Africa – biografia di un continente

Reader_coverpubblicato il 4 settembre 2003 su http://www.ragionpolitica.it/

L’ambiente in Africa è un nemico, che si può battere solo con l’aiuto dell’organizzazione, della scienza e della tecnica. Lasciare l’Africa agli africani, ammette lo stesso autore, rischia di essere un macroscopico sbaglio.

recensione di Alessandro Palmesano

“L’idea che, prima dell’arrivo degli europei, generazioni di africani abbiano goduto di una vita felice in società pacifiche è diffusa ma errata (…) La vita era dura e imprevedibile, la schiavitù diffusa”. E’ solo uno degli argomenti chiari e inequivocabili contenuti in “Africa, biografia di un continente”, dello scrittore e fotografo britannico John Reader,. Un libro scritto lasciando da parte pregiudizi, luoghi comuni e soprattutto quel diffuso, tremante senso di colpa, comune a molti autori occidentali quando si confrontano con il “continente nero”.

Reader, da autentico biografo di un continente in cui ha vissuto per quasi quarant’anni, comincia dalla nascita dell’Africa e spiega come sia stata tra le prime terre ad emergere dal magma incandescente che milioni di anni fa costituiva la crosta terrestre. Terra antica, e terra in cui per prima nasce la vita, dai batteri agli organismi più complessi, stimolata da un clima difficile e risorse molto scarse. E subito ci imbattiamo nel primo paradosso, anzi nel grande paradosso africano.

Nonostante la sua enorme estensione, il continente non può dare da mangiare a tutti. La vita umana deve accontentarsi delle fasce temperate e della savana, fuggendo il deserto e la giungla equatoriale. L’uomo esordisce nella storia del pianeta sulle aspre colline etiopiche tra i 200 e 100mila anni prima di Cristo, e comincia ad esplorare il resto del mondo circa 50mila anni fa. Eppure secondo i dati di Reader ancora nel 1500, dei 350 milioni di persone che abitavano il mondo, solo 50 erano in Africa. Allo stesso modo, gli antropologi hanno dimostrato che tra le popolazioni africane che vivono per lo più di caccia e raccolta, al modo dei loro progenitori, come i Kung, la crescita demografica è minima. In altre parole, ciò che la natura ha dato all’uomo, in Africa, è poco, e difficile da ottenere.

Il continente africano, fino ai primi contatti con altre culture, non ha mai potuto ospitare più di questi 50 milioni di persone, in precario equilibrio demografico. A seconda dell’umidità del clima, ad esempio, la fascia equatoriale si allarga a sud e a nord, portando con sé la mosca tze-tze, da cui l’uomo non può che fuggire. Ma in un ambiente in cui tutte le risorse alimentari, dagli animali ai tuberi, sono già sfruttate al massimo, la rinuncia ad uno spazio di vita non può che comportare una contrazione demografica.

E’ solo con i primi contatti con l’esterno, e soprattutto con l’occidente, che l’uomo africano può cominciare a vincere la sua millenaria lotta con la natura. Colture più produttive come il mais permettono finalmente l’aumento della popolazione (oggi gli africani sono 800 milioni): ma il rischio della falcidia c’è sempre, sia per uno o due anni di eccessiva umidità o siccità, sia per l’incredibile numero di virus e parassiti che il ribollente laboratorio della foresta pluviale produce a ritmo continuo.

Perché parlando di clima difficile e risorse scarse, parliamo anche di un ambiente, quello della giungla, in cui i viventi lottano senza sosta da millenni per la sopravvivenza. Il risultato è una mostruosa pressione evolutiva, che fa scaturire dai bui recessi della foresta animali, piante, insetti sempre nuovi, e con essi anche virus e microrganismi letali all’uomo. E’ appena il caso di citare l’Aids o Ebola, due dei più recenti flagelli emersi dalla giungla.

Furono tutti questi problemi a prevenire una concentrazione demografica sufficiente alla formazione di entità politiche o statuali paragonabili a quelle venute in essere in Europa e Asia (ad eccezione della fascia mediterranea e nilotica): con la conseguente difficoltà per gli africani di oggi di comprendere e gestire una politica statale moderna e democratica.

Il testo di Reader affronta tutti questi temi con una tranquilla obiettività che disarma qualunque preconcetto. Ed anche chi si ostinasse a cercare un colpevole della situazione africana, sport molto diffuso tra alcuni intellettuali nostrani, faticherebbe assai. Questo libro, invece, aiuta a sciogliere proprio il nodo gordiano della “colpa”.

Al di là dell’inutilità storica di voler cercare o trovare colpevoli e innocenti, la fotografia dell’Africa oggi è quella di un continente che si è sviluppato solo grazie al contatto con le altre culture del mondo, e che non può tornare indietro, per buona pace dei neo-rousseauiani che predicano la solfa del “buon selvaggio” da lasciare nella sua solare armonia con l’ambiente. Come Reader non smette di sottolineare, l’ambiente in Africa è un nemico, che si può battere solo con l’aiuto dell’organizzazione, della scienza e della tecnica.

Lasciare l’Africa agli africani, ammette lo stesso autore, rischia di essere un macroscopico sbaglio.

Titolo libro: Africa – biografia di un continente

Autore: John Reader
Editore: Mondatori
Pagine: 712
Prezzo: 12.00€