Mio padre era un sovversivo. Perché cristiano

Tempi n. 1 gennaio 2020  

Quando Sang-Hwa scoprì che i genitori avevano un Bibbia, avrebbe dovuto denunciarli. Storia di una conversione nel “paradiso dei Kim’

di Cristian Nani (*)

Corea del Nord, un folle esperimento antropologico per oltre 25 milioni di abi­tanti, costretti a vivere nel “paradiso dei Kim”, un regno eremita, isolato dal mondo, perennemente in stato di guerra contro un immaginario nemico alle porte imperialista, in cui alla dinastia dei leader, i Kim, è dovuto un vero e proprio culto, supportato da una ideologia ufficiale socialista che ha di fatto portato la nazione al fallimento.

Qui, nelle viscere di una società plagiata dalla follia del regime, si muovono tra i 200 e i 400 mila cristiani, costretti a vivere la fede in segreto, ad incontrarsi nei boschi, in cantine, braccati dalle autorità, sorvegliati da tutti, dove a denunciarti è l’amico, il parente, il vicino, poiché la delazione è materia di studio obbligatoria, propedeutica al bene della nazione.

Tra i 40 e i 70 mila cristiani languono nei brutali campi di rieducazione nordcoreani: chi ne è uscito vivo, racconta di torture ed esecuzioni degne dei campi di concentramento nazisti.

Sang-Hwa è stata istruita a tradire famiglia, amici e vicini. Ma quando per caso scoprì la Bibbia segreta dei suoi genitori, scelse di intraprendere il loro pe­ricoloso viaggio di fede. E scoprì la Chiesa segreta, un network clandestino di fedeli che sopravvivono solo grazie al supporto della famiglia cristiana fuori dal paese.

«Siamo morti», furono le parole che pronunciò Kim Sang-Hwa, nordcoreana fuggita dal paese, quando si rese conto di cosa avesse trovato. Ci parla con voce monotona e calma, con sospiri lunghi e improvvise piccole accelerazioni. Disse di aver lanciato quel libro lontano da sé, come se scottasse. Aveva 12 anni quando rinvenne per puro caso la Bibbia segreta dei genitori mentre erano fuori casa.

«Avevo letto solo la prima frase: “In principio Dio creò il cielo e la terra” e mi vennero i brividi. Ero così spaventata!». E aveva ragione ad essere terrorizzata. Era stata istruita per questa impensabile eventualità sin da quando aveva iniziato la scuola primaria. A scuola, aveva imparato a leggere, scrivere e denunciare i propri familiari. Il sistema scolastico nordcoreano era ed è costruito per scovare e punire chiunque devii dalla “religione di Stato”.

Avendo vissuto l’intera vita in quello Stato-prigione, Sang-Hwa seppe immediatamente che quello strano libro dei genitori era pericoloso: sì, perché in Corea del Nord la Bibbia è un libro illegale. Sapeva anche che era suo dovere denunciare i genitori. Non avevano alcuna importanza le conseguenze: l’amore non significa nulla, la lealtà alla nazione veniva prima. E nella sua nazione era permesso adorare solo il leader e la sua famiglia.

Se i suoi genitori adoravano Gesù, solo un destino era possibile: «Fu uno shock per me vedere la Bibbia. Quel libro era anti-rivoluzionario. Se qualcuno veniva trovato in possesso di una Bibbia, nel 100 per cento dei casi finiva in un campo di lavori forzati».

Che fare dunque? Denunciarli alle autorità o affrontarli, chiedere loro conto del “libro” e rischiare lei stessa di essere uccisa? Le autorità non erano leggere con chi esitava in questi casi e comminavano la stessa pena. «A malapena riuscii a nasconderla dov’era, tanto ero sconvolta. Non sapevo che fare. Ero piccola: dovevo dirlo alla mia maestra a scuola o alle autorità?».

Sang-Hwa mantenne il segreto per alcune settimane, poi: «Alla fine decisi di affrontare mio padre: quella fu l’occasione in cui mi introdusse al Vangelo». Non sapeva che il padre, nel segreto, pregava incessantemente da cinque anni per capire quale fosse il momento giusto per condividere questo segreto con la figlia.

In Corea del Nord i cristiani non hanno una chiesa, non si possono incontrare o pregare Dio: Sang-Hwa era cresciuta in una famiglia cristiana senza saperlo. Esistono delle chiese fantoccio a Pyongyang, usate dal regime per convincere il resto del mondo che in Corea del Nord c’è libertà di fede.

Sang-Hwa fu sopraffatta dalle parole del padre. La sua vita cambiò totalmente, abbracciò la fede cristiana rompendo ogni resistenza. Il suo cuore era ricolmo di qualcosa di nuovo e mai provato: speranza e amore. La sua vita divenne ad un tratto pericolosa.

Venne presto introdotta in un network clandestino, una chiesa segreta, composta da uomini e donne, costretti a incontrarsi al calare del buio, come spie, in luoghi appartati e sempre diversi. È un vero miracolo che questa rete di credenti nascosti esista, ma la cosa ancor più miracolosa è che secondo le stime di Open Doors/Porte Aperte tale rete è cresciuta negli ultimi vent’anni. Open Doors/Porte Aperte raggiunge con aiuti di prima necessità (cibo, medicine e vestiario) 60.000 nordcoreani, offrendo anche rifugio e soccorso a coloro che fuggono in Cina.

Ogni volta che qualcuno decide di condividere un incoraggiamento, una parola o attitudine cristiana o direttamente il Vangelo, di fatto mette la propria vita in pericolo.

«I nordcoreani si affidano interamente a Dio e l’un l’altro. C’è un detto nel nostro paese: “Quando tre di noi si incontrano, uno è una spia”. Devi per forza affidare l’intera tua vita a Dio» conclude Sang-Hwa, la quale oggi è fuggita dal paese e vive all’estero.

(*) Direttore Porte Aperte/Open Doors Onlus