Commercio delle indulgenze? Una “leggenda nera” protestante

Cultura&Identità.

Rivista di studi conservatori

anno XI n. 26 – 31 dicembre 2019

 È interpretazione ormai invalsa che la cosiddetta questione del “commercio delle indulgenze” sia stata la causa scatenante della ribellione anti-ecclesiastica di Martin Lutero nel 1517. In realtà la questione sta in termini ben diversi da come l’ideologia progressista e anti-cattolica la racconta. Ne fa stato un esperto di teologia luterana.

di Ermanno Pavesi

La questione delle indulgenze, che hanno avuto un ruolo molto importante nella religiosità dei secoli della cristianità occidentale, viene spesso liquidata con un giudizio sommario, espresso dal concetto di “commercio delle indulgenze”: la concessione delle indulgenze (1) avrebbe avuto l’unico scopo di finanziare il lusso della Chiesa del tempo e i predicatori delle indulgenze sarebbero stati solamente degli imbonitori che avrebbero alimentato false aspettative nei fedeli sui loro effetti.

La protesta di Martin Lutero (1483-1546) sarebbe quindi stata legittima, perché avrebbe richiamato la gerarchia a una forma di vita più corrispondente ai principi evangelici, corretto una concezione falsa della penitenza ed educato i fedeli a una religiosità più autentica.

Anche autori pur critici nei confronti di Lutero e della Riforma ne condividono in modo acritico alcuni presupposti. Enrico De Negri (1902-1990), per esempio, nel suo volume sulla teologia di Lutero, ne dimostra l’incompatibilità con la tradizione cattolica, anche se attribuisce l’atteggiamento di chiusura delle gerarchie romane nei confronti di Lutero alla loro ostinazione nel difendere presunti interessi finanziari (2).

Angela Pellicciari, in Martin Lutero. Il lato oscuro di un rivoluzionario, un’opera che già nel titolo rivela il suo atteggiamento critico nei confronti del Riformatore, scrive: «Soldi, soldi e ancora soldi. Nelle tesi che Martin Lutero (a detta di Melantone[3]) avrebbe affisso il 31 ottobre 1517 alla porta della chiesa del castello di Wittenberg, l’argomento soldi ricorre con frequenza. Le tesi 84, 85 e 86 sono centrate sul tema del denaro» (4).

La Pellicciari ricorda esplicitamente tre tesi, anche se si deve tenere presente che “l’argomento soldi” ricorre, in qualche modo, al massimo in una decina di tesi su novantacinque, cioè più di ottanta trattano altri aspetti. Sostenere che l’aspetto pecuniario ricorre con frequenza nelle tesi appare decisamente eccessivo e fuorviante.

È singolare il fatto che autori protestanti negli ultimi anni hanno esaminato la questione delle indulgenze in modo più sereno, tanto riguardo agli aspetti spirituali e monetari, quanto per il ruolo avuto alle origini della Riforma. Il teologo protestante Berndt Hamm (1945- 2015), per esempio, in una monografia su indulgenze e Riforma scrive: «La storiografa ecclesiastica protestante ha notoriamente sopravvalutato gli interessi finanziari e i profitti del papato nella concessione di indulgenze di ogni tipo, che sono certamente presenti ma devono essere esaminati in modo molto differenziato a seconda del pontefice, del contesto storico e del tipo di indulgenza, e al contrario ne ha sottovalutato i motivi religiosi, e anche questi sono da prendere in considerazione in modo differenziato. I fedeli potevano lucrare la grande maggioranza delle indulgenze senza un’offerta in denaro per opere di carità, e avevano la possibilità di lucrare un’indulgenza visitando devotamente determinate chiese, partecipando a determinate messe, ascoltando determinate prediche, venerando determinati santi e reliquie, meditando su determinate immagini e recitando determinate preghiere, come erano riportate in libri di preghiere, in iscrizioni o su immagini stampate» (5).

Alexander Wolny ha esaminato tutte le bolle relative alle indulgenze emesse dalle diocesi germaniche di Halberstadt e di Naumburg (entrambe in Sassonia-Anhalt) e ha costatato che la convinzione diffusa che le indulgenze concesse per la visita di chiese comportassero un’offerta in denaro non è confermata dai documenti: «Un riferimento a offerte in denaro si trova solo in una indulgenza del vescovo Johann di Lituania del 1258 per l’ospedale di Halberstadt. Johann ha ampliato la formula abituale, che i fedeli devono visitare la chiesa con devozione, e ha richiesto una visita “cum devotione et elemosinis”» (6).

È necessario precisare che, anche in questo caso, le offerte erano a favore non della Chiesa ma dell’ospedale locale. Anche autori che prendono le distanze da giudizi sommari sul commercio delle indulgenze, ricordano comunque gli interessi economici della Chiesa, senza peraltro citare esempi concreti. Se si sostiene che in certi casi ci sono state delle ombre nella pratica delle indulgenze, per apprezzare anche la dimensione e la diffusione di eventuali abusi, sarebbe interessante conoscere in quali casi concreti (7).

Si deve sottolineare che nel passo citato Hamm parla in modo preciso di «offerte in denaro per opere di carità»: la maggioranza delle indulgenze poteva essere lucrata senza offerte in denaro, mentre negli altri casi non costituiva un profitto per la Chiesa, ma era finalizzata alla realizzazione di opere di carità: chi, per esempio, non era in grado lucrare un’indulgenza partecipando personalmente ai lavori di costruzione di un ospedale, con la sua offerta poteva contribuire a pagarne i costi.

È anche errato attribuire un ruolo eccessivo al cosiddetto “commercio delle indulgenze” nell’origine della Riforma. Si deve ricordare che le prime edizioni stampate delle 95 tesi di Lutero portano il titolo, senz’altro approvato da Lutero, di Disputatio pro declaratione virtutis indulgentiarum, titolo che viene spesso tradotto in italiano con Disputa per chiarire il valore e l’efficacia delle indulgenze.

Le tesi mettono in discussione molti aspetti delle indulgenze, per esempio, se esiste un “tesoro della Chiesa”, che secondo la dottrina cattolica è rappresentato non solo dai meriti del sacrificio della Croce ma anche dai meriti dei santi e di Maria; se il Papa ne può disporre grazie al potere delle chiavi di cui è investito; se il fedele può contribuire alla propria salvezza con le sue opere o se questa dipende esclusivamente dalla misericordia di Dio.

Il fatto che il contributo offerto per lucrare le indulgenze sia in denaro è solamente un aspetto particolare e del tutto marginale rispetto alla questione fondamentale della dottrina penitenziale della Chiesa cattolica, come sostiene, per esempio, il teologo protestante Wilfried Härle: «[…] significherebbe fraintendere completamente Lutero pensare che per lui si fosse trattato solamente, o in primo luogo, di eliminare la proliferazione della pratica delle indulgenze. Il commercio delle indulgenze è per lui solamente un sintomo di una dottrina penitenziale errata che presuppone che l’uomo, che si trova sotto il potere del peccato, quando fa quello che può con le proprie forze, sarebbe in grado di fare il primo passo verso la salvezza, e quindi di ottenere la grazia di Dio» (8).

Secondo Lutero, ammettere che l’uomo possa contribuire alla propria salvezza con le proprie opere, che quindi costituirebbero dei meriti per la propria salvezza a soddisfazione dei propri peccati, significherebbe sminuire l’opera redentrice del sacrificio di Cristo sulla croce. Anche il teologo valdese Giovanni Miegge (1900-1961) ha descritto le indulgenze come una «questione secondaria e marginale» rispetto alla critica radicale fatta da Lutero alla teologia scolastica, secondo cui con i lumi della ragione l’uomo sarebbe in grado di farsi un’idea, anche se ancora imperfetta, del proprio fine, che potrebbe realizzare almeno in parte con le proprie forze per mezzo della pratica delle virtù.

Per questo Miegge ritiene che i principi espressi nella Disputa contro la teologia scolastica siano molto più importanti delle 95 tesi sull’efficacia delle indulgenze per le origini della Riforma. Egli scrive: «Lutero giudicò venuto il momento di fare una dichiarazione solenne di quella che si poteva ormai chiamare la “nuova teologia di Wittenberg”. In occasione del baccellierato dello studente Franz Günther, Lutero, che in quello stesso tempo stava meditando le sue tesi sulle indulgenze, redasse un gruppo di 97 tesi di discussione, sulle opposizioni tra la sua teologia e quella di Aristotele. La discussione ebbe luogo il 4 settembre 1517. Quella solennità accademica avrebbe forse meritato, più delle famose 95 tesi, di diventare il punto di partenza del rinnovamento degli studi e della pietà, che già ferveva a Wittenberg. Le 97 tesi di Günther non si riferiscono a una questione secondaria e marginale come le indulgenze, ma ai principi stessi del pensiero di Lutero. […] Le tesi hanno un tono di sfda ancora più alto e deciso di quelle sulle indulgenze» (9).

Premesso, quindi, che per gli inizi della Riforma non hanno avuto un ruolo importante né la pratica né il “commercio delle indulgenze”, può essere interessante esaminare la questione delle indulgenze in modo più pacato e storicamente corretto, incominciando da quelle concesse in occasione delle crociate, non prima però di avere ricordato la dottrina cattolica sulle indulgenze.

1. Le indulgenze del Catechismo della Chiesa Cattolica

Il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 descrive le indulgenze insieme al sacramento della Penitenza in questi termini. «N. 1491 — Il sacramento della Penitenza è costituito dall’insieme dei tre atti compiuti dal penitente e dall’assoluzione da parte del sacerdote. Gli atti del penitente sono: il pentimento, la confessione o manifestazione dei peccati al sacerdote e il proposito di compiere la soddisfazione e le opere di soddisfazione». «N. 1492 — Il pentimento (chiamato anche contrizione) deve essere ispirato da motivi dettati dalla fede. Se il pentimento nasce dall’amore di carità verso Dio, lo si dice «perfetto»; se è fondato su altri motivi, lo si chiama “imperfetto”».

Le condizioni per ottenere e indulgenze corrispondono alla liturgia del sacramento della Penitenza. «N. 1471 — La dottrina e la pratica delle indulgenze nella Chiesa sono strettamente legate agli effetti del sacramento della Penitenza». Che cos’è l’indulgenza? «L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi» (10).

«L’indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati» (11). «Ogni fedele può acquisire le indulgenze […] per se stesso o applicarle ai defunti» (12). Per lucrare un’indulgenza sono necessarie la contrizione, la confessione sacramentale, la comunione eucaristica e la soddisfazione.

Secondo la tradizione della Chiesa la soddisfazione può consistere in pellegrinaggi, digiuni e in elemosine. Questi tre tipi di soddisfazione riguardano le tre principali relazioni di ogni uomo: con Dio, con se stesso e con il prossimo. Con “pellegrinaggi” si intendono non solo i pellegrinaggi in senso stretto ma anche ogni forma di devozione, come per esempio visita di chiese, preghiere, venerazione di reliquie così come la lettura di libri spirituali.

Con “digiuni” si intendono anche altre pratiche di ascesi e di mortificazione. Il termine “elemosina” indica attualmente soprattutto una offerta in denaro, che talvolta può avere anche una connotazione negativa, come offerta di una somma di denaro modesta se non irrisoria. Nell’età della cristianità, invece, con il termine s’intendevano tutte le opere di misericordia spirituali e corporali.

Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), oltre alle preghiere e a pratiche penitenziali, non prevede una soddisfazione in denaro ma con opere di misericordia. Infatti, secondo il CCC il penitente «[…] deve impegnarsi, attraverso le opere di misericordia e di carità, come pure mediante la preghiera e le varie pratiche di penitenza, a spogliarsi completamente dell’“uomo vecchio” e a rivestire “l’uomo nuovo”» (N. 1473).

2. Le indulgenze “crociate”  

Nel Sinodo di Clermont, l’attuale Clermont-Ferrand, in Francia, che si è tenuto sotto la direzione di Papa Urbano II (1088-1099) dal 18 al 28 novembre 1095, sono state trattate e regolate numerose questioni ecclesiastiche. Prima della chiusura del sinodo il Papa ha descritto la difficile situazione dei cristiani nel vicino Oriente e i pericoli per i pellegrini dopo la sanguinosa presa di Gerusalemme nel 1078 da parte dei turchi Selgiuchidi, e ha concesso una indulgenza con la remissione dei peccati per i crociati che unicamente per devozione, e non per ottenere onori o accumulare ricchezze, erano disposti ad andare a Gerusalemme per liberare la Chiesa di Dio (13).

Si deve tener presente che la partecipazione alle crociate comportava gravi rischi, compreso quello della vita, nonché grandi sacrifici, poiché l’impresa poteva durare qualche anno, il che significava lasciare per un lungo periodo la famiglia e gli affari e comportava anche oneri finanziari consistenti. Non a caso la decisione di partire per le Crociate era anche detta “prendere la croce”, con richiama all’invito di Gesù «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24).

I crociati lasciavano l’esistenza che avevano condotto fino ad allora ed erano pronti a mettere a repentaglio la propria esistenza in nome della fede. La partecipazione alle Crociate non era impresa da tutti ed era anche onerosa: per questo l’indulgenza crociata fu estesa anche a chi finanziava un crociato per almeno tre anni. In relazione alle Crociate sono state concesse anche indulgenze non plenarie a fedeli che partecipavano a cerimonie liturgiche per il loro buon esito o anche ad aiuti e a sostegni particolari.

Cronisti contemporanei riferiscono, per esempio, che lo stesso re di Francia, san Luigi IX (1214-1270), quando era alle Crociate per fare penitenza, contribuì di persona a opere di difesa delle città portando in un cesto pietre che servivano a una fortificazione o portando nel suo mantello terra per riempire un canale (14).

3. Le indulgenze della Porziuncola e di Collemaggio

Due indulgenze particolari, quella della Porziuncola in Santa Maria degli Angeli ad Assisi (Perugia) e quella di Santa Maria di Collemaggio (L’Aquila), hanno introdotto una importante novità: una indulgenza plenaria poteva essere lucrata già con la sola visita di una chiesa. Dopo l’elezione di Papa Onorio III (1216-1227) san Francesco di Assisi (1182-1226) si recò a Roma per rendere omaggio al nuovo pontefice e per garantirgli l’obbedienza. Secondo la tradizione, nel corso dell’udienza, san Francesco chiese al Papa la concessione di una indulgenza plenaria per tutti i fedeli pentiti che il 2 di agosto, festa di Santa Maria degli Angeli, avessero visitato la cappella della Porziuncola.

Sempre secondo la tradizione, Papa Onorio avrebbe concesso l’indulgenza unicamente a voce e senza una bolla, ma avrebbe scritto una lettera a sette vescovi della regione con la raccomandazione di benedire la cappella. In mancanza di una documentazione scritta l’autenticità di questa indulgenza è stata talvolta messa in discussione. All’inizio l’indulgenza poteva essere lucrata solo con la visita della cappella della Porziuncola in occasione delle celebrazioni della sua dedicazione, con il tempo l’indulgenza è stata estesa alle chiese di tutti gli ordini francescani e successivamente anche a tutte le chiese (15).

Il monaco Pietro Angelerio (1209/1215-1296), dopo la sua intronizzazione a papa Celestino V (1294), nella basilica di Santa Maria in Collemaggio il 29 agosto 1294, con la bolla Inter sanctorum solemnia (16), concesse l’indulgenza plenaria per tutti i fedeli che il 29 agosto di ogni anno avrebbero visitato contriti e confessati la basilica in Collemaggio.

4. L’indulgenza per i giubilei

Il giubileo del 1300 rappresenta il primo giubileo della Chiesa cattolica documentato storicamente. Già verso la fine dell’anno 1299 un gran numero di pellegrini era arrivato a Roma con la speranza di poter lucrare una grande grazia in occasione dell’inizio del nuovo secolo. Alcuni pellegrini fondavano questa speranza su relazioni secondo le quali all’inizio dell’anno 1200 erano state concesse particolari indulgenze.

Nella sua relazione sul giubileo del 1300 il cardinale Jacopo Gaetano Stefaneschi (1270-1343) riferisce che un pellegrino, che lui aveva interrogato personalmente, raccontava di aver appreso dal padre che «allora, ogni giorno del giubileo si poteva lucrare un’indulgenza di cento anni» (17). Ricerche negli archivi non hanno confermato questi racconti. Ciò non ostante Papa Bonifacio VIII (1294-1303), dopo essersi consigliato con il collegio dei cardinali, decise di accondiscendere alle aspettative dei pellegrini.

Nella bolla Antiquorum habet fde relatio del 22 febbraio 1300 il Papa scrive: «Resoconti attendibili degli antichi testimoniano che furono concesse grandi grazie e remissione dei peccati ai pellegrini della venerabile basilica del principe degli apostoli a Roma. Poiché è uno dei doveri del nostro ministero cercare e amministrare la salvezza, dichiariamo e approviamo volentieri tali perdoni e indulgenze individuali, singolarmente e nella loro totalità, affermandoli, approvandoli e rinnovandoli in virtù della nostra autorità apostolica con questo documento» (18).

Alla fine del suo trattato, il cardinale Stefaneschi si occupa di questioni generali che riguardano le indulgenze: parla infatti del tesoro di grazie della Chiesa, che consiste nei meriti del sacrificio della Croce: «Gesù, Dio e uomo, che è voluto nascere per tutti noi, nel suo grande amore è stato disposto a morire per ognuno di noi» (19).

Al tesoro di grazie della Chiesa appartengono anche i meriti dei santi e dei martiri: «Sebbene il tesoro della chiesa sia già pieno di questi grandi inestimabili doni, altri ragguardevoli tesori si aggiungono ai tesori della Chiesa: le lacrime dei santi, le soferenze dei giusti e le venerabili soferenze nell’agonia dei martiri» (20). Stefaneschi affronta anche la questione se il Papa, grazie al potere delle chiavi, possa disporre del tesoro della Chiesa e annunciare una indulgenza plenaria: «Nel nome di Dio, nel nome degli apostoli e a proprio nome il papa amministra questi tesori; e li distribuisce come alimento ai suoi figli» (21).

Come regola viene attribuito ai papi un interesse finanziario nell’annuncio dei giubilei. Il già citato teologo protestante Berndt Hamm sostiene però: «Dietro all’invenzione dell’indulgenza per il giubileo romano c’erano le necessità spirituali dei fedeli, non motivi finanziari della curia pontificia» (22). Secondo la tradizione ebraica, che celebrava il giubileo ogni cinquant’anni, papa Clemente VI (1342-1352), con la bolla Unigenitus Dei Filius del 27 gennaio 1343, decise di abbreviare l’intervallo a cinquant’anni.

Nella stessa bolla il Papa dichiarava che i meriti infiniti di Cristo e quelli della Madre di Dio e di tutti santi costituiscono il tesoro della Chiesa dal quale possono essere attinte le grazie delle indulgenze (23). Papa Urbano VI (1378-1389), nella bolla Salvator noster unigenitus dell’8 aprile 1389, dichiarava che l’intervallo fra i giubilei vigente gli sembrava troppo lungo, perché molti non arrivavano a quell’età e quindi non potevano usufruire dell’indulgenza plenaria: per questo ridusse l’intervallo a trentatré anni, un numero simbolico corrispondente agli anni di vita di Cristo (24).

Con la bolla Inefabilis providentia del 19 aprile 1470 papa Paolo II (1464-1471) ridusse ulteriormente l’intervallo a venticinque anni, giustificando la decisione con la breve aspettativa di vita dei suoi contemporanei a causa di guerre, di frequenti epidemie e di malattie letali. Il Papa voleva dare a ogni generazione l’opportunità di festeggiare un giubileo almeno una volta nel corso della propria esistenza (25). L’accorciamento dell’intervallo fra i giubilei mostra uno sviluppo che ha facilitato progressivamente l’ottenimento delle indulgenze plenarie e che è proseguito nei secoli successivi.

Bonifacio IX (1389- 1404) accordò per la prima volta nel 1390 a chiese fuori Roma la facoltà di concedere l’indulgenza plenaria del giubileo romano. Lo stesso pontefice concesse nel 1398 l’indulgenza della Porziuncola alla cappella del castello di Wittenberg, in Sassonia. Con il tempo i fedeli potevano lucrare l’indulgenza plenaria anche in alcune parti d’Europa, nei Paesi di lingua tedesca, per esempio, in città come Vienna, Monaco di Baviera, Costanza (Baden-Württemberg), Strasburgo (Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorena; Francia) e Zwickau Sassonia-Anhalt).

Papa Sisto IV (1471-1484) estese l’indulgenza del giubileo del 1475 a tutta l’Europa, ad instar jubilaei: i fedeli potevano lucrare indulgenze con lo stesso valore di quelle del giubileo a Roma (26). Si è trattato di una facilitazione molto importante: pellegrini dell’Europa centrale e del Nord Europa non dovevano più affrontare un viaggio lungo, arduo e oneroso, e che non tutti si potevano permettere.

Contemporaneamente sono state facilitate le condizioni per lucrare le indulgenze: per i primi giubilei gli abitanti di Roma dovevano partecipare alle liturgie per un mese intero, gli altri pellegrini per due settimane. Con la bolla Salvator noster del 3 agosto 1476 per la ricostruzione della fatiscente cattedrale San Pietro di Saintes (Charente-Maritime) in Francia, Sisto IV concesse particolari indulgenze estese alle anime del purgatorio (27).

Alcuni predicatori hanno utilizzato la formula: “non appena il soldo cade nella cassetta, l’anima vola in paradiso benedetta”, una formula che è stata presto condannata dalla facoltà di teologia di Parigi. «La vicenda della prassi indulgenziale medievale, dai suoi inizi sino alle ultime campagne di predicazione per il Giubileo che precedettero la Riforma, può essere, in fondo, caratterizzata come la storia di una progressiva caduta di barriere comprendente diverse tappe. Retrospettivamente si può affermare che essa fu contraddistinta da un moto inarrestabile teso a rendere l’offerta della grazia sempre più piena, totale e capillare, così come essa fu ad esempio annunciata nella propaganda giubilare prima e dopo il 1500. In una siffatta offerta di grazia, espressa nella formula plenissima remissio, erano compresi svariati aspetti: la cancellazione dalla colpa, la remissione dalla pena eterna e temporale, il perdono tanto per peccatori ancora in vita quanto per le anime del purgatorio, l’assoluzione dei reati compiuti in passato e, infine, l’assicurazione del condono per tutte le mancanze future, sino al momento della morte. L’illimitata offerta di grazia della Riforma con l’eliminazione di qualsiasi barriera appare quindi in continuità con una tendenza già presente nella prassi indulgenziale tardo medievale. Se il Giubileo si poneva come scopo la preservazione di tutti i viventi dal purgatorio e la liberazione da esso del maggior numero possibile di anime, i riformatori si limitarono a compiere l’ultimo passaggio attraverso, appunto, l’abolizione di esso» (28).

Questa tendenza proseguì nelle campagne per le indulgenze organizzate, per esempio, per finanziare le difese militari contro i turchi, che si trasformarono in una specie di missione popolare. Le campagne sono state organizzate anche in piccole località e annunciate nei circondari, cosicché praticamente tutti i fedeli avevano la possibilità di accogliere l’offerta del perdono dei peccati.

5. Indulgenze ed elemosine

A sfatare il luogo comune ampiamente diffuso che le indulgenze sarebbero state concesse unicamente per finanziare il lusso della Chiesa, vale il fatto che la maggioranza delle indulgenze poteva essere lucrata senza un’offerta in denaro, né della destinazione delle offerte richieste per alcune indulgenze.

«Il primo grande gruppo di opere per le indulgenze è costituito da quelle che si riferiscono all’ aiuto materiale per una chiesa. Le opere più importanti sono l’offerta in denaro, il sostegno generale (per lo più con la formula manus adiutrices porrigere) e la costruzione della chiesa. Per questa ricerca è utile ricordare che elemosine come opere di soddisfazione per le indulgenze sono state discusse animatamente dal punto di vista teologico. Mentre nell’accezione attuale l’elemosina viene identificata spesso con una offerta in denaro, nell’uso dell’alto Medio Evo il concetto elemosinis ha un significato molto più ampio. Sulla base di diversi passi biblici è stata sviluppata la dottrina delle sette “elemosine” spirituali e delle sette corporali. Anche in importanti teologi del XIII secolo si trova questa distinzione tanto nella riflessione sulle elemosine in sé quanto nella tematizzazione del loro ruolo come opere per le indulgenze» (29).

Già prima della Riforma alcuni teologi erano del parere che l’offerta in denaro per lucrare un’indulgenza avrebbe potuto rappresentare un caso di simonia. San Tommaso di Aquino (1225-1274) chiarì che il termine “elemosina” indica ogni forma di aiuto a persone bisognose, come spiega in una quaestio della sua Summa theologiae, De elemosinis, interamente dedicata alla questione: «Ora — scrive —, il movente che spinge a fare l’elemosina è l’intenzione di soccorrere chi è in necessità: infatti alcuni, nel definire l’elemosina, affermano che essa è “un’azione con la quale si dà per compassione qualche cosa a un indigente, per amor di Dio”» (30).

L’elemosina è destinata al soccorso del prossimo per le sue necessità materiali e spirituali, e san Tommaso enumera le opere di misericordia: «Vengono enumerati sette tipi di elemosina corporale, e cioè: dar da mangiare agli afamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, riscattare i prigionieri e seppellire i morti; opere che sono racchiuse in questo verso: “Visito, poto, cibo, redimo, tego, colligo, condo”. Inoltre vengono enumerati sette tipi di elemosina spirituale, e cioè: insegnare agli ignoranti, consigliare i dubbiosi, consolare gli afitti, correggere i peccatori, perdonare le ofese, sopportare le persone moleste e pregare per tutti; le quali opere sono racchiuse nel verso: “Consule, castiga, solare, remitte, fer, ora”, abbinando però il consiglio all’insegnamento» (31).

Elemosina significa sopperire per amore di Dio alle necessità del prossimo con le opere di misericordia, mentre l’offerta in denaro ne costituisce solamente un sostituto. La preoccupazione per gli infermi si può manifestare non solo vistandoli personalmente, ma anche con ogni altra attività a loro favore, per esempio, anche contribuendo finanziariamente alla costruzione o al sostentamento di un ospedale. In altri termini l’offerta in denaro per questo tipo di indulgenza era destinata a sostenere una particolare opera di misericordia e non al mantenimento della curia romana. Indulgenze sono state concesse, per esempio, per la costruzione di chiese, per la costruzione e il sostentamento di ospedali, per la costruzione di ponti e argini così come per particolari aiuti a persone in difficoltà (32).

Immagini abituali del “commercio delle indulgenze” rappresentano l’acquisto di una indulgenza come un “mercato”: un laico o un monaco dietro un banchetto vende indulgenze, mentre gli aspetti spirituali delle campagne per le indulgenze, ben documentati storicamente, sono più o meno trascurati. Nel XV secolo a Milano vi erano numerosi piccoli ospedali e il duca Francesco Sforza (1401-1466) fece progettare la costruzione di un grande ospedale, la futura Ca’ Granda, e per finanziare l’opera chiese al Papa la concessione di un’indulgenza per i benefattori.

Nel dicembre del 1459 Papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini, con la bolla Virgini gloriosae, concesse un’indulgenza plenaria ventennale, che nel triennio successivo poteva essere lucrata ogni 25 marzo, cioè in occasione della festa dell’Annunciazione, visitando la cappella dell’ospedale ed erogando una offerta adeguata; dopo il terzo anno solamente negli anni dispari.

Negli anni pari veniva concessa l’indulgenza plenaria a coloro che alle solite condizioni visitavano l’ospedale nel giorno della Dedicazione il Duomo di Milano e facevano una congrua donazione a favore della Fabbrica del Duomo. Per finanziare la costruzione della cattedrale di Berna in Svizzera furono concesse indulgenze ogni anno dal 1476 al 1478 per un periodo di dieci giorni.

La liturgia iniziava con una processione sacramentale per le vie del centro della città: «Alla processione partecipavano molti pubblici peccatori, gli uomini a torso nudo, le donne scalze e con i capelli sciolti, che utilizzavano questa occasione per rappacificarsi con Dio»33. Dopo la predica, cinquanta sacerdoti erano a disposizione dei pellegrini per le confessioni e successivamente i fedeli potevano fare la penitenza.

Alcuni storici hanno fatto ricerche sull’utilizzazione delle offerte raccolte con le indulgenze e hanno riportato casi concreti. Alcuni esempi. «Nella diocesi inglese di Exeter i vescovi concessero fra il 1351 e il 1536 indulgenze per almeno 69 ponti, porti, strade e fortificazioni di città» (34).

«Il vescovo di Roskilde, Olav [?-1320], come ordinario dell’isola di Rügen [Germania], ha concesso nel 1306 una indulgenza per la costruzione di una banchina del porto e di un faro. Inoltre, nel caso di un naufragio il soccorso ai naufraghi era premiato con una indulgenza» (35).

Per combattere usura e usurai nel Medio Evo furono fondati i “monti di pietà”, istituti che concedevano prestiti per lo più a persone indigenti che si trovavano in una situazione di bisogno in cambio di oggetti lasciati in pegno. Questi istituti avevano bisogno di un capitale iniziale: «Il capitale iniziale di questi montes pietatis fu raccolto, fra l’altro, per mezzo di indulgenze papali. Papa Pio II (1458- 1464) concesse a Orvieto una indulgenza plenaria a tutti quelli che contribuivano con almeno dieci ducati» (36).

Indulgenze furono concesse anche per le guerre a difesa contro i turchi. Le offerte raccolte con le indulgenze per il restauro della Cattedrale di Saints furono destinate, per esempio, per metà alla fabbrica della cattedrale e per l’altra metà a finanziare la guerra contro i turchi. «Nel principato di Sassonia tra il 1457 e il 1458 90.000 fedeli lucrarono una indulgenza crociata a favore della difesa dell’isola di Cipro contro i turchi» (37).

Si deve ricordare che nella bolla Exsurge Domine del 1520, che minacciava la scomunica a Lutero, la trentaquattresima tesi condannata sosteneva che «Combattere contro i turchi è opporsi a Dio, che visita le nostre iniquità per mezzo loro» (38). Lutero invece di ritrattare questa tesi la confermò, sostenendo che Dio si serve «[…] dei Turchi come verga per la nostra ingiustizia, e che i cristiani dovrebbero pregare piuttosto che opporsi alla punizione di Dio» (39).

6. La liturgia delle campagne per le indulgenze

Per le campagne per le indulgenze che venivano predicate, per esempio, per finanziare la difesa militare contro le offensive turche, fu elaborato un rituale a opera, fra altri, del cardinale Raimondo Peraudi (1435-1505) dell’ordine degli eremiti agostiniani. Così come nel Rituale romano per lucrare l’indulgenza i pellegrini dovevano visitare un certo numero di chiese e di basiliche, anche nelle località che ospitavano una campagna di indulgenze venivano scelte alcune chiese dove veniva eretto solennemente un crocefisso o una croce adornata con le insegne papali.

Da ogni chiesa chierici e fedeli raggiungevano la chiesa più importante, dove il commissario responsabile della campagna teneva una predica e dirigeva la liturgia. Successivamente, i fedeli potevano confessarsi e fare penitenza e soddisfazione. Ogni sera, poi, si teneva una liturgia della Croce nella quale, fra l’altro, «[…] il commissario per le indulgenze o un suo incaricato recitava il verso “Noi ti adoriamo, Gesù Cristo, e Ti benediciamo” e i fedeli rispondevano “perché con la tua santa Croce hai redento il mondo”» (40).

La liturgia sottolineava il fatto che per lucrare l’indulgenza erano necessarie la contrizione, o per lo meno l’attrizione o la disponibilità a non porre ostacoli all’azione della grazia, la confessione e la soddisfazione, con la consapevolezza che la soddisfazione doveva essere congrua ma non era adeguata a riparare l’offesa fatta a Dio.

Solo grazie al tesoro della Chiesa, costituito soprattutto dalla passione di Cristo, e con l’azione mediatrice del Pontefice era possibile ottenere la remissione dei peccati e delle pene, con il ruolo centrale della liturgia della croce. Presupposto per la disponibilità a prepararsi per l’indulgenza erano tanto la consapevolezza dei propri peccati e dell’impossibilità di salvarsi unicamente con i propri meriti, quanto la preoccupazione per la salvezza della propria anima.

«Quanto più nella storia delle indulgenze furono accentuate la peccaminosità e l’insufficienza del soggetto, tanto più poté acquisire peso l’efficacia “oggettiva” del tesoro di grazia della Chiesa. Un siffatto sviluppo culminò nelle campagne giubilari del Peraudi e dei suoi successori, in cui la potenza salvifica del sacrificio vicario di Cristo sulla croce fu esaltata al massimo grado possibile, senza che questo comportasse una negazione della funzione parimenti salvifica di Maria, dei santi e della communio sanctorum. Seppure, infatti, anche i meriti dei santi vennero integrati nel Tesoro della Chiesa e, con ciò, nell’oggettività della dimensione esterna (Extra-nos), quest’ultima restò dominata dalla figura di Cristo. Proprio per queste ragioni, la celebrazione dell’elevazione della croce e la rituale rievocazione del sacrificio del Golgota costituivano il cuore del cerimoniale introdotto dal Peraudi e praticato ovunque nel corso delle liturgie giubilari» (41).

7. La motivazione autenticamente religiosa delle indulgenze

«La motivazione religiosa principale sottesa alla largizione di indulgenze papali e vescovili — al di là della necessità di raccogliere sussidi materiali da impiegare per la difesa del bene comune della Cristianità — era di natura dichiaratamente pastorale, poiché attraverso l’indulgenza si intendeva venire incontro alle preoccupazioni e necessità dei fedeli in vista del conseguimento della salvezza. Soprattutto dalle testimonianze relative alle campagne giubilari di Raimondo Peraudi e dei suoi successori in veste di commissari e predicatori del Giubileo, come Johannes von Paltz [teologo dell’ordine degli agostiniani eremitani; 1445-1511] e Johann Tetzel [domenicano, probabilmente il più noto predicatore delle indulgenze del suo tempo, 1465-1519], emerge l’idea programmatica di mettere a parte tutte le anime oppresse della Cristianità, persino i più grandi peccatori e gli indigenti impossibilitati ad ofrire contributi in denaro, dell’immenso tesoro di grazia scaturito dalla passione di Cristo ed implicante la piena remissione dei peccati. Il medesimo obiettivo si celava dietro la produzione — certo difficile da quantificare — di testi a stampa contenenti remissioni penitenziali, attestati in misura crescente della metà del XV secolo» (42).

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N.B. — La traduzione delle opere in lingua straniera, salva diversa indicazione, è dell’Autore.

1 «Indulgènza […] 2. Nella Chiesa cattolica, remissione di tutte o parte delle pene temporali con cui si deve dare soddisfazione a Dio delle offese recategli con i proprî peccati; è concessa dall’autorità ecclesiastica ai vivi, a titolo di com- pleta e defnitiva assoluzione, e ai defunti a titolo di sufragio […]» (Vocabolario Treccani online sub voce).

2 Cfr. Enrico De Negri, La teologia di Lutero. Rivelazione e dialettica, La Nuova Italia, Firenze 1976, p. 203.

3 Filippo Melantone (in tedesco Philipp Melanchthon o Philipp Schwarzerdt; 1497-1560), umanista, teologo e astrologo tedesco, amico personale di Lutero e uno dei maggiori prota- gonisti della Riforma protestante in Germania.

4 Angela Pellicciari, Martin Lutero. Il lato oscuro di un rivoluzionario, Cantagalli, Siena 2016, p. 38.

5 Berndt Hamm, Ablass und Reformation. Erstaunliche Kohärenzen [Indulgenza e Riforma. Stupefacenti coerenze], Mohr Siebeck, Tubinga 2016, pp. 39-40.

6 Alexander Wolny, “Cum devotione et elemosinis”? Quantifzierung in den Ablassurkunden des 13. Jahrhunderts, trad. it., in Economia della salvezza e indulgenza del Medioevo, a cura di Etienne Doublier e Jochen Johrendt, Vita e Pensiero, Milano 2017, pp. 83-102 (p. 88).

7 L’unico caso che viene ricordato nella letteratura consultata riguarda la campagna relativa all’indulgenza per la costruzione della basilica di San Pietro a Roma del 1517, lanciata nelle diocesi di Magonza (Renania-Palatinato), di Magdeburgo (Sassonia-Anhalt) e di Halberstadt. Metà delle offerte raccolte serviva all’arcivescovo di Magonza, Alberto di Brandeburgo Hohenzollern (1490-1545), per restituire un prestito che gli era stato concesso per l’acquisto del pallio della diocesi di Magonza. Proprio la predicazione di questa indulgenza offrì a Lutero l’occasione per compilare le tesi sull’efficacia delle indulgenze. All’epoca, però, Lutero non era al corrente del retroscena e pensava che tutte le offerte fossero destinate alla costruzione di San Pietro.

8 Wilfried Härle, Einleitung [Introduzione] a Martin Luther, Latein-deutsche Studienausgabe, 3 voll., 2a ed. riv., Evangelische Verlagsanstalt, Lipsia 2016, vol. I, Der Mensch vor Gott [L’uomo di fronte a Dio], pp. XI-XLII (p. XV).

9 Giovanni Miegge, Lutero. L’uomo e il pensiero fino alla dieta di Worms (1483-1521), Claudiana, Torino 2008, pp. 178- 179.

10 San Paolo VI, Costituzione apostolica “Indulgentiarum doctrina”, dell’1°-1-1967, Normae, 1 (AAS 59 (1967) 21).

11 San Paolo VI, Costituzione apostolica “Indulgentiarum doctrina”, cit., Normae, 2 (AAS 59 (1967) 21).

12 Codex Iuris Canonici (CIC), can. 994.

13 Cfr. Christiane Laudage, Das Geschäft mit der Sünde. Ablass und Ablasswesen im Mittelalter [Il business dei pecca- ti. Indulgenza e senso dell’indulgenza nel Medioevo], Herder, Friburgo in Brisgovia 2016, pp. 152-153.

14 Cfr. Lukas Wolfinger, König Ludwig der Heilige und die Genese fürstlicher Ablasspolitik. Beobachtungen zur Heilsökonomie weltlicher Herrschaft im Spätmittelalter [Re Ludovico il Santo e la genesi delle indulgenze principesche. Osservazioni sull’economia della salvezza del dominio secolare nel tardo Medioevo], in Economia della salvezza e indulgenza del Medioevo, cit., pp. 149-181 (pp. 149-150).

15 Cfr. [Don] Daniele Pinton, Il concetto di indulgenza nel XIII secolo in S. Francesco, S. Pietro Celestino e Bonifacio VIII, Japadre, L’Aquila 2002, p. 35.

16 Testo italiano alla pagina web: http://www.perdonanza-celestiniana.it/it/la-bolla-del-perdono.html

17 Paul Gerhardt Schmidt (1937-2010), Das römische Jubeljahr 1300. Mit einer Übersetzung von Jacopo Gaetani Stefaneschis De anno jubileo [L’anno giubilare di Roma del 1300. Con una traduzione del De Jubileo di Jacopo Gaetani Stefaneschi], Franz Steiner, Stoccarda 2000, p. 17.

18 Ibid., p. 32.

19 Ibid., p. 28.

20 Ibid., p. 29.

21 Ibidem.

22 B. Hamm, op. cit., p. 39.

23 Cfr. Walther Köhler (1870-1946), Dokumente zum Ab- lassstreit von 1517 [Documenti sulla disputa delle indulgenze del 1517], J. C. B. [Jakob Christian Benjamin] Möhr, TubingaLipsia 1902, pp. 19-21.

24 Cfr. ibid., pp. 21-22.

25 Cfr. ibid., pp. 23-24.

26 Cfr. B. Hamm, op. cit., p. 49.

27 Cfr. Bernhard Alfred R. Felmberg, Die Ablasstheologie Kardinal Cajetans (1469-1534) [La teologia dell’indulgenza del cardinal Gaetano (1469-1534)], Brill, Leida (Paesi Bassi)-Boston-Londra 1998, pp. 115-116.

28 B. Hamm, op. cit., pp. 214-215.

29 A. Wolny, op. cit., pp. 85-86.

30 San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, IIa IIae 32 (L’elemosina) a. 1.

31 Ibid., a. 2 ad 1.

32 Cfr. C. Laudage, op. cit., pp. 53-70.

33 Ibid., p. 63.

34 Ibid., p. 66.

35 Ibid., p. 67.

36 Ibid., p. 69.

37 B. Hamm, op. cit., p. 65.

38 Cfr. la pagina web: https://it.cathopedia.org/wiki/Exsurge_Domine

39 Martin Luther, Wahrheitsbekräftigung aller Artikel Martin Luthers, die von der jüngsten Bulle Leo X. verdammt worden sind, in Idem, Lateinisch-Deutsche Studienausgabe, cit., vol. II, Christusglaube und Rechtfertigung, pp. 71-217 (p. 189).

40 Cit. in B. Hamm, op. cit., p. 201.

41 Ibid., p. 222.

42 Ibid., p. 216.