Massoneria & Rivoluzione francese. Fatale epilogo (6)

Ricognizioni

10 gennaio 2020

Mario Di Giovanni

Il 30 settembre 1791 l’Assemblea Nazionale Costituente dichiara concluso il suo compito, si scioglie e si ricostituisce in Assemblea Nazionale Legislativa. Su 745 deputati, 136 sono Giacobini, 246 moderati (Foglianti) mentre i restanti non si qualificavano ideologicamente.

I Giacobini iniziano la marcia verso il potere e i frutti non si fanno attendere. Il 27 maggio 1792 la nuova Assemblea Nazionale grava l’obbligo del giuramento di fedeltà alla “Costituzione civile del clero” con la deportazione in Guyana per tutti i preti refrattari.

Questi ultimi, obbligati a nascondersi per evitare la deportazione, sono protetti dalla popolazione e celebrano affollate Messe clandestine. Nell’Ovest della Francia, che si sarebbe di lì a poco ribellato, il 75% degli ecclesiastici resta fedele a Roma.

In quella parte del territorio, per tutto il mese successivo al decreto si susseguono arresti di sacerdoti refrattari. Ma in quell’estate accade anche altro e per la prima volta, dallo scoppio della rivoluzione: l’uccisione di sacerdoti, in tutto il Paese. Fino allora non erano certo mancate stragi ed efferatezze, per le quali la Rivoluzione francese è famosa nella storia, ma a partire dal 1792 l’orgia omicida investe anche il clero.

Il 14 luglio di quell’anno, in occasione della commemorazione della Bastiglia, è massacrato un sacerdote a Limoges e, nella stessa giornata, altri nove a Vans, nell’Ardeche. Le uccisioni continuano il 15 luglio a Bordeaux, il 19 agosto nell’Orne e il 21 nell’Aube.

Scrive lo storico Jean Dumont: “Spesso, come a Bordeaux, i monconi sanguinanti dei sacerdoti massacrati e fatti a pezzi vengono trascinati per le strade, branditi in cima a picche attraverso le finestre semiaperte dei cittadini” (54). In questo scenario, in aprile, i Girondini spingono il re a dichiarare guerra all’Austria.

I Girondini spingevano alla guerra “contro tutti i tiranni”. La politica guerrafondaia, nei loro propositi, avrebbe dovuto coprire le crepe che segnavano l’edificio della Rivoluzione, ormai fonte perenne di anarchia e di disordini. Secondo una formula consolidata nella Storia, essi contavano di fare in guerra ciò che non avrebbero mai potuto fare in pace.

In agosto la Prussia dichiara guerra alla Francia, e l’Assemblea Nazionale proclama “La patria è in pericolo” e decreta la leva di volontari. Sempre in agosto Robespierre scende in campo: il massone Robespierre, affiliato ad una comunione massonica, “Il Capitolo di Arras”, che dipendeva dal Grande Oriente di Francia. (55)

Robespierre il 4 agosto denuncia un complotto degli aristocratici, il 9 costituisce la “Comune” che sostituisce la vecchia municipalità di Parigi e il 10 propone all’Assemblea Nazionale, e ottiene, la creazione della “Convenzione” con il compito di riformare la costituzione in senso giacobino. In questo nuovo clima, il 10 agosto 1792 la folla, aizzata dai circoli rivoluzionari, attacca il palazzo delle Tuileries dove risiedono i sovrani e massacra le guardie svizzere.

L’Assemblea Nazionale dichiara decaduto il Re e lo fa arrestare. Luigi XVI sarà ghigliottinato il 21 gennaio 1793. Il 17 settembre dello stesso anno, la Convenzione emana la “legge sui sospetti”, che segna l’inizio del “Terrore”, la dittatura giacobina. Ora la Francia è davvero in buone mani.

Questa era la tipologia umana che popolava la “Comune” creata da Robespierre. Scrive Pierre Gaxotte: (56) “La Comune è in balia di un pugno di uomini usciti dai bassifondi che spadroneggiano come Cesari mentre potrebbero essere, a cose cambiate, volgari delinquenti comuni (…) Il presidente Huguenin è un concussionario, Rossignol è un assassino, Manuel ha rubato e falsificato (…) Hébert, controllore di teatro, è stato a suo tempo licenziato dal Varietà per truffa, Panis è stato destituito dal Tesoro Reale per sottrazione. (…) Costoro disponevano di un consigliere degno di loro: un pazzoide, un maniaco criminale, il giornalista Gianpaolo Marat”.

I rivoluzionari adottarono un certo numero di simboli usati in massoneria. Nell’anno II l’occhio nel delta luminoso divenne emblema della vigilanza sulla repubblica” (Andrè Combes, La Massoneria in Francia, Bastogi, Foggia 1986, p. 50. “Bastogi” è l’editrice ufficiale del Grande Oriente d’Italia).

Il massone Marat, affiliato alla loggia “Amis réunis” (57), così arringa gli attivisti della Comune: “Prima di scomparire sopprimete i vostri nemici, finite le vostre vittime. (…) Entrate nelle prigioni, massacrate i nobili, i preti, i ricchi. Così, ritirandovi, lascerete dietro di voi soltanto sangue e cadaveri”. (58)

L’esortazione al massacro fu entusiasticamente raccolta. Pierre Gaxotte: “Nel lasso di dieci giorni, tutto è pronto: le liste di proscrizione sono stampate, gli esecutori materiali sono scelti e ingaggiati a 6 franchi al giorno e vino a volontà.(…) La strage avviene contemporaneamente ai Carmelitani, all’Abbadia, alla Force, alla Salpetriere, allo Chatelet, a Bicetre” (59).

Nel corso dei “massacri di settembre” – così sono ricordati nella storia della Rivoluzione – si uccide a sciabolate, colpi di accetta e di picca. Parigi è trasformata in un mattatoio. Icona dei quattro giorni di strage è la sorte della principessa di Lamballe.

Dopo averla sgozzata, i rivoluzionari le estraggono il cuore che è posto in cima ad una picca. Questa picca, con il cuore infilzato, è poi agitata davanti alle finestre del “Tempio”, antica costruzione medioevale di Parigi nella quale era detenuta da un mese la famiglia reale dopo i fatti del 10 agosto che avevano portato all’arresto di Luigi XVI.

Tra le vittime delle 4 giornate di settembre si contano in primo luogo gli uomini dell’ancien regime detenuti nelle prigioni: 100 fra aristocratici ed ex collaboratori del re; 150 tra ex soldati svizzeri e guardie reali; 50 tra ufficiali, magistrati e professori; 220 sacerdoti con i vescovi di Saintes e Beauvais. (60) Le restanti vittime sono però detenuti comuni. Perché ucciderli? Pulizia etnica.

La Comune che dirigeva le operazioni volle applicare il principio di eliminazione eugenetica in vista della “società perfetta” che la Rivoluzione mirava a creare. In questa logica la Comune di Robespierre aveva pianificato l’eliminazione di delinquenti, infelici, malati mentali e prostitute.

Si conoscono i luoghi e le cifre: 595 detenuti per reati comuni sono massacrati nelle prigioni della Conciergerie, Tour Saint-Bernard e Chatelet; 35 donne, tra ragazze rinchiuse in riformatorio e prostitute, sono sgozzate o uccise a colpi di accetta alla Salpetriere; a Bicetre sono massacrati 170 persone tra pazzi, mendicanti, vagabondi e ragazzi in riformatorio in età compresa tra i dodici e i quindici anni. (61)

Pierre Gaxotte: (62) “A Bicetre e alla Salpetriere, dov’erano i fanciulli e le ragazze traviate, avvennero scene indescrivibili (…) L’usciere Mailard improvvisa un sanguinoso tribunale. Attorno ad esso, per eccitarsi e lavorare meglio, gli assassini mangiano, bevono e cantano.

Vengono disposte tribune per le “signore” che vogliano assistere allo spettacolo”. Il ministro degli Interni del tempo, di fronte alle relazioni dell’accaduto, giudica i fatti “molto utili per la felicità futura della specie umana” (63).

Dopo i massacri di settembre, il già citato duca di Orleans, cugino del Re e Gran Maestro del Grande Oriente di Francia, abbandona la setta. Nel dicembre 1792 consegna un comunicato alla stampa.

Vi si legge: “Io sono entrato nella Massoneria, che è un’immagine dell’eguaglianza, in un’epoca quando nessuno poteva prevedere la nostra rivoluzione (…) Ma dopo ho abbandonato questi fantasmi per la realtà. Non conoscendo il modo come il Grand’Oriente è formato e stimando d’altronde che una repubblica non deve, soprattutto ai suoi inizi della sua istituzione, tollerare alcun mistero, alcuna assemblea segreta, io non voglio più occuparmi di ciò che concerne sia il Grand’Oriente, sia le assemblee dei massoni” (64).

Il duca di Orleans supponeva che la massoneria fosse il santuario dell’uguaglianza. D’altro canto non poteva conoscere le dinamiche delle rivoluzioni “progressiste” come noi oggi le conosciamo: una “Fase A” riformista, piena di proclami e promesse ( di uguaglianza, per esempio), e una “Fase B” estremista, piena di sangue ma, ça va sans dire, sempre accompagnata da proclami democratici.

Robespierre, il macellaio della Rivoluzione, proprio lui, fu il primo, nella storia del pensiero politico moderno, ad annunciare la democrazia nella sua definizione più pertinente. Nel corso di un discorso tenuto alla Convenzione il 5 febbraio 1794 Robespierre dichiarò: (65) “Uno stato democratico è quello in cui il popolo sovrano, guidato da leggi da lui stesso promulgate, interviene direttamente dove può, e attraverso i suoi delegati dove non è in grado di farlo. La democrazia è la sola forma di governo in cui tutti i cittadini possono realmente riconoscersi nello stato”. Non è commuovente?

Pochi mesi dopo, lo stesso Robespierre dava inizio alla peggiore stagione di morte della Rivoluzione, ricordata come “il Grande Terrore”, iniziato il 10 giugno 1794 con l’emanazione dell’ennesima legge della Convenzione a difesa della purezza rivoluzionaria: era il coronamento del “Terrore” iniziato l’anno precedente.

Infine, Robespierre fu deposto e mandato alla ghigliottina dagli stessi capi rivoluzionari perché il suo delirio di onnipotenza, che egli manifestò alla Convenzione nel giugno 1794, fece capire che la falce avrebbe potuto abbattersi anche su di loro. Robespierre non fu affatto un folle.

Al contrario, trasse le conseguenze logiche degli insegnamenti ricevuti in loggia, realizzò il vero progetto della massoneria, nascosto dietro gli zuccherosi proclami di “Libertà, Uguaglianza, Fraternità”: il progetto di un potere “globale” necessario alla costruzione di un nuovo ordine della società.

La scena che segue mostra quali sentimenti che Robespierre avesse seminato, lungo il percorso del progetto. Un libro pubblicato in Italia vent’anni dopo i fatti narra la sua fine (66): “Fu condotto al supplizio sopra un carro. Le botteghe, le finestre e i tetti ridondavano di spettatori, e le grida di gioia lo accompagnarono durante il funereo tragitto. (…) Il popolo lo fermò innanzi alla casa in cui abitava; alcune donne danzarono davanti al carro e una di loro esclamò: ‘Il tuo supplizio mi riempie di giubilo. Scendi all’inferno con la maledizione di tutte le mogli e di tutte le madri!’”.

Gli stessi poteri che due secoli fa devastarono la Francia, mirano oggi allo stesso potere “globale” della dittatura giacobina. Non si commetta l’errore di credere che la globalizzazione, il progetto di un nuovo ordine del mondo, segua la “logica del denaro”: segue piuttosto la logica della massoneria.

Gioele Magaldi, Gran Maestro di una comunione massonica italiana attivissima nella comunicazione mediatica, è autore di un libro di 600 pagine sul ruolo della massoneria nella formazione storica della “modernità”. Un’opera che è fonte di una quantità di informazioni e notizie storiche impressionante, per quantità e qualità. (67).

Riportiamo alcuni passaggi di un’intervista pubblicata alle pagine 25-26 del libro.

Magaldi, oggi il potere è massone. Il potere vero. È così?

Senza ombra di dubbio. Il vero potere è massone.

Chi non è massone o supportato dai massoni, ha qualche chance di arrivare al potere?

No. Non esiste alcuna chance, per chi non sia personalmente libero muratore o supportato da liberi muratori (…) di accedere ai posti di potere più ambiti e decisivi.

Perché?

Il mondo moderno e contemporaneo è stato costruito dalla massoneria, sconfiggendo le antiche aristocrazie ecclesiastiche e del sangue. E oggi i suoi membri più eminenti ne controllano e gestiscono il funzionamento”.

Cosa dovremo attenderci, se nessuno fermerà il meccanismo, dal futuro massonico promesso senza troppi giri di parole dal Gran Maestro Gioele Magaldi? La stessa cosa che attendeva la Francia, condotta dalla massoneria alla Rivoluzione: la morte.

Scrive lo storico Jean Dumont: “La Rivoluzione è l’esempio e la causa, nello stesso tempo remota e prossima, del rifiuto della vita ed è la vera origine della morte della civiltà occidentale, una morte che ci riguarda tutti. La Rivoluzione aveva come motto La libertà o la morte. (…) Avendo cessato molto presto di essere la libertà, non le restava in effetti che rappresentare la Morte. Non soltanto la Morte dei rivoli di sangue sotto la ghigliottina e dei cumuli di ceneri umane del genocidio vandeano (…) ma la Morte che si estese alle generazioni che seguirono fino alle ultime, le nostre. La morte insieme nazionale, spirituale e biologica”.

Note

54) Cfr. Jean Dumont, op.cit., p. 35

55) Cfr. Enrico Delasusse, op.cit., p. 132.

56) Cfr.Gaxotte, op.cit. p. 235

57) Cfr. Enrico Delasusse, op.cit., p. 133

58) Cfr.Pierre Gaxotte, op.cit. pp. 235-236

59) Ibid., p.236

60) Cfr. Jean Dumont, op.cit., p.69

61) Ibid.

62) Cfr.Pierre Gaxotte, op.cit. p.236

63) Cfr. Jean Dumont, op.cit., p.70

64) Cfr. Ernesto Nys, op.cit. , p.109 65) Cfr.R.R.Palmer “ L’era delle rivoluzioni democratiche”, Rizzoli, Milano 1971, p.28.

66) Cfr.Davide Bertolotti, “Serie di vite e ritratti di famosi personaggi degli ultimi tempi”, 2 voll., volume II, presso Battelli e Fanfani, editori e calcografi negozianti di stampe, Milano 1818.

67) Cfr. Gioele Magaldi “Massoni – Società a responsabilità illimitata”. Ed. Chiarelettere, Milano 2014.

FINE

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(1) Libertè, Egalitè, Modernité

(2) Dagli illuminati all’illuminismo

(3) L’intolleranza del “tollerante” Voltaire

(4) La guerra a Cristo

(5) la trappola degli Stati Generali