La Buona Battaglia dello psicologo Giancarlo Ricci

Informazione cattolica 21 Maggio 2020

 di Giuseppe Brienza

È morto lo psicoterapeuta noto a livello nazionale e internazionale per le sue posizioni conformi alla natura dell’uomo e della società Giancarlo Ricci. Nato a Milano nel 1950, aveva oltre 40 anni di esperienza alle spalle ed aveva pubblicato numerosi e apprezzati volumi.

Per diversi anni ha dovuto sopportare una vera e propria gogna mediatico-professionale per aver difeso durante una trasmissione televisiva, «la funzione essenziale e costitutiva di padre e madre nella costituzione del soggetto». A motivo della ripetizione di questa irrevocabile (e scontata) verità, il prof. Ricci è stato inquisito infatti dal suo Ordine professionale (l’Ordine degli Psicologi della Lombardia), per aver assunto un comportamento discriminatorio nei confronti delle cosiddette “famiglie arcobaleno” (cioè omosessuali).

Dopo interrogatori e passando da un rinvio all’altro, il procedimento disciplinare nei suoi confronti si è concluso solo nel 2019 con l’archiviazione ma, la frase lapalissiana “incriminata”, gli ha causato non pochi problemi e un isolamento culturale da parte di non pochi dei suoi pavidi colleghi ed operatori dei media in generale.

Nel suo ultimo libro, significativamente intitolato Il tempo della postlibertà. Destino e responsabilità in psicoanalisi (SugarCo Edizioni, Milano 2019, pp. 192), Ricci ha rievocato l’intera odissea cominciata nel 2016, convincendoci come purtroppo il suo caso debba definirsi esemplificativo di un’epoca che, non a caso, Joseph Ratzinger ci ha insegnato a chiamare dittatura del relativismo. Tanto più che i motivi all’origine dell’esito del suo procedimento disciplinare non rassicurano proprio.

Anzitutto ci chiediamo: perché è durato così tanto un procedimento che poteva risolversi in soli pochi mesi? Semplice, si è trattato di un modo per intimidire lui e le sue attività pubbliche ma, al tempo stesso, mandare un messaggio alla stragrande maggioranza dei professionisti che, come Ricci, ne condividono la visione naturale e realista dell’uomo, della famiglia e dell’educazione.

Secondariamente: i voti favorevoli all’assoluzione sono stati 7 a favore e 7 contrari. Un risultato quindi sul filo di lana che indica una spaccatura all’interno dell’Ordine.

Infine: il testo delle motivazioni del provvedimento di archiviazione è pieno di incongruenze, di omissioni, di affermazioni contraddittorie. Pur di non ammettere la natura ideologica delle accuse, la decisione finale afferma obliquamente che «permangono irrinunciabili perplessità in ordine a orientamenti dottrinali a cui le affermazioni del dott. Ricci potrebbero voler fare riferimento».

Dopo questo contorsionismo il Collegio di Disciplina lombardo conclude che «non sono emersi elementi sufficienti per ritenere il dott. Ricci responsabile per gli illeciti contestati». Insomma, sembra un’assoluzione per insufficienza di prove…

Nel libro si descrive quindi, anche alla luce di quanto a lui successo, come il concetto di libertà sia totalmente cambiato in Occidente, e questo a cominciare soprattutto dalla Rivoluzione del Sessantotto. Nel Novecento, infatti, il secolo delle ideologie, l’uomo doveva combattere per conquistarsi le libertà, era una questione di sopravvivenza.

Con la globalizzazione e con il capitalismo neoliberistico la libertà diventa invece un’altra cosa: una sorta di merce che viene offerta per soddisfare il desiderio di varie categorie e gruppi sociali.

Perché accade questo? La lettura di Ricci è la seguente: fra l’individuo atomizzato e il Sistema si attua una sorta di scambio: varie forme di libertà in cambio della (falsa) promessa di sicurezza e di benessere materiale. Ma, soprattutto, in cambio di una rinuncia ai doveri e alla responsabilità personale.

Il cittadino sarà ricolmo di libertà a condizione che consegni l’istanza della responsabilità a qualcun altro che la gestirà come vuole. Il Grande Fratello, in pratica, che in questi ultimi mesi di pandemia globale abbiamo ancora più visto all’opera e subìto.

“Delegando” le responsabilità sociali ad altri, ai cittadini non resta che partecipare al mondo dell’ipnosi collettiva, della suggestione mediatica, al teatrino spettacolarizzato in cui altri mettono in scena le sorti di un possibile “bene comune”. L’effetto più evidente è che sparisce il concetto di libertà come coscienza soggettiva, interiore, come critica morale, come lavoro di riconquista della propria soggettività.

E tutto questo porta, nel caso italiano, alla fine di un Paese libero. Quella che viviamo è, in pratica, una libertà condizionata. Se concordiamo con il Pensiero Unico e partecipiamo al gioco illusorio di una realtà artificiosa, tutto va bene; se incominciamo a fare delle domande in più, a scompigliare il Politicamente corretto, come ha fatto Ricci, allora le cose si complicano, inizia la gogna mediatica, l’isolamento, l’ostracismo e, nei casi più gravi, anche di peggio.

Ma il fatto che uno come lui, dopo averla patita, non si è fatto intimidire dal Sistema e continua a parlare della sua vicenda, avendo non pochi che lo ascoltano e lo seguono, significa evidentemente che nel nostro Paese funziona ancora un rimasuglio di libertà e coscienza civile.

Personalmente ho seguito tutta la vicenda professionale e disciplinare del professor Ricci potendo scrivere e, soprattutto, intervistare lungamente su varie testate e in diretta su Radio Mater questa grande personalità che, fra tutte le altre virtù, spiccava a mio avviso per la preparazione culturale, il garbo e l’umiltà.

Per dovere di giustizia nei suoi riguardi devo anche testimoniare che, proprio nei periodi più difficili (per lui) della vicenda pubblica che ha dovuto sopportare, non tutte le testate, comprese alcune cattoliche che avrebbero dovuto essere più sensibili alla persona ed ai temi trattati, per conformità alla mentalità di questo secolo (cfr. Rm 12,2), non hanno dimostrato il coraggio e la disponibilità a collaborare compiere al nostro comune dovere di servire la verità.