A rischio di estinzione

attentato_islamistaNuovo Progetto (mensile del Sermig)  n.8 ottobre 2011

I cristiani e l’ideologia islamista. Quanto pesa l’Islam politico nello scacchiere mediorientale? L’analisi del direttore di Asia News tenuta a Gazzada (Va) durante la 23ma Settimana europea incentrata sulla vita e sulla storia delle comunità cristiane di tradizione antiochena (*)

di Bernardo Cervellera

L’islamismo radicale è sempre stato presente nell’islam, ma è emerso negli ultimi decenni grazie ai Fratelli Musulmani (fondati in Egitto nel 1928) e grazie al sostegno saudita verso l’ideologia wahabita. Esso suppone un’interpretazione letteralista dell’islam e un ritorno all’islam delle origini – quello di Maometto e dei quattro califfi – come strada per riaffermare la dignità delle comunità islamiche nel mondo.

I loro nemici sono i Governi islamici corrotti (quasi tutti); l’occidente ateo e coloniale; lo Stato di Israele; e infine anche i cristiani, spesso assommati all’occidente, anche se gli islamisti combattono spesso comunità cristiane che vivono in Medio Oriente da molto tempo prima di Maometto. Al mondo islamista è legata la scelta della violenza e anche il terrorismo visto come un gesto religioso che da lode ad Allah e purifica il mondo distruggendo i nemici dell’islam.

Che peso ha questa interpretazione dell’islam? In un’inchiesta pubblicata il 4 marzo 2009 da AsiaNews, a cura del Palestinian Center for Public Opinion, emergeva che almeno il 30% degli interrogati in diversi Paesi islamici – Egitto, Palestina, Turchia, Azerbaijan, Pakistan, Giordania e Marocco – sosteneva che è giusto l’uso di bombe e assassini! per raggiungere scopi politici e religiosi. Una larga maggioranza sosteneva lo scopo di al Qaeda di “spingere gli Usa a rimuovere le basi americane e le sue forze militari da tutti i Paesi islamici”. Fra questi vi sono l’87% degli egiziani; il 64% degli indonesiani; il 60% dei pakistani.

Molto approvati erano anche altri scopi di al Qaeda. Fra questi, “la stretta applicazione della sharia in tutti i Paesi islamici e l’unificazione di tutte le Nazioni islamiche in un unico Stato islamico o Califfato” ha ricevuto il sostegno del 65% degli egiziani; il 48% degli indonesiani; il 76% di pakistani e marocchini. “Mantenere i valori occidentali fuori dai Paesi islamici”, un altro dei fini dell’organizzazione terrorista, guadagna il sostegno dell’88% in Egitto, del 76% in Indonesia; del 60% in Pakistan e del 64% in Marocco.

La figura di Osama bin Laden – allora ancora vivo – ha avuto un sostegno controverso. Se si eccettua l’Egitto (con il 44%), e i Territori palestinesi (con 56%) negli altri Paesi, i sentimenti positivi verso di lui giungono al 14% in Indonesia; 25% in Pakistan; 27% in Marocco; 27% in Giordania; 9% in Turchia; 4% in Azerbaijan. Possiamo dire che questa mentalità è presente tuttora, anche dopo la morte di Osama bin Laden.

Tony Blair, ex premier britannico, in un’intervista alla Bbc (10/9/2011) ha detto che l’occidente “ha vinto al Qaeda militarmente”, ma essa non è ancora vinta “dal punto di vista ideologico”. Vi è dunque una discreta influenza di questa mentalità islamista nel mondo musulmano. Essa è accresciuta da altri due fattori:

1) il silenzio del mondo islamico moderato o modernizzante, che vorrebbe una riforma dell’islam basata su una nuova interpretazione del Corano e della sharia sottomessa ai diritti umani universali;

2) la diffusione della mentalità islamista attraverso la predicazione nelle moschee e nelle scuole islamiche. Per tutto ciò,  nei  Paesi del vicino oriente in questi decenni è andata crescendo la propaganda islamica con moschee, film, libri, video, uso del velo, della barba, pratica della sharia. Tale propaganda ha zittito le voci moderate e ha spinto i cristiani a rinchiudersi sempre più nelle loro comunità, al massimo resistendo a questo nuovo tipo di colonizzazione, rimanendo ancorati alla loro tradizione.

L’uso dell’islam politico ha subito un’accelerazione con la rivoluzione iraniana nel 1979 e con l’assalto delle Torri gemelle a New York nel 2001. Esso però si alimenta soprattutto dal senso di crisi che vivono le comunità islamiche, che si sentono spaesate nel mondo moderno, incapaci di produrre cultura influente e desiderose allo stesso tempo di vivere religiosamente la loro fede.

La conclusione (facile) è il ritorno a questo islam delle origini, al formalismo religioso proposto dagli imam, che ripetono schemi presi dal passato in ogni aspetto della vita: lavoro, convivenza, sesso, giustizia, valore della donna, apostasia, ecc. I Governi del Medio Oriente, tutti fragilissimi, dipendendo dagli aiuti dell’Arabia Saudita e soppesando il poco valore politico dei cristiani – una minoranza – spesso non difendono i cristiani, ma preferiscono lasciare sempre più spazio all’islamismo nella società, anche se talvolta si pregiano di difendere la società dal terrorismo.

L’occidente, da parte sua, con il sostegno alla causa di Israele, la guerra in Afghanistan e quella in Iraq ha scelto anch’esso un modo conflittuale di rapporto, salvaguardando i legami economici e mettendo all’ultimo posto un dialogo culturale e religioso. Non parliamo poi di un occidente che si colpevolizza, che attribuisce al suo passato coloniale tutti i problemi del mondo arabo, che difende la sharia come un elemento culturale intoccabile, che difende tutti i diritti possibili meno quello della libertà religiosa…

Va detto che queste posizioni dell’occidente rafforzano proprio l’islamismo, che si convince del carattere predatore e ateo dell’occidente e vede nell’oppressione dei cristiani (crociati) una vittoria delle proprie posizioni. Questa situazione di insicurezza, di guerra, di oppressione culturale sta svuotando il Medio Oriente dei cristiani. L’emigrazione è la strada che prendono in molti, spesso per sempre.

In Libano, al tempo della Costituzione nel ’46, circa 60 anni fa, vi era una piccola maggioranza cristiana, rispetto a musulmani e drusi. Ora nessuno vuole fare un censimento, ma i cristiani sono scesi al di sotto del 40% (forse anche 35%). E questo sta mettendo in crisi l’equilibrio politico del Paese. In altri Paesi della regione, come in Turchia, si vede la caduta in picchiata della presenza cristiana: in un secolo da circa il 20% si è giunti all’1%. Alcuni anni fa la Custodia di Terra Santa ha presentato delle cifre impressionanti.

Esse affermano che tra il 1840 e il 2002, la popolazione cristiana di Gerusalemme è scesa dal 25% al 2%. Nel 1863 Betlemme era una città quasi completamente cristiana con 4.400 cristiani a fronte di 600 musulmani. Ancora nel 1922 c’erano 5.838 cristiani e soltanto 818 musulmani. Ma nel 2002 nella Città di Davide troviamo soltanto 12.000 cristiani, mentre i musulmani sono ora 33.500.

Il dott. Bernard Sabella, dell’università di Betlemme, uno studioso del fenomeno dell’emigrazione, afferma che dal 1948 almeno 230 mila arabi cristiani hanno lasciato la Terra Santa; dalla guerra del 1967 è emigrato il 35% della popolazione cristiana palestinese. Si prevede che nel 2020 i cristiani rappresenteranno solo l”l,6% della popolazione totale.

All’emigrazione palestinese contribuisce l’instabilità della situazione politica; le tensioni con Israele che frenano lo sviluppo e le prospettive di lavoro; la crescita di islamismo fra i palestinesi musulmani (in una popolazione che un tempo era la più laicizzata del Medio Oriente); qualche incidente violento contro chiese e scuole cristiane soprattutto a Gaza.

(*) Le Settimane sono curate dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il tema di questa edizione è stato: “Dal Mediterraneo al Mar della Cina. L’irradiazione della tradizione cristiana di Antiochia nel continente asiatico e nel suo universo religioso”.