Ma l’Inquisizione ha fatto anche cose buone?

Il Borghese n. 5 maggio 2020  

di Giuseppe Brienza

Il mito della Sicilia “tollerante” sotto la dominazione araba (827-1091), i misfatti criminali dell’Inquisizione medievale (XII-XVI secolo), le crociate condotte dai cristiani sempre sporchi, brutti e cattivi, il Medioevo delle streghe e dei roghi, insomma a tutti i miti che fanno parte di quella “leggenda nera” ormai radicata e diffusa dal pensiero politicamente correttorisponde con questo agile e brillante libro il giornalista e scrittore Rino Cammilleri.

Il Kattolico (questo lo pseudonimo dell’Autore) raccoglie 40 articoli pubblicati negli ultimi anni sulla rivista mensile di apologetica Il Timone fondata dal prof. Gianpaolo Barra, e racconta con stile divulgativo ma allo stesso documentato come stanno veramente le cose, al di là della vulgata dominante (il sottotitolo del volume è appunto: Il Kattolico 5 – Spunti per stimolare l’approfondimento).

Si parte naturalmente dall’Inquisizione che, scrive Cammilleri, a differenza delle dittature del XX e XXI secolo, oltre che delle democrazie di facciata, anche europee,«almeno garantiva un regolare processo ai suoi imputati» (p. 58), ovvero agli eretici. Nel pezzo Morte di un inquisitore (pp. 58-60), per esempio, l’Autore ci parla di un religioso piemontese, padre Bartolomeo da Cervere (1420-1466), noto inquisitore ma anche santo. La Chiesa ne celebra infatti la memoria facoltativa (è Beato) ogni 13 ottobre, anche perché è morto martire, assassinato presso Cervere (Cuneo) nel 1466 da un manipolo di Valdesi.

Sacerdote dell’Ordine dei Frati Predicatori ammirato da tutti per la sua proverbiale pazienza, «durante il suo mandato [da inquisitore] niente roghi e torture (roba, in verità, più da film dell’orrore tratti da Il pozzo e il pendolo di Edgar Allan Poe: la storia ci dice tutt’altro)» (p. 59). L’Inquisizione, questo spiega Cammilleri, nasce quindi sostanzialmente come risposta della Chiesa agli eccessi dei movimenti ereticali, che non si limitavano a propugnare deviazioni di contenuto esclusivamente teologico – contrastati fino ad allora sul piano dottrinale e solo con mezzi spirituali -, ma insidiavano mortalmente la società civile.

La ferma riprovazione dei civili contro le vessazioni degli eretici costrinse in pratica le autorità ecclesiastiche a intervenire, anzitutto per controllare e per frenare una reazione nata dal popolo e gestita, non sempre con il necessario discernimento, dai tribunali laici, che si illudevano di risolvere il problema inviando con disinvoltura gli eretici al rogo. Interessante anche l’altro articolo contenuto nel libro, intitolato L’ultima crociata (pp. 33-35), considerata quella in Africa condotta dal cardinale Charles-Martial Allemand Lavigerie (1825-1892).

Anche questo metaforico ultimo capitolo del Medioevo, quindi, ha come protagonista un sant’uomo, ovvero questa figura poco conosciuta di arcivescovo francese, fondatore dei Padri Bianchi del Deserto con vocazione, appunto, missionaria e sociale nel grande “continente nero”.  L’ignoranza della storia, quindi, non serve a niente, anzi, è controproducente, e mette in cattiva luce la storia di tante nazioni europee.

Gonçalo da Silveira

Per esempio, quel Portogallo che, oggi, anch’esso si vergogna del suo passato. Un passato tutt’altro che plumbeo, se leggiamo i due ritratti dedicati da Cammilleri (rispettivamente alle pp. 118-120 e121-123) al gesuita portoghese Gonçalo da Silveira (1526-1561). Ma l’opera del Kattolico non è “monografica” e spazia su tanti temi, arrivando anche all’attualità.

Ma, in fondo, con lo stesso filo conduttore, ovvero la riscoperta delle radici cristiane che, oltre alla Fede, farebbero un gran bene anche all’identità dell’Occidente. Pensiamo, fra i tanti aspetti, alla perdita del senso del bello e dell’arte da parte delle nostre società ormai sottomesse all’esclusiva sovranità del Dio denaro.

In Muti dixit (pp. 89-91) il Kattolico riprende anche un sussulto di vita da parte di un maestro riconosciuto anche dall’alta intellettualità “laica” come Riccardo Muti. Ebbene, secondo uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo, è necessario che la Chiesa riprenda e riproponga a tutti, credenti e non credenti, la sua grande tradizione musicale medievale. Che era diretta principalmente al servizio liturgico, ma fungeva a molto di più!

Scrive infatti Cammilleri: «Riccardo Muti, secondo sue dichiarazioni del 2011, pronunciate in occasione della cittadinanza onoraria conferitagli a Trieste [ha risposto] sull’attuale musica liturgica con il titolo riassuntivo dell’intervistache è: “Non capisco le canzonette in chiesa”. Proprio così: canzonette: “La storia della musica – dice Muti – deve molto alla Chiesa e non mi riferisco solo al periodo gregoriano che è strepitoso, ma anche ai giorni nostri. Ora io non capisco le chiese, tra l’altro quasi tutte fornite di organi strepitosi, dove invece si suonano canzonette”» (p. 89).

Insomma,l’arte, come insegnavano grandi Papi contemporanei come Pio XII e Benedetto XVI, deve “elevare” e non “abbassare” il popolo. In effetti, conclude Cammilleri (che è anche musicista e compositore), «la notazione musicale l’ha inventata un prete, Guido d’Arezzo, che ha dato alle note i nomi delle iniziali dei versi di un inno al Battista: do-re-mi… Il mondo anglosassone, forse per avversione al papismo, le chiama a-b-c…, ma sempre quelle sono. Insiste Muti: “Quello che ci è appartenuto con Perosi, Rossini e Verdi sono cose importantissime per la Chiesa e per lo spirito. Perché tutto questo sta sparendo quando è nostro patrimonio di cui se ne stanno impadronendo altre nazioni?» (p. 91).

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Rino Cammilleri Ma l’Inquisizione ha fatto anche cose buone? Fede & Cultura, pp.140Verona 2020