Atea, femminista e lesbica: «Cristo mi ha liberato»

Il Timone n.190 Dicembre 2019

Atea, femminista e lesbica-. «Cristo mi ha liberato» Oggi sposa e mamma di cinque figli, Brigitte Bédard ha attraversato gli abissi di ogni tipo di dipendenza, dalla droga al sesso, passando per l’alcol e i disturbi alimentari, prima di trovare l’unica risposta possibile alla sua sete di amore

di Raffaella Frullone

«Ringrazio innanzitutto i membri dei Cocainomani anonimi, degli Alcolisti anonimi, dei Dipendenti emotivi anonimi, dei Sessodipendenti anonimi, dei Mangiatori compulsivi anonimi». Già, i ringraziamenti che aprono il libro J’était incapable d’aimer (Ero incapace di amare), uscito per le edizioni Artege in Francia, sono un pugno nello stomaco, perché in poche righe danno l’idea di cosa abbia passato la protagonista e autrice di queste pagine, Brigitte Bédard.

Che aggiunge subito dopo: «Senza di voi, non avrei mai conosciuto i Dodici Passi di recupero che mi hanno portato, dopo dieci anni di incontri intensi e un abisso spirituale ed emotivo dei più terribili, a mettere veramente e seriamente Dio al centro della mia vita. Grazie per avermi amato come sono!».

Surrogati

Brigitte con il marito

Brigitte Bédard è una giornalista radiofonica canadese, oggi sposa felice e mamma di cinque figli. Nel suo libro mette nero su bianco cosa ha dovuto attraversare per arrivare alla sua vita attuale. Aveva undici anni quando la sua vita, fino a quel momento la vita ordinaria di una bambina, ha compiuto il suo primo giro di boa, con la prima sigaretta.

Potrebbe sembrare una cosa da nulla, eppure Brigitte la racconta come il primo passo verso le droghe, prima quelle cosiddette leggere, a dodici anni, poi giù giù fino alla cocaina. Una discesa verso la tossicodipendenza accompagnata dal caos delle relazioni.

Aveva solo 13 anni quando ha avuto la prima esperienza sessuale, una molestia vera e propria, inizio di un abisso. Scorrendo le pagine si susseguono nomi, circostanze, incontri, passioni e lacerazioni, così tanti da lasciare sbalorditi. A soli 21 anni aveva già un matrimonio fallito alle spalle.

Oggi, raggiunta al telefono per un’intervista, racconta così: «Viviamo in una società che confonde amore e sessualità. Io cercavo l’amore, cercavo disperatamente l’amore, ma mi illudevo di trovarlo attraverso la sessualità; quando mi davo, pensavo che l’amore sarebbe arrivato e che alla fine sarei stata amata. In realtà non sapevo nulla dell’amore. Mi accontentavo, in un certo senso, delle briciole.

Quando una persona ha fame, ha sete di amore e non conosce Dio, sinceramente è portata a pensare che un’altra persona riempirà questo vuoto, questo bisogno di amore, ma non è così. Questa è una forma di ignoranza». Eppure Brigitte in questa forma di ignoranza ha vissuto a lungo. Scrive ancora: «A ogni incontro mi dicevo: “E se fosse lui l’uomo della mia vita?”. E ricominciavo. E in tutto questo mi definivo femminista».

Coming out

Era così assetata d’amore che, dopo aver disperatamente cercato un uomo, ha cominciato a frequentare le donne. «Tutte le mie amiche, tranne forse una o due, erano lesbiche e mi dicevano che anch’io lo ero di conseguenza», racconta Brigitte nel suo volume. «Un bel giorno, senza alcun avvertimento e senza alcuna riflessione o meditazione previa, senza che sperassi alcunché, mentre mi trovavo al tavolino di un bar, una donna si sedette vicino a me. Fui attraversata da una pulsione sessuale potentissima, non avevo mai sentito un tale desiderio nella mia vita, nemmeno per un uomo. Quella donna divenne una mia amante. Dopo di lei, ce n’è stata un’altra, e un’altra ancora, e poi una serie…».

Continua la Bédard: «Credo che a quell’epoca, dopo otto anni come lesbica, tutti fossero d’accordo nel dire che io lo fossi. Il cammino era stato lungo, arduo, ma ce l’avevo fatta. Di cosa avevo bisogno, dunque, per rendermene conto? Che cosa mi mancava per convincermi definitivamente che ero omosessuale, che dovevo “accettarmi” e vivere come dicevano le mie amiche e la terapeuta dalla quale andavo tutte le settimane?

I miei genitori non avevano niente da dire. Bene, mi dicevo, non ho nemmeno bisogno di fare il mio coming out. Lo avevo sempre temuto, perché per me rivelarlo alla mia famiglia era come suicidarmi simbolicamente. Voleva dire smettere di pormi delle domande, era come mettere un termine definitivo e irrevocabile al mio esame di coscienza, alla mia ricerca di identità, alle mie domande esistenziali».

Monastero

Brigitte da una parte sembra sprofondare, dall’altra accetta ogni mano tesa, nel tentativo di non perdersi per sempre. Frequenta un po’ tutti i gruppi dedicati a uscire dalle dipendenze in cui è intrappolata, basati sul modello delle 12 tappe, nato con la realtà degli Alcolisti anonimi.

Ma a un certo punto, nonostante gli alti e bassi, crolla, al punto di sentirsi male durante una delle riunioni cui partecipava. A quel punto un altro membro del gruppo le si avvicina e le dice che quello che le manca sono due tappe fondamentali del percorso, quelle che prevedevano un rapporto autentico e personale con Dio.

Le propone di trascorrere un po’ di tempo in un monastero e di andare a parlare con un monaco. La donna accetta, solo per disperazione. «Provavo un risentimento tale verso la Chiesa!», scrive sempre nel libro. «Dio per me era una sorta di energia. Un po’ vita, un po’ amore, qualcosa tra le due cose, un pensiero di speranza. Ma nello stesso tempo pensavo alle guerre e ai cataclismi e mi riscoprivo atea, dicevo: “Se Dio esiste, non può permettere questo”».

Ma Dio, nelle sue vie misteriose, la stava soltanto aspettando, all’Abbazia di San Benedetto del Lago, nel Québec. Nel silenzio di alcuni giorni trascorsi in monastero, Brigitte mette nero su bianco il racconto della sua vita e tutti gli incontri, uomini e donne, in cui aveva dolorosamente cercato l’amore, le domande sulla sua identità, le sue ferite.

Il risultato è uno scritto di quaranta pagine, con il quale si reca a parlare da un monaco. La sua è una sorta di confessione e dura tre giorni, mattina e pomeriggio, mattina e pomeriggio e poi ancora mattina e pomeriggio. La sua passione.

Lacrime e Vita

Brigitte parla delle sue esperienze sessuali, le racconta tutte, una dopo l’altra, il monaco non dice nulla, sta dall’altra parte del tavolo, in silenzio, e ascolta. Poi butta fuori il suo astio per la Chiesa, cita l’inquisizione, accusa il monaco di essere connivente con il male nella Chiesa, gli urla contro: lui ascolta e tace.

«Mi sembrava di essere ascoltata per la prima volta nella mia vita. Nell’intensità di quello sguardo, in quella compassione, c’era davvero lo sguardo di Gesù su di me. Non mi ha parlato di Gesù una sola volta, ma in lui c’era Gesù e io ancora non lo sapevo», scrive Brigitte. Alla fine dei tre giorni di passione il monaco dice solo: «Brigitte, se tu conoscessi il dono di Dio!».

Dalle parole alle lacrime, dal buio alla luce, dalla lontananza alla fede. La conversione di Brigitte è stata così, dolorosa ma folgorante. Come se improvvisamente tutti i pezzi del puzzle si fossero ricomposti e finalmente il suo desiderio di amore avesse trovato l’unica risposta vera.

«Cristo mi ha liberato», è infatti il sottotitolo del suo libro. Il cammino sarà ancora lungo e faticoso ma, scrive: «Per la prima volta nella mia vita non ero più confusa. Ero certa di una cosa: Dio era Gesù, ed era vivo».

«Oggi, dopo tredici anni di matrimonio e un fidanzamento casto», ci racconta Brigitte, «vivo nella mia carne e nella mia anima la sessualità come il dono sacramentale che Dio, nostro Padre, mi ha dato per unirmi a mio marito, non solo nella carne, ma anche nella dimensione soprannaturale.

La sessualità è data per vivere una comunione. Ed è solo nel tempo, nella durata, nel “per sempre” che la fiducia e la libertà possono davvero prosperare tra i coniugi». Oltre al suo lavoro da giornalista, oltre al suo essere sposa e madre, Brigitte, oggi cinquantenne, testimonia come Dio ha operato nella sua vita, come l’ha trasformata.

«Ciò che mi ha toccato di più sono le donne, come me, che si sono perse nell’ideologia del femminismo e hanno capito sulla loro pelle che non porta a nulla. Donne che ora sanno che la Chiesa cattolica non è perfetta, ma anche che nella loro vita avevano delle cose da cambiare. Tutti dobbiamo camminare con Gesù, l’unico che guarisce davvero il cuore delle donne ferite… se lo lasciamo fare».