L’ergastolano albanese trova il Cielo in una cella

carcereLibero 19 maggio 2011

La conversione in carcere di Bledar testimonia che solo con Dio si può raggiungere quella felicità che tanti intellettuali pieni di sé dicono di cercare e non trovare

di Antonio Socci

Un albero che cade – com’è noto – fa più rumore di una foresta che cresce. I telegiornali sono pieni di alberi che cadono: lotte di potere, una serie infinita di omicidi, gli scandali sessuali, le guerre. Ne viene fuori ogni giorno una rappresentazione mostruosa della realtà. Una desertificazione umana dove sembra non ci sia più speranza. I media sono una fabbrica gigante di angoscia.

Eppure c’è anche altro. C’è molto altro. C’è l’eroismo quotidiano della gente semplice, di tantissimi padri e di madri, c’è la grandezza di persone che portano amore e speranza, ci sono vite che cambiano e che – magari dall’abisso – ritrovano significato e verità, uomini che rinascono, il Male che batte in ritirata.

È la storia di Bledar, un albanese di 37 anni, detenuto nel carcere “Due Palazzi” di Padova dove sta scontando addirittura l’ergastolo.

Con un tale gravame sulle spalle – “fine pena mai” – questo giovane uomo deve avere un passato molto cupo, segnato da tragici errori e – secondo il giudizio umano – dovrebbe essere disperato e incattivito.

LA CONVERSIONE

Invece ha incontrato la salvezza in carcere ed è rinato. Un uomo nuovo che da sabato scorso si chiama Giovanni, come il discepolo a cui Gesù voleva più bene. Infatti Bledar-Giovanni, che viene dal Paese dove il comunista Hoxa aveva imposto l’ateismo di stato obbligatorio, cancellando Dio con la tirannia più cupa e sanguinaria d’Europa, ha scoperto Gesù e il cristianesimo, ha chiesto il battesimo e – dopo un percorso di catecumenato – sabato scorso, 14 maggio, nella commozione generale, ha ricevuto dal vescovo di Padova il battesimo e i sacramenti della Comunione e della Cresima.

Ora Giovanni è un altro uomo, destinato a un futuro (e già anche un presente) divino “infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio” (S. Atanasio). Entrare a far parte della Chiesa non è una questione associativa come prendere la tessera di un club o di un partito, ma è un cambiamento ontologico, cambia cioè la natura stessa dell’uomo che viene liberato dalla signoria di satana e diventa “figlio di Dio”, parte del Corpo vivo di Cristo. Ogni battezzato in quanto “figlio” acquista i titoli di “re, sacerdote e profeta”.

I sacramenti agiscono in profondità (come mostrano i bellissimi romanzi di Graham Greene) e sono la più grande potenza attiva nella storia, perché sono il segno fisico della potenza invincibile di Cristo. Cambiando il cuore umano cambiano la storia. Infatti la vicenda di Bledar-Giovanni non è affatto isolata. I casi simili sono ormai tantissimi.

Ieri “Avvenire”, dandone notizia, riferiva che il giovane albanese aveva come padrino di battesimo un italiano, Franco, che anch’esso sta scontando in carcere l’ergastolo. Inoltre quella cronaca dell’evento ci dice che altri due detenuti, Umberto e Ludovico, hanno ricevuto i sacramenti della Cresima e della Prima Comunione.

“Avvenire” accenna anche alla storia del ventottenne cinese Wu, che ha scontato sempre al carcere di Padova una pena per omicidio e ora – tornato in libertà – ha chiesto il battesimo, l’ha ricevuto nella notte di Pasqua prendendo il nome di Andrea e – durante la recente visita del Papa a Venezia – con immensa emozione ha ricevuto la Comunione dalle sue mani.

«Non si può descrivere la gioia di questo momento» ha detto Bledar-Giovanni. «Per me Gesù è amore, è tutto. E grazie a quanti mi hanno accompagnato, una grande famiglia».

È straordinario vedere che l’amicizia di Gesù può portare la felicità perfino nella vita di un giovane che è chiuso in una galera e che – presumibilmente – dovrà consumare il meglio della sua esistenza fra quelle quattro mura, dietro le sbarre. È questo il cielo in una stanza.

La madre di Giovanni, venuta dall’Albania per il battesimo del figlio, con i lucciconi agli occhi, ha ringraziato per la festa e ha detto: «Sono felice che mio figlio, dopo tante brutte avventure, abbia potuto incontrare Dio».

LE VITE PERDUTE

Infatti sono vite che erano perdute e che il Buon Pastore è andato a cercare e che si è caricato sulle spalle, sono esistenze che il mondo giudicava maledette e che Dio ha benedetto e fatto rifiorire.

Dietrich Bonhoeffer, un grande cristiano ucciso in un lager nazista, scriveva: “Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro, sceglie una creatura umana come suo strumento e compie meraviglie li dove uno meno se le aspetta. Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono ‘perduto’, li Egli dice ‘salvato’; dove gli uomini dicono ‘no!’, lì Egli dice ‘sì’! Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì Egli posa il Suo sguardo pieno di un amore ardente e incomparabile. (…). Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, lì Egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il Suo approssimarsi, affinchè comprendiamo il miracolo del Suo amore, della Sua vicinanza e della Sua Grazia”.

Nulla è di ostacolo per lui: non certo i peccati e nemmeno i crimini. Solo l’orgoglio dell’intellettuale, la strafottenza del peccatore impenitente e la presunzione ipocrita del moralista gli legano le mani. Al contrario i peccati, le cadute umilianti, la vergogna rendono più appassionata la sua Misericordia. Così accade che le ferite della vita siano spesso le feritoie attraverso le quali lui raggiunge il cuore e resuscita una creatura.

TUTTO È POSSIBILE

La tradizione cristiana ha sempre saputo che “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”. Perché così Dio mostra che nulla a lui è impossibile. E mostra che gli uomini si salvano per la sua misericordia paterna e non per la loro presunzione. Si salvano attraverso la propria debolezza e non per la loro forza. Anzi, sono le loro presunte capacità a fregarli. È la loro presunta giustizia. Un altro grande convertìto, Charles Péguy, diceva che nulla rende impermeabili alla grazia come “la morale”, o meglio la pretesa moralità di coloro che si sentono “perbene” e che – come gli scribi e i farisei – giudicano e condannano gli altri.

A costoro Gesù diceva: “i peccatori e le prostitute vi stanno passando avanti nel Regno dei Cieli”. Quelli che si ritengono giusti o quelli che si rotolano soddisfatti nel loro peccato, pretendono di autoassolversi e di non aver bisogno della misericordia di Dio, si perdono. Non hanno ferite della vita e non hanno peccati (o meglio li hanno, ma ben nascosti o non confessati, non brucianti) e così Dio non può raggiungerli nel loro intimo pianto, nel grido del loro cuore.

Vedendo la storia di questi carcerati si resta impressionati dallafacilità con cui Dio salva i cuori umili (perché umiliati). E così un ergastolano albanese può dire di aver trovato quel Dio e quella felicità che tanti intellettuali pieni di sé e intristiti dicono di cercare e non trovare. Perché non lui ha trovato la Verità, ma è stato trovato dalla Verità fatta carne. E ben volentieri lui si è lasciato trovare, confortare e abbracciare. Iniziando una vita nuova.