Il progressismo, ultima ideologia

progressistiIl Timone n.105 luglio-agosto 2011

E’ il mito di un’umanità che costruisce la perfezione e la felicità lottando contro la cultura religiosa, ritenuta oscurantista. Il fallimento del comunismo ha messo in crisi l’utopia marxista, ma ha aperto la strada al progressismo scientista e libertario. In realtà i grandi progressi dell’uomo nascono dal cristianesimo

di Laura Boccenti

Papa Benedetto XVI, nell’omelia pronunciata in occasione della beatificazione di Giovanni Paolo II, ricordando la figura e il ruolo giocato nella Chiesa e nella storia dal suo grande predecessore, ha voluto mettere in rilievo, come aspetto centrale dell’opera svolta nel corso del pontificato, la restituzione al cristianesimo della speranza che era stata «ceduta al marxismo e all’ideologia del progresso», e l’inversione, «con la forza di un gigante», della tendenza, che poteva sembrare irreversibile, a collocare il fine della vita umana in un obiettivo storico da raggiungere con cambiamenti materiali.

L’ideologia del progresso, o progressismo, a cui fa riferimento Benedetto XVI, è cosa diversa dal progresso in quanto tale. Il termine progresso, dal latino progredi (andare avanti), di per sé indica l’incessante conquista e accrescimento di conoscenze che consentono il miglioramento delle condizioni di vita umana. Invece, dopo la rivoluzione scientifica e l’Illuminismo, il termine “progresso” è stato sempre più utilizzato per evocare il mito di un’umanità che costruisce la perfezione e la felicità verso cui si dirige, lottando contro ogni ostacolo posto dai residui della cultura religiosa, ritenuta oscurantista e reazionaria.

In questo senso il marxismo, di cui Giovanni Paolo II aveva fatto esperienza nel regime comunista polacco, è un’espressione dell’ideologia del progresso; esso infatti afferma che:

– la natura materiale dell’uomo è in continuo sviluppo, quindi non esiste una natura umana indipendente dalle condizioni storiche;

– l’uomo si realizza esclusivamente nella storia e nella società;

– l’unica struttura fondamentale della storia è l’economia, determinata dai rapporti di produzione dei beni materiali, le altre manifestazioni dell’umano – arte, letteratura, filosofia, religione ecc. – sono sovrastrutture che producono l’alienazione dell’uomo quando non sono espressione dei veri rapporti economici;

– anche l’economia è in continuo sviluppo dialettico;

– la fase finale della storia è determinata dalla scomparsa delle classi sociali e dello Stato; essa si realizzerà con l’avvento del comunismo e l’instaurazione della giustizia sociale, frutto dell’eguaglianza assoluta e dell’abolizione della proprietà privata.

Nel marxismo si possono distinguere due aspetti che rappresentano una contraddizione interna alla filosofia della prassi: il primo è l’idea secondo cui la realtà si riduce ad un mondo materiale in continuo divenire, in cui non esistono verità o valori universali; il secondo è l’ideale della società senza proprietà e senza classi a cui tendere attraverso la lotta di classe.

Coerentemente con la prospettiva derivante dal primo aspetto, Gramsci affermerà che l’uomo non ha una natura, ma «è il processo dei suoi atti». In Quaderni dal carcere scriverà: «L’umanità è ancora tutta quanta aristotelica e la comune espressione segue ancora quel dualismo, che è proprio del realismo greco-cristiano.

Che il conoscere sia un “vedere” anziché un “fare”, che la verità sia fuori di noi esistente in sé e per sé e non una nostra creazione […] e si rischia di passare per pazzi quando si afferma il contrario». Gramsci non porta alle estreme conseguenze il relativismo espresso nel suo materialismo storico, continuando a mantenere l’idea escatologica di un’era di libertà che coincide col realizzarsi del comunismo.

Di fatto l’assenza di valori universali e oggettivi, mettendo in discussione il valore di ogni ideale, implicherebbe la dissoluzione dello stesso progetto comunista di rinnovamento sociale. Il secondo aspetto del marxismo che esprime la deviazione dell’idea cristiana della speranza è tematizzato in modo esplicito dal filosofo marxista Ernst Bloch, nell’opera Il principio speranza, pubblicata tra il 1954 e il 1959. In essa Bloch critica la dimensione individualistica e privata della speranza cristiana, e sostiene che solo il marxismo sarebbe capace di trasformare tale speranza illusoria in una speranza reale, attuando la giustizia nella storia.

Il fallimento del regime comunista sovietico ha messo in crisi l’utopia marxista, ma, contemporaneamente, ha aperto la strada alla convergenza del progressismo di derivazione marxista con quello di matrice radicale e scientista, nella rivendicazione dell’autodeterminazione assoluta dell’uomo, dando così vita al nuovo ateismo e al nuovo antiumanesimo che caratterizza il progressismo postcomunista.

Augusto Del Noce definisce sinteticamente il progressismo come un Illuminismo dopo il marxismo. Nel saggio L’epoca della secolarizzazione, identifica l’esito finale del progressismo nel totalitarismo compiuto: «La prospettiva prossima nell’eventualità del successo del progressismo è il conservatorismo più dispotico che si sia mai avuto nella storia. Tale perché il suo assunto è cancellare totalmente l’idea di un’altra realtà, o terrena o celeste. Non mancherebbe infatti, sarebbe anzi necessario, l’accordo con i nuovi teologi dell’età postcristiana, proclamanti la fine di tutti i miti e di tutte le illusioni trascendenti. Ma un regime che mette fine alla speranza è la definizione del massimo a cui può giungere un sistema oppressivo […] il punto finale a cui deve giungere il progressismo è la distruzione delle tre virtù teologali, la fede, la speranza e la carità, e delle loro inadeguate tradizioni laiche».

Questa prospettiva è stata allontanata dal poderoso sforzo d’inversione culturale compiuto da Giovanni Paolo II, sforzo che ancora continua nel pontificato di Benedetto XVI. La realizzazione del patrimonio culturale insito nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, il cui messaggio centrale è stato: l’uomo è la via della Chiesa e Cristo è la via dell’uomo, è condizione per proseguire in questa inversione di tendenza, facendo chiarezza sui tanti luoghi comuni accettati acriticamente, secondo cui il progresso della società occidentale sarebbe legato alla contrapposizione tra laicità e religiosità e alla competizione tra fede e scienza, e riproponendo una nozione corretta di progresso, che ricordi come il miglioramento non è ineluttabile, ma affidato alla scelta del bene e quindi strettamente unito alla dimensione religiosa ed etica.

Come ha documentato Rodney Stark in La vittoria della ragione, le più significative innovazioni politiche, scientifiche ed economiche introdotte in Occidente nel secondo millennio sono riconducibili al cristianesimo e alle istituzioni ad esso collegate. Il cristiano, infatti, «immagina Dio come un essere razionale che crede nel progresso umano e che rivela se stesso più a fondo quando gli uomini acquistano la capacità di comprendere meglio. Inoltre, dal momento che Dio è un essere razionale e che l’universo è una sua personale creazione, esso possiede necessariamente una struttura razionale, legittima e stabile che attende maggiore comprensione umana. Questa fu la chiave di molte imprese intellettuali, tra cui la nascita della scienza».

Ricorda

«Fino a quel momento il ricupero di ciò che l’uomo nella cacciata dal paradiso terrestre aveva perso si attendeva dalla fede in Gesù Cristo, e in questo si vedeva la “redenzione”. Ora questa “redenzione”, la restaurazione del “paradiso” perduto, non si attende più dalla fede, ma dal collegamento […] tra scienza e prassi. […] Questa visione programmatica ha determinato il cammino dei tempi moderni e influenza pure l’attuale crisi della fede che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristiana. Così anche la speranza […] riceve una nuova forma. Ora si chiama: fede nel progresso».  (Benedetto XVI, Spe salvi, 17)

Per saperne di più

Benedetto XVI, Enciclica Spe salvi, 30 novembre 2007.

Rodney Stark, La vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza, Lindau, 2006.

Emanuele Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi. Quadri della dissoluzione contemporanea.Ares, 1979 (19912).

Josef Pieper, Sulla speranza, Morcelliana, 1960.