L’industria porno finanzia l’aborto con cui va a braccetto

La Nuova Bussola quotidiana 15 Maggio 2020

L’organizzazione abortista Marie Stopes International ha ricevuto, a partire dal 1995, 7,5 milioni di sterline da Phil Harvey, magnate del porno e della vendita di articoli erotici. I motivi sono molteplici, fra questi il fatto che entrambi concepiscono il sesso slegato dalla procreazione, con medesimi effetti sulla salute e la psiche della “donna-oggetto”.

di Tommaso Scandroglio  

La notizia è stata data dal quotidiano britannico The Mail on Sunday: l’organizzazione abortista Marie Stopes International ha ricevuto, a partire dal 1995, 7,5 milioni di sterline da Phil Harvey, magnate del porno e della vendita di articoli erotici.

Ingraniamo la retromarcia per capirne di più. Tim Black era un medico inglese che salvò dal fallimento la clinica per aborti Marie Stopes. Black, alla fine degli anni ’60, conobbe Harvey alla University of North Carolina. Si misero in affari vendendo preservativi per posta, commercio che all’epoca era illegale. Black riuscì a far crescere la Marie Stopes, tanto che oggi questa organizzazione opera in 37 paesi del mondo ed è una vera e propria industria dell’aborto: solo l’anno scorso nelle sue cliniche sono stati compiuti 5 milioni di aborti.

Nel frattempo Harvey, il quale figura anche tra i fondatori della Marie Stopes, si diede alla vendita di film per adulti e gadgets erotici mettendo in piedi la società Adam & Eve, che solo nello scorso anno ha fatturato negli Stati Uniti più di 70 milioni di dollari.

Andrea Williams, responsabile dell’organizzazione evangelica Christian Concern, ha così commentato la notizia dei fondi ricevuti da Maria Stopes: «È necessario porsi delle domande serie sul perché Marie Stopes, un’organizzazione che afferma di dedicarsi alla emancipazione delle donne, abbia ricevuto milioni di finanziamenti da un ambiente che si batte per i motivi opposti».

Un comunicato di Marie Stopes così replica: «Phil Harvey ha trascorso la sua vita difendendo la salute e i diritti sessuali e riproduttivi delle donne [leggi: aborto, contraccezione, sterilizzazione] e ha svolto un ruolo significativo nell’ampliare l’accesso delle donne a tutti i settori sociali in ogni parte del mondo. Siamo orgogliosi che continui a contribuire all’organizzazione».

Esistono molteplici fili rossi che legano aborto e pornografia. Vediamone qualcuno. In entrambi i casi la donna viene violentata nelle sue carni, perché in un caso viene uccisa la sua femminilità e nel secondo caso viene uccisa, oltre al suo essere donna, anche la sua maternità. Una violenza che rimane tale anche se in entrambe le ipotesi la donna è consenziente. Un consenso che però non esclude da parte della donna una consapevolezza, implicita o esplicita, che l’aborto sia un assassinio e che la pornografia sia un sopruso.

In aggiunta a ciò, le spinte culturali a favore di aborto e pornografia, che hanno cesellato il suggestivo slogan che il corpo è delle donne, hanno in realtà convinto queste ultime a farsi usare: dalle lobby pro-choice e dalla lussuria dei maschi (ma oggi sempre più anche delle donne stesse). Ulteriore trade union tra aborto e porno: entrambe sono industrie che macinano soldi sulla pelle delle donne. Inoltre sia nell’aborto che nella pornografia la donna è ridotta solo ad un pezzo di carne che da una parte deve essere “curato” per asportare quel bambino che è visto come un tumore e dall’altra deve esibito per soddisfare la libido altrui.

Da qui un altro minimo comune denominatore tra i due mondi: l’aborto viene inteso come mezzo contraccettivo perché il rapporto sessuale stesso viene inteso solo nella sua componente edonistica e ludica. Il sesso libero, favorito anche dalla subcultura pornografica, esige la libertà anche dalla filiazione. Parimenti la pornografia – banale a dirsi – è l’esaltazione del sesso concepito solo come atto che produce piacere. L’affetto e la procreazione naturalmente non c’entrano nulla con il porno.

Altro tratto in comune. Le conseguenze sulla psiche e sul fisico della donna che ha abortito saranno per lei pesantissime. La donna non si emancipa con l’aborto, ma ne rimane schiava. Così anche per le donne che si danno al porno: i traumi psicologici che patiscono sono simili ai reduci di guerra. Infine lo spirito che innerva sia le pratiche abortive che la pornografia è mortifero.

Nel caso dell’aborto ciò è manifesto, nel caso della pornografia, per spiegare questo nesso tra eros e thanatos, occorre riflettere che la sessualità amputata della sua componente unitiva – sessualità come espressione di amore – e della sua componente procreativa diventa un atto genitale privo di vita, sia affettiva che biologica. Diventa un atto morto in sé, non aperto all’altro – che viene solo usato per il piacere – e non aperto ad un “futuro” altro, ossia al figlio.

Quindi nessuno stupore che un manager del porno finanzi l’aborto.