Fate la parità scolastica

scuola liberaTempi, 7 Dicembre 2011

Idee per il governo Monti: perché anziché aumentare la benzina e le tasse sulla casa, non introduce la parità scolastica? Il risparmio è assicurato, come mostrano i numeri e i dati che qui elenchiamo. Bisogna ricominciare a parlare di libertà di educazione, soprattutto in tempi di austerity. Appunti per una riscossa coraggiosa.

di Laura Borselli

500 MILIONI DI EURO La cifra che lo Stato risparmierebbe se aumentasse di 100 milioni i contributi alla scuola paritaria, consentendo a più famiglie di sceglierla. Secondo i calcoli della professoressa Luisa Ribolzi dell’università di Genova ogni euro investito nella scuola paritaria renderebbe allo Stato 5 euro di risparmio (che potrebbero essere in tutto o in parte reinvestiti nella scuola statale).

6.281 EURO È il risparmio medio annuo che lo Stato realizza per ogni alunno che si iscrive alla scuola paritaria anziché alla statale (ottenuto dalla professoressa Ribolzi sottraendo ai costi per studente della scuola statale i contributi statali alle paritarie per il solo anno 2006).

6 MILIARDI DI EURO LANNO Secondo un dossier dell’Agesc (Associazione genitori delle scuole cattoliche) se le scuole paritarie smettessero di funzionare lo Stato dovrebbe reperire 6 miliardi per compensare i servizi che esse garantiscono annualmente.

8,4 PER CENTO Percentuale delle famiglie che iscrive i propri figli alla scuola statale soltanto perché non ha i mezzi economici per iscriverli alle non statali secondo lo studio “Scegliere la scuola: orientamenti e caratteristiche dei genitori”, di Tommaso Agasisti e Luisa Ribolzi.

Un sistema in cui la parità scolastica sia effettiva è economicamente sostenibile? Certo, per porsi serenamente questa domanda occorrerebbe aver superato la barriera ideologica che da decenni spacca il mondo della scuola italiana in una semplificazione netta e grossolana, da un lato la scuola statale per tutti, dall’altro quella privata per i ricchi. Ma la domanda non è illecita se questo è davvero il momento fatidico per mettere mano a dossier su cui pesano decenni di incrostazioni ideologiche e resistenze culturali.

Nello studio del problema della parità da un punto di vista eminentemente economico si sono cimentati Tommaso Agasisti, ricercatore del politecnico di Milano, e Luisa Ribolzi, ordinario di sociologia dell’educazione all’università di Genova. Nella ricerca “Scegliere la scuola: orientamenti e caratteristiche dei genitori”, commissionata da un ampio cartello di associazioni che riuniscono scuole non statali, i due accademici concludono che da una parità (anche timida) i conti dello Stato non avrebbero nulla da temere. Tutt’altro.

Per questo secondo Roberto Pasolini, dirigente scolastico dell’Istituto Europeo Leopardi di Milano, membro del direttivo delle scuole non statali di Aninsei (Confindustria) e da anni all’opera nella commissione parità del Ministero, quel sasso gettato nello stagno un anno fa, quando lo studio è stato presentato anche al Senato, torna di attualità proprio oggi in un momento in cui si parla tanto di risparmi per lo Stato.

«Sta oggi al nuovo governo – rilancia Pasolini a Tempi – decidere se prendere in considerazione questi dati per avviare un’ulteriore riflessione che si basi su valutazioni scientifiche e non solo di carattere pregiudiziale o ideologico».

I pregiudizi, appunto. Il primo ad essere sfatato è quello che paventa una fuga dalla scuola statale nel momento in cui venissero inseriti incentivi a scegliere quella non statale. Infatti oltre il 70 per cento dei genitori del campione rappresentativo scelto non manderebbe i figli alla scuola paritaria, anche in presenza di agevolazioni economiche.

Se da un lato si sfata dunque il pericolo di esodo dalla supposta scuola dei poveri a quella dei ricchi, dall’altro lato emerge però che esiste un significativo 8,4 per cento di famiglie che sceglie la scuola statale contro la propria volontà. È questa la percentuale di coloro che, se sostenuti, farebbero una scelta diversa. Ma sostenuti in che modo e soprattutto con quali costi per lo Stato?

Quanto basta alle famiglie

E qui arriva un altro dei punti più significativi della ricerca. La simulazione economica mette in luce infatti un risultato interessante: il saldo tra risparmio di spesa statale (dovuto alla “migrazione” di studenti verso la paritaria) e la spesa per il contributo economico per incentivare l’iscrizione alla scuola paritaria (considerando un ammontare di 1.500 euro) sarebbe positivo.

Il costo del contributo alle famiglie sarebbe dunque più che compensato dal risparmio connesso al passaggio degli studenti dalla scuola statale alla paritaria. In altre parole, come chiarisce Tommaso Agasisti a Tempi, la cifra che le famiglie vorrebbero per spostare i propri figli da una statale a una paritaria è inferiore a quella che lo Stato spenderebbe per formare quei ragazzi nelle scuole statali. Dunque è meno costoso aiutare le famiglie che vogliono andare nella scuola privata a farlo, piuttosto che finanziare l’istruzione statale dei loro ragazzi.

«È l’indizio preciso – riprende Pasolini – che la scelta di avviare o meno un’apertura alla scuola paritaria non è più una scelta esclusivamente di natura economica, ma solo un’opzione di carattere politico». Ancora. Secondo un calcolo fatto dalla professoressa Ribolzi e riportato sul sussidiario.net lo Stato risparmierebbe oltre 500 milioni di euro l’anno se aumentasse di 100 milioni i contributi alla scuola paritaria, consentendo a più famiglie di sceglierla. La studiosa mette a confronto il costo pro capite degli alunni nella scuola statale e i contributi statali alla scuola paritaria (con riferimento all’anno 2006).

Nella statale i costi per studente all’anno ammontano a 5.828 euro nella scuola dell’infanzia, 6.525 nella primaria, 7.232 nella secondaria di primo grado e 7.147 nella secondaria di secondo grado. I contributi alle scuole paritarie, sempre calcolati pro capite, ammontano invece, rispettivamente a 584, 866, 106 e 51 euro. Il risparmio che lo Stato realizza per ogni alunno che si iscrive alla scuola paritaria anziché a quella statale è pertanto rispettivamente di 5.244, 5.659, 7.126, 7.096 (in media, 6.281 euro in meno per alunno).

Attenzione però perché il risparmio per lo Stato si basa su un maggior sforzo delle famiglie. «Con le regole attuali – puntualizza Agasisti – il risparmio di spesa pubblica esisterebbe perché lo Stato può convincere un genitore a mandare un figlio nella scuola paritaria con un contributo non molto elevato, ma il costo della retta non coperto dall’eventuale finanziamento statale va comunque coperto dai genitori».

Più autonomia per tutti

Il discorso apre una prospettiva più ampia, che chiama in causa l’intero sistema scolastico italiano e una parola ad esso sconosciuta: competitività. È pensabile che l’aumentare della percentuale di studenti che frequenta le paritarie stimolerebbe anche le scuole statali a migliorare la propria efficienza di gestione? Assolutamente sì, secondo Agasisti.

«Ma occorrono due condizioni. La prima è che tutte le scuole (anche quelle statali) siano libere di fare le proprie scelte in termini di gestione. A cominciare dalla selezione dei docenti. La seconda condizione è che il finanziamento pubblico sia assegnato non solo sulla base di indicatori meramente quantitativi ma anche dei risultati ottenuti dalle scuole che riescano ad attirare il maggior numero possibile di studenti. L’effetto combinato di questi tre fattori (competizione, libertà di scelta delle scuole e finanziamento competitivo) favorisce, secondo quanto riferisce la letteratura internazionale, un miglioramento dell’efficienza delle scuole quindi anche un risparmio complessivo di risorse».

«In un momento in cui si parla tanto di risparmi – conclude Pasolini – l’investimento nella parità potrebbe comportare, a differenza di quanto sostengono i detrattori, un risparmio per lo Stato non solo nel lungo, ma anche nel breve e medio periodo». Certo, ci vorrebbe un po’ di coraggio.