L’UNICEF sponsorizza il «boia dei neonati»

Peter Singer

Peter Singer

La Bussola quotidiana 24 giugno 2011

di Riccardo Cascioli

UNICEF e Peter Singer : nulla di più incompatibile, si direbbe a prima vista. L’UNICEF è infatti l’agenzia dell’Onu che si occupa (o perlomeno dovrebbe occuparsi) della tutela dei bambini, Peter Singer è invece il filosofo animalista che teorizza l’infanticidio. Cosa possono avere in comune?

Eppure la realtà ci dice che UNICEF e Peter Singer vanno d’amor e d’accordo al punto che UNICEF Italia ha sponsorizzato lo scorso 20 giugno una conferenza di Singer alla LUISS, libera università romana, con il patrocinio anche di Unindustria, l’unione degli industriali del Lazio. L’intervento di Singer, addirittura, inaugurava un ciclo di conferenze dell’UNICEF dedicato alla filantropia. Dunque non si è trattato di un incontro casuale.

Per apprezzare meglio la scelta dell’UNICEF, è bene spiegare chi sia l’ospite d’onore. Australiano, professore di filosofia, Peter Singer è autore di diversi volumi su temi di bioetica e diritti degli animali, anche se, e ci tiene a precisarlo, «non ama gli animali» e non ha mai tenuto in casa cani o gatti. Eppure Singer è il principale teorico dell’animalismo. Il suo libro “Liberazione animale” (1975, mentre del 1991 è la sua traduzione italiana) è stato tradotto in sei lingue e viene considerato il manifesto del movimento animalista mondiale.

Partendo dal presupposto che ci sono esseri umani che ancora non soffrono, non possono soffrire o non sono più in grado di soffrire, il filosofo animalista ha preso chiaramente posizione a favore dell’utilizzo di embrioni umani come cavie al posto di animali per l’eventuale verifica della tossicità dei farmaci. Per giustificarsi Singer ha sostenuto che l’embrione nelle prime settimane di vita non prova dolore. Il filosofo australiano non si limita soltanto a sostenere la sperimentazione sugli embrioni o sui comatosi (per il fatto che essi comunque non soffrono), ma giustifica moralmente la soppressione di quei neonati con malformazioni tanto gravi da far ritenere che la loro vita sia priva di ogni valore.

Ha scritto il filosofo australiano: «Quando la vita di un bambino sarà così penosa da non valere la pena di essere vissuta […] se non ci sono ragioni “estrinseche” per tenere il bambino in vita – come i sentimenti dei genitori – è meglio ucciderlo». E ancora: «Quando la morte di un neonato malformato conduce alla nascita di un altro bambino con migliori prospettive di una vita felice, la quantità totale di felicità sarà maggiore se il bambino malformato viene ucciso.

La perdita di vita felice per il primo bambino è superata dal guadagno di una vita felice per il secondo, pertanto se uccidere un bambino emofiliaco non ha effetti spiacevoli su terzi, sarebbe giusto ucciderlo secondo il punto di vista dell’utilitarismo totale. Uccidere un neonato con malformazioni non è equivalente a uccidere una persona. E molto spesso non è per niente sbagliato».

In Etica pratica Singer scrive: «Il fatto che un essere sia un essere umano… non è rilevante all’immoralità dell’ucciderlo; sono piuttosto caratteristiche quali la razionalità, l’autonomia e l’autocoscienza che fanno la differenza. Neonati con malformazioni mancano di tali caratteristiche. Pertanto ucciderli non può essere posto sullo stesso piano dell’uccidere esseri umani normali, o qualsiasi altro essere autocosciente».

Possiamo citare anche qualche altra perla da un’intervista allo stesso Singer pubblicata da Il Foglio (11 marzo 2008): “Anche se il bambino potrà avere una vita senza eccessiva sofferenza, come nel caso della sindrome di Down, ma i genitori pensano che sia un peso eccessivo per loro e vogliono averne un altro, questa può essere una ragione per ucciderlo”. “E’ un diritto ragionevole lasciar morire i malati neurovegetativi perché essi sono simili agli infanti disabili, non sono esseri coscienti, razionali, autonomi, la loro vita non ha valore intrinseco, il loro viaggio è arrivato alla fine”. “I feti, i bambini appena nati e i disabili sono non-persone, meno coscienti e razionali di certi animali non umani. E’ legittimo ucciderli”.

E al New York Times dichiarava tra l’altro: “L’idea di attribuire a tutti un uguale diritto alla vita, è un’arma a doppio taglio. Se la vita con quadriplegia (paralisi) è buona come la vita senza paralisi, non c’è alcun beneficio di salute a curarla”.

Alla base di questo pensiero “illuminato” c’è la distinzione tra essere umano e persona che Singer sviluppa. Secondo il filosofo animalista, infatti, la nostra civiltà usa erroneamente i due termini in modo analogo. Per Singer invece essere umano è un concetto che si riferisce alla specie, mentre persona è un concetto che si riferisce all’essere umano con certe qualità caratteristiche. Caratteristiche che peraltro non sarebbero specifiche del solo essere umano, Singer parla infatti anche di “animali personali”. Tali caratteristiche si riassumono in: razionalità, autocoscienza e anche – ma in misura minore – capacità di provare piacere e dolore e di interagire con l’ambiente.

A questo punto viene da domandarsi: come mai l’UNICEF se la fa con un personaggio che potrebbe tranquillamente essere nominato “il boia dei neonati”, un soggetto che sembra un sopravvissuto del nazismo?

Semplicemente perché l’UNICEF ormai da un ventennio non è più quella meritoria organizzazione che ha contribuito a salvare molti bambini da fame e malattie. Non che tutto ciò che fa l’UNICEF sia cattivo, intendiamoci: tuttora, in diversi paesi sponsorizza programmi meritevoli di sostegno, ma ad essere messa in discussione è la direzione generale dell’organizzazione e la partecipazione a diversi progetti che hanno come obiettivo il controllo delle nascite, nella logica eugenetica che ispira Singer. Tanto è vero che la Santa Sede, dopo anni di avvertimenti, dal 1996 non versa più il suo contributo all’UNICEF per il sostegno alla diffusione di contraccezione e aborto nei paesi poveri. Uno dei motivi è il rifiuto dell’organizzazione di dichiarare in modo trasparente la precisa destinazione dei fondi ricevuti.

Non è soltanto un problema “morale” sollevato dalla Chiesa cattolica, tanto è vero che nel 2004 fu la rivista scientifica britannica Lancet ad affermare – dati alla mano – che l’UNICEF è diventata uno dei maggiori ostacoli per la sopravvivenza dei bambini nei paesi in via di sviluppo. Per Lancet la svolta negativa dell’UNICEF si è avuta nel 1995 con la nomina (volta dall’amministrazione Clinton) alla direzione dell’agenzia di Carol Bellamy che ha provveduto a dirottare su progetti per i “diritti delle donne” i fondi che sarebbero serviti per la sopravvivenza dei bambini. I dati riportati da Lancet dimostravano che 600mila bambini morivano ogni anno per cause assolutamente prevedibili malgrado la disponibilità di interventi efficaci a basso costo. Addirittura la mortalità in alcuni paesi poveri è aumentata, mentre l’UNICEF si preoccupa di promuovere la salute riproduttiva.

E non è che il cambio alla direzione dell’UNICEF, avvenuto sei anni fa, abbia cambiato un granché la situazione. La direzione è sempre quella eugenetica, e quanto avvenuto questa settimana a Roma lo dimostra: la vita dei bambini non vale in sé, ma a certe condizioni. E ormai non ci si preoccupa neanche più di nasconderlo, la cultura è così cambiata che un’agenzia internazionale nata per tutelare l’infanzia non si vergogna neanche di presentare in pompa magna il “nuovo Mengele”.

E il bello è che a fare pubblicità a questo incontro è stata anche “Famiglia Cristiana”, che con l’UNICEF ha un rapporto “commerciale” e secondo cui Peter Singer è un filantropo. Complimenti al settimanale cattolico.