“Dalla peste al Covid-19, l’uomo di fronte alla pandemia”. Intervista a Francesco Agnoli

L’Occidentale 2 Aprile 2020

Intervista di Graziano Davoli

La pandemia ha attraversato tutte le fasi della storia dell’umanità. In questa intervista Francesco Agnoli ripercorre le tappe delle pestilenze e riflette sulle reazioni dell’uomo e sul contributo che i principi cristiani hanno dato per superare le ore più buie.

Chi inventò le quarantene e in quale circostanza?

Sembra che “quarantena” sia la forma veneta per quarantina. Fu Venezia ad imporre, durante la peste nera del 1347, a tutti i vascelli in arrivo di rimanere alla fonda per un periodo di 40 giorni. Certamente non si sapeva bene cosa la peste fosse, ma si intuì cosa bisognasse fare. Ciononostante la città perse circa il 60% dei suoi abitanti

Qual è la prima grande pandemia di cui abbiamo notizie? Come nacque e come si diffuse?

Difficile dirlo. Per William Naphy e Andrew Spicer, autori de “La peste in Europa”, fu la peste giustinianea del 541 dopo Cristo. Si parla di un crollo demografico tra il 50 e il 70 % in due generazioni. Allora in Italia si distinse l’operato di papa Gregorio Magno (la pestilenza colpì Roma nel 590).

Da dove le pandemie?

Il discorso è troppo lungo. Mi limito all’aspetto geografico. Nel mondo antico “le malattie epidemico contagiose come le grandi pestilenze venivano importate nell’area mediterranea dal subcontinente indiano, e, più in generale, dall’Estremo oriente tramite i porti mediorientali” (Cosmacini). Naphy e Spicer ricordano invece che la peste nera del 1347, che colpiva anche i polmoni, fu una pandemia nata molto probabilmente in Cina o in Mongolia (la Cina era stata colpita da epidemie di peste, tra il 1331 e il 1353 che uccisero circa il 50%).

La causa della pandemia di fine Ottocento, definita terza pandemia di peste (1855-1899), la Yersinia pestis, infuriò nell’area di Hunan, di Canton e di Hong Kong prima di dilagare… anch’essa poteva colpire proprio i polmoni. Nel secolo scorso si diceva che “Quando Mao starnutisce, l’Europa si ammala”: ci si riferiva alle pandemie influenzali del Novecento (furono 3).

Della prima, la terribile Spagnola, non è certa l’origine, ma diversi studiosi sostengono che si sia diffusa attraverso lavoratori cinesi in Europa; la seconda è l’ “Asiatica” (1957), la terza è anch’essa detta “Asiatica” (1968) e derivava dalla Cina… Dopo le Asiatiche, la Sars, ed ora il covid 19… sempre dalla Cina… Dico questo per far capire che certi fenomeni non sono affatto nuovi. Si ripete anche il meccanismo del passaggio da animale ad uomo, con roditori e pipistrelli a fare la parte dei leoni (dai pipistrelli derivano la rabbia, la sindrome respiratoria mediorientale, o MERS, la sars, covid 19, Ebola…vedi)

Quali le reazioni, in generale, della gente, e delle religioni?

Per gli islamici “il morbo doveva essere accettato e sopportato con rassegnazione”. Inutile fuggire o reagire, il morbo non si propagava per contagio, ma colpiva specifiche persone: “Dio aveva specificamente e individualmente selezionato i suoi bersagli”. In generale questa visione è definibile fatalista, e attraverserà tutti i popoli. Gli storici notano per esempio che una posizione analoga fu presa dagli Olandesi calvinisti/puritani fautori della predestinazione, durante la peste del 1628 e seguenti. Accanto al fatalismo, la reazione di rigetto: la peste non c’è, non esiste (si arrivano anche ad uccidere i medici che la hanno denunciata); oppure la scelta epicurea: quella di chi decideva di fuggire e di cercare di scongiurare la paura divertendosi per quanto possibile.

I cattolici hanno visto nelle malattie una conseguenza del peccato originale. Alessandro Manzoni esprimerà bene questo concetto ne “I Promessi sposi”: Don Rodrigo sta morendo di peste, ha la possibilità di pentirsi dei suoi peccati, e ciò può essere “castigo o misericordia”. Prima di Manzoni, un altro grande letterato, Francesco Petrarca, conosce la peste da vicino: perde l’amata Laura e l’unico figlio, Giovanni, mentre il fratello Gherardo, monaco, assiste i trenta religiosi della certosa di Montrieux, tutti uccisi dal morbo, ascoltando con gran fede le loro confessioni, somministrando loro i sacramenti e seppellendoli.

Petrarca si chiede: “E che? Potrebbe essere vero quello di cui taluni dottissimi uomini sospettano, non darsi cura Iddio degli eventi mortali? ”; ma poi conclude, rivolgendosi a Dio: “Né perché ascosti ne siano i motivi, è il tuo giudizio men giusto”. Di sicuro si convinse davvero che “quanto piace al mondo, è breve sogno”. Il fatto che le pestilenze fossero una conseguenza della colpa dell’uomo, non significa però che si dicesse di non reagire, al contrario. Come? Carità, preghiera, medicina…

Bisogna ricordare che la Cristianità ha generato l’istituzione ospedaliera, e che l’Italia cattolica è stata per secoli la patria degli ospedali e della medicina (qui per esempio è nata, nel 1316, l’anatomia). Parlando degli ospedali italiani e romani, Martin Lutero racconterà con entusiasmo di “edifici regali”, “ottimi cibi e bevande” “servitori diligentissimi, medici dottissimi, i letti e i vestiti pulitissimi”.

Come veniva gestita la paura?

Di fronte alla pestilenza che colpì il Nord Africa nel 251 il vescovo di Cartagine san Cipriano scriveva: “Questa pestilenza che pare ad alcuni orribile e micidiale, mette invece a prova la santità di ognuno e pesa sulla bilancia il cuore umano, giudica cioè se i sani servono gli infermi, se i parenti assistono pietosamente i parenti, se i padroni hanno pietà dei servi languenti, se i medici abbandonano i malati che li cercano, se i delinquenti frenano le loro violenze, se gli usurai smorzano gli ardori indomabili della loro avarizia”.

C’erano dunque gli eroi, che non abbandonavano i loro cari, che facevano una quantità di elemosine e donazioni, ma anche i medici che fuggivano a gambe levate, come aveva fatto Galeno. E c’erano coloro che non accettavano, e cercavano un capro espiatorio. Tutti abbiamo presente la caccia agli untori di Manzoni. E’ sempre stato così: gli ateniesi incolpavano gli spartani; i francesi gli inglesi; i tedeschi, soprattutto durante la peste del 1347, gli ebrei.

In Germania durante la peste nera si diffondono movimenti ereticali come i Flagellanti, che incolpano in particolare gli ebrei e i preti cattolici, arrivando a violenze incredibili (vedi N. Chon, “I fanatici dell’Apocalisse”, oppure G. Fourquin, “Le sommosse popolari nel Medioevo”). Molto più “tolleranti” come li definisce lo storico della medicina Giorgio Cosmacini ne “L’Arte lunga. Storia della medicina dall’antichità ad oggi”, gli italiani (l’anomalia italiana è studiata, per esempio Da Francesco Mandis in “Gli ebrei come capro espiatorio della peste del 1348. L’eccezione italiana”.

Non deve stupire: anche la caccia alle streghe, di età moderna, sarà soprattutto in terra germanica, e quasi nulla in Italia). Bisogna rammentare che papa Clemente VI, che risiedeva ad Avignone, scomunicò coloro che incolpavano gli ebrei della diffusione della peste, notando tra il resto che morivano anche loro, come gli altri. Fu anche il papa che nel 1340 incaricò il celebre Guy De Chauliac di fare ricerche anatomiche sui cadaveri per capire meglio le origini della peste.

Qual era l’atteggiamento degli stati italiani davanti a quadri sanitari di questo tipo?

Gli storici delle pestilenze notano che gli Stati italiani furono i primi in assoluto a “prevenire, contenere e curare la peste” a partire dal XV secolo in particolare. “Per circa tre secoli tali ordinanze e regolamenti furono i punti di riferimento, in tema di gestione delle pestilenze, per tutta l’Europa occidentale”. Cosa si faceva? I Consigli di sanità pubblica di Milano, Venezia, Firenze ecc… imponevano quarantene,limitazione o blocco dei commerci, disinfestazioni, bandi contro i vagabondi,denuncia dei malati, fosse comuni per i morti …

Soprattutto si costruivano i celebri lazzaretti (dove di solito a curare erano i cappuccini, i religiosi o le religiose, pronti a dare la vita). Il lazzaretto è posto fuori della città, isolato, ed è luogo di segregazione per impedire il contagio. Non si può entrare o uscire da esso, “sotto pena della vita”. I controlli sono rigidissimi, inflessibili, “spietati”. Certamente non manca chi cerca di incendiare i lazzaretti, o di fuggire…

I frutti delle quarantene?

Il lazzaretto anticipa l’ospedale moderno. Scrive il Cosmacini: “La peste era dunque un agente non solo destrutturante a più livelli, ma anche mutante, in positivo. Era una spada di Damocle che induceva gli Stati – quelli italiani prima degli altri in Europa – a darsi uomini e strutture capaci di farvi fronte”. In altre parole, nasce la sanità pubblica.

Perché la Chiesa decide di sospendere le funzioni funebri durante una pandemia?

La Chiesa è sempre stata in prima linea di fronte alle epidemie. Se si calcolano i morti, di solito i religiosi sono quelli che in proporzione muoiono di più. Spesso sono stati gli unici “infermieri”, e hanno gestito non solo questioni spirituali (confessioni, funerali…) ma anche materiali. Però certamente non si sono adottati sempre e ovunque gli stessi metodi. Del resto non si sapeva molto delle malattie. Per alcuni dotti medici la causa erano i miasmi, per altri le congiunzioni astrali…

Non sempre si sapeva che fare. E’ noto per esempio che il cardinal Federigo Borromeo durante la peste di Milano, fece l’impossibile per la sua gente. Ma richiesto insistentemente dai Decurioni della città (i magistrati), di organizzare una processione religiosa imponente, per calmare la popolazione, dopo lunghi indugi cedette. E ciò aumentò il contagio. In generale però la Chiesa ha collaborato con gli Stati pre-unitari anche per le quarantene.

Celebre il caso della peste di Roma del 1656, gestita dal papa Alessandro VII e dal cardinal Gastaldi. Nello Stato pontificio la quarantena fu gestita con estremo rigore, generando prima forti lamentele, poi grandi elogi (Roma ne uscì con meno morti di tante altre città). Furono sospesi i commerci, le quarantore, le processioni pubbliche, privilegiando “forme private e personali di devozione e preghiera”.

Durante la peste di Marsiglia, del 1721, il vescovo alla fine fece chiudere tutte le chiese. I preti celebravano da soli, dal momento che ciò non toglie nulla al valore della Messa. A Pasqua però in alcune chiese la gente fece irruzione sfondando le porte sprangate…

In generale abbiamo una grande ricchezza di escamotage: preti che confessavano stando sulla soglia delle porte, o che davano la comunione tramite una canna; preti che giravano con il Santissimo, perché la gente pregasse dalle finestre; altari o colonne rialzati, al centro di piazze vuote, visibili da lontano… Ma abbiamo anche processioni soppresse, defunti senza funerale (per scarsità di clero, per divieti, per paura…) ecc… magari senza la fretta e l’eccesso di “prudenza” che c’è stata, ultimamente, a Roma…

Per concludere?

Due concetti, uno “medico”, l’altro filosofico. Il primo: siamo abituati a considerare le malattie infettive malattie del passato (recente, ma passato): questo soprattutto a causa “delle migliori condizioni igieniche ed alimentari” affermatesi gradualmente in Occidente soprattutto dopo la II guerra mondiale . Condizioni che però non riguardano tutto il mondo. In un mondo globalizzato, infatti, le malattie infettive possono ritornare, visto che in una buona parte del globo le condizioni igieniche ed alimentari sono ancora pessime

Il secondo concetto lo lascio alle parole di Louis Pasteur, a cui dobbiamo la nascita della microbiologia, e cioè dello studio di virus e batteri. Oltre che scienziato era un uomo di fede, e meditando sull’uomo, mortale, ma capace di infinito, affermava: “Al di là di questa volta stellata che cosa c’è? Nuovi cieli stellati. Sia pure! E al di là ancora? Lo spirito umano, spinto da una forza irresistibile, non smetterà mai di chiedersi: che cosa c’è al di là? Vuole esso fermarsi, sia nel tempo, sia nello spazio? Poiché il punto dove esso si ferma è solo una grandezza finita, soltanto più grande di tutte quelle che l’hanno preceduta, non appena egli comincia ad esaminarlo ritorna la domanda implacabile senza che egli possa far tacere il grido della sua curiosità… Colui che proclama l’esistenza dell’infinito, e nessuno può sfuggirvi, accumula in questa affermazione più sovrannaturale di quanto non ce ne sia in tutti i miracoli, perché la nozione dell’infinito ha la doppia caratteristica di imporsi e di essere insieme incomprensibile… Io vedo ovunque l’inevitabile espressione della nozione dell’infinito nel mondo. Attraverso essa, il soprannaturale è in fondo a tutti i cuori”.