Massoneria & Rivoluzione francese. La trappola degli Stati Generali (5)

Ricognizioni

3 gennaio 2020

Mario Di Giovanni

Nel 1789, anno della presa della Bastiglia, il Grande Oriente di Francia contava 700 logge, di cui 78 nell’Armata, cui si affiancavano 300 logge dipendenti da obbedienze massoniche minori. Il patibolo per la Francia era pronto: mancava solo la ghigliottina.

Occorre però intendersi. Il motore della Rivoluzione non era costituito da una borghesia massonica per interesse, che per conquistare quote di potere si era alleata con un’aristocrazia massonica per moda. Meno ancora fu l’“ansia di libertà” a muovere gli eventi, filastrocca propagandistica che non regge il confronto con la storia: i francesi non lamentavano nessuna tirannia.

La tirannia arrivò dopo, al seguito della Rivoluzione. Una lettura retrospettiva degli eventi mostra che altro era il motore che muoveva il sistema rivoluzionario, lo stesso che da sempre muove la massoneria: l’anticristianesimo programmatico, la volontà di cancellare le istituzioni civili e politiche nate dal cristianesimo, per cancellare dalla storia il cristianesimo stesso.

Era un progetto che distruggeva il significato della vita umana, individuale e collettiva, quale era stato concepito in Europa, per 17 secoli: l’aspirazione dell’uomo a costruire ponti tra la terra e il Cielo, a conformare la vita individuale e sociale alla Rivelazione di Cristo.

La rivoluzione francese, alla scuola della massoneria, per la prima volta nella storia europea rinnegava tutto questo, esiliando Dio dalle leggi, dalla società e dal cuore dell’uomo. La rivoluzione educò a credere e obbligò a credere, pena la ghigliottina, che Dio non esiste, che l’uomo è il Dio di se stesso, che l’unico paradiso è quello che l’uomo è capace di costruire in terra, secondo i piani della società perfetta forniti dagli illuministi prima e dai rivoluzionari poi:  i piani di costruzione di una società atea e democratica, quella nella quale oggi viviamo.

Nel gennaio 1789 Luigi XVI, considerata la grave crisi economica in cui versava il paese, dietro pressione del Parlamento di Parigi (organo consultivo presieduto dal re e formato da nobili di toga) stabilisce di convocare gli Stati Generali, assemblea che non si riuniva dal 1614, composta dai rappresentanti del Primo Stato (il clero), del Secondo Stato (la nobiltà) e del Terzo Stato (la borghesia), tra loro distinti per seggi e paramenti.

Il re aveva stabilito, per ragioni di equità, che i membri del Terzo Stato, che rappresentavano la maggioranza della popolazione, fossero in numero pari a quelli del primo e secondo messi insieme: questo era il “tiranno” che opprimeva la Francia.

L’Assemblea apre i lavori il 5 maggio. Evidentemente il Terzo Stato aveva le idee già chiare sul da farsi perché pochi giorni dopo, il 17 giugno, si rifonda in Assemblea Nazionale, invitando i rappresentanti di clero e nobiltà a farne parte. Il Terzo Stato mostrava di voler dare vita ad un’istituzione politica, per la prima volta nella storia di Francia, non fondata dal re: la rivoluzione era già scoppiata.

Avendo preso atto di quali forze si muovessero, nella società e nelle istituzioni francesi, è superfluo chiedersi chi avesse pianificato questo primo atto di eversione: il parlamento di Parigi che aveva consigliato a Luigi XVI la convocazione degli Stati Generali, pullulava di massoni, e gli Stati Generali erano una succursale del Grande Oriente di Francia.

Da fonte massonica ufficiale apprendiamo che era affiliato alla massoneria il 6% dei rappresentanti del I Stato, il 28% del II eil 17% del III. (46) Così, mentre la Storia ufficiale persiste nella narrazione fiabesca di una rivoluzione “segno dei tempi”, figlia dello “spirito del progresso”, sorta dalle segrete aspirazioni del popolo francese, la Storia reale mostra che era sorta piuttosto dalle segrete aspirazioni della massoneria inglese, che attraverso l’opera dei “fratelli” francesi mirava a liquidare i Borboni, monarchi cattolici.

Dell’impresa si fece carico l’aristocrazia affiliata alle logge, che costituiva la classe dirigente del tempo e quindi in grado di sabotare efficacemente il sistema. Fu la nobiltà di toga (amministrativa) che per prima tradì il re di Francia.

La valutazione non è nostra, ma di uno fra i primi intellettuali italiani del XIX secolo, oltretutto favorevole al liberalismo e quindi poco incline a concedere crediti all’ancien regime. Alessandro Manzoni tra il 1862 e il 1864 compose uno studio sulla rivoluzione francese che rimase incompiuto e che fu pubblicato postumo, nel 1884.

Sulla base di una profonda conoscenza dei fatti, da par suo, basata su documenti e corrispondenze e favorita dalla vicinanza cronologica degli eventi (scrive cinquant’anni dopo la rivoluzione) Manzoni annota come la nobiltà che componeva il Parlamento di Parigi avesse boicottato sistematicamente le riforme sociali e fiscali che Luigi XVI stava attuando, orientate proprio alla cancellazione dei privilegi feudali.

In altre parole Luigi XVI, senza saperlo, stava togliendo di mano ai rivoluzionari le argomentazioni e le istanze che erano già pronte per screditarlo agli occhi del popolo: i “progressisti” del tempo non potevano permetterlo.

Scrive Alessandro Manzoni: (47) “È opinione diffusa e fondata che i Parlamenti della Francia, e soprattutto quello di Parigi, siano stati una causa indiretta ma efficace della Rivoluzione francese, con l’avversare e impedire le riforme volute e tentate da Luigi XVI. Come è un fatto dei più noti che quel Parlamento ne fu anche causa diretta e prossima col richiedere la convocazione degli Stati Generali in una delibera del 9 agosto 1787”.

Il pensiero del Manzoni è così riassunto nella premessa alla recente ristampa del 1985: “La Rivoluzione francese rappresenta un’azione inutile (…) perché ciò che di positivo essa proponeva lo si sarebbe raggiunto comunque, con altri mezzi (…) Azione, quella rivoluzionaria, che servendosi di certe esigenze e di certi meccanismi, li metteva a disposizione non dei giusti interessi ma di chi cercava, in effetti, solo d’impadronirsi del potere”(48).

Alessandro Manzoni non fa però alcun cenno sulle forze che miravano al potere, e che agirono attraverso i Parlamenti. Prima di lui, qualcuno aveva parlato ancora più chiaro. Nel 1811, il Conte di Provenza, che pochi anni più tardi, con la Restaurazione, sarebbe salito al trono di Francia con il nome di Luigi XVIII, in due occasioni accusò la massoneria di aver organizzato la Rivoluzione in Francia.

La notizia, si noti, non proviene da autore cattolico ma da un autorevole storico massone.(49) Riprendiamo il filo della narrazione. Il re nega il suo assenso alla costituzione di un’Assemblea nazionale e fa chiudere la sala di riunione degli Stati Generali. In un primo tempo i rappresentanti di clero e della nobiltà rifiutano di unirsi al Terzo Stato.

I rappresentanti di quest’ultimo decidono allora, il 20 giugno, di riunirsi nella “sala della pallacorda”, giurando di dare una costituzione alla Francia. Poco dopo, il 24 giugno, come da copione, i rappresentanti del clero si uniscono ai borghesi e il giorno dopo la nobiltà segue il loro esempio. Perché parlare di “copione”?

Risponde il massone Ernesto Nys:(50) “Se nel giugno del 1789 i deputati del clero, e poi quelli della nobiltà, si unirono a quelli del Terzo Stato per formare l’Assemblea Nazionale, è da credere che questo accadde perché un certo numero di questi ecclesiastici e di questi gentiluomini avevano preso nelle logge, l’abitudine di deliberare insieme”.

I rappresentanti del clero, contavano infatti nei loro ranghi, come già annotato, un 6% massonico, minoranza non esigua, agguerrita e con idee chiare: tanto bastava, in un ambiente come quello ecclesiastico, per condizionare l’intero gruppo. Si aggiunga che in quel 6% dominava una figura di grande prestigio, che la storia massonica annovera tra gli affiliati più autorevoli, (51) e la storia ufficialeindica come il principale teorico della rivoluzione: l’abate Emmanuel Joseph Sieyes, autore di Qu’est-ce que le Tiers-Etait? (Che cos’è il Terzo Stato?) scritto nel 1788 e pubblicato l’anno seguente.

Un libro che fece epoca, accolto come il manifesto delle rivendicazioni della borghesia e come prima voce dei tempi nuovi. In quanto al Secondo Stato, la nobiltà, il 28% di massoni costituiva già in sé un’aliquota cospicua, potenziata poi dal prestigio e dal peso sociale dei suoi affiliati: chi guida il 24 giugno la nobiltà a unirsi a ecclesiatici e borghesi è il Duca di Orleans, cugino del re e Gran Maestro della massoneria francese. Il massone André Combes: “Il Gran Maestro, duca di Orleans, ebbe una parte di primo piano nel 1789” (52)

Riuniti infine i tre ordini, il 9 luglio gli Stati Generali formano l’Assemblea Nazionale Costituente che il 26 agosto approverà la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, il primo menu di diritti dell’uomo nuovo. Tutto questo, all’ombra della squadra e del compasso.

Uno storico massone così tratteggia il quadro del potere, in Francia, all’indomani della presa della Bastiglia: (53) “Jean Silvain Bailly era stato proclamato sindaco di Parigi (…) La Fayette era stato nominato per acclamazione comandante in capo della guardia nazionale, il marchese de la Salle era stato designato come comandante in seconda. Moreau de Saint-Mery era presidente dell’assemblea degli elettori. Tutti e quattro erano massoni”.

Pochi mesi dopo la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”, il 2 novembre 1789, l’Assemblea Nazionale vota la confisca dei beni della Chiesa. Il 13 febbraio 1790 un altro decreto dell’Assemblea proibisce la professione dei voti solenni di vita religiosa, sciogliendo di fatto gli ordini monastici. Il 12 luglio l’Assemblea approva la “Costituzione civile del clero” che trasformava vescovi, sacerdoti e religiosi in pubblici funzionari, distaccandoli dall’autorità di Roma.

La Chiesa diventava un’appendice dello Stato.

La “Costituzione civile” abolisce i Capitoli, depone 48 vescovi e riduce il numero degli Arcivescovi. Prevede un solo curato per città di diecimila abitanti e decreta che Vescovi e curati siano eletti dagli stessi cittadini che nominavano i Consigli di Distretto e di Dipartimento.

All’elezione erano chiamati tutti, nessuno escluso, compresi i nemici dichiarati della Chiesa, gli eretici e gli ebrei. Infine, iI 27 novembre 1790, dietro proposta del protestante Barnave è imposto a tutto il clero francese di giurare fedeltà alla “Costituzione civile del clero”. Questo determina una divisione, in seno alla Chiesa, tra il clero “costituzionale”, che accetta il decreto, e quello “refrattario”, fedele alla Chiesa di Roma.

La “Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino” mostrò d’essere ciò che era: carta straccia. Un narcotico approntato per meglio disporre il popolo francese alla dittatura che era già in pectore alla Rivoluzione, e che due anni più tardi i Giacobini, sotto la guida di Robespierre, avrebbero imposto all’intera nazione.

Non per nulla i rivoluzionari, un anno dopo aver emanato la “Dichiarazione”, l’avevano già tradita. La “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” recitava infatti all’art.10: “Nessuno può essere inquisito per le sue opinioni religiose”. Ebbene, il mese dopo il decreto Barnave del novembre 1790 che imponeva al clero il giuramento di obbedienza, l’Assemblea Nazionale dà avvio all’applicazione pratica del decreto stesso.

Ne seguono, ai danni dei preti refrattari, vessazioni, sacrilegi e impedimento dell’esercizio del culto. Era la scuola di Voltaire: tolleranza a parole, odio nei fatti.

NOTE

46) Cfr. André Combes, op.cit. p.49

47) Cfr. Alessandro Manzoni “ Storia incompiuta della Rivoluzione ferancese”, Tascabili Bompiani, Milano 1985, p.330

48) Ibid., p.7

49) Cfr. Ernesto Nys, op.cit., p.102

50) Ibid., p.105

51) Cfr. “Rivista Massonica”, n.9 – Novembre 1974, p.564. L’affiliazione è certificata anche dalla storia ufficiale: vedi Sergio Moravia op.cit., p.58.

52) Cfr. André Combes, op.cit., p.49 53) Cfr. Ernesto Nys, op.cit. , p.107

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(1) Liberté, Egalité… Modernité

(2) Dagli illuminati all’illuminismo

83) L’intolleranza del “tollerante” Voltaire

(1) Liberté, Egalité… Modernité