Dietro Greta ci sarebbe un piano di 100 trilioni di dollari

ItaliaOggi – Numero 297 del 17 Dicembre 2019 

Oltre alle profonde divergenze di interessi sul divieto progressivo dei combustibili fossili, proliferano sul web studi contrari al mainstream mediatico sulla cosiddetta emergenza climatica

di Tino Oldani

Il fallimento della conferenza Cop 25 di Madrid sul clima non deve stupire più di tanto. Ormai dietro le divisioni tra gli Stati non ci sono soltanto le profonde divergenze di interessi sul divieto progressivo dei combustibili fossili, ma anche il proliferare sul web di studi contrari al mainstream mediatico sulla cosiddetta emergenza climatica.

Proprio alla vigilia del vertice di Madrid, sul sito canadese Global Research è stata postata un’inchiesta di William Engdhal, 75 anni, analista geopolitico americano e autore di best seller sulle guerre del petrolio, il quale, citando nomi e fatti precisi, sostiene una tesi clamorosa.

Eccola: la grande finanza mondiale, alleata per l’occasione con l’Onu e l’Unione europea, si starebbe servendo in modo cinico di Greta Thunberg come icona mediatica per creare allarmismo sul riscaldamento climatico provocato dall’uomo (una fake new, sostiene Engdhal) e innescare di conseguenza il business più redditizio dei prossimi decenni, il cosiddetto Green new deal, la rivoluzione dell’economia verde.

Il tutto con un piano di investimenti di oltre 100 trilioni di dollari, da raccogliere con massicce emissioni di obbligazioni speculative. Fondi da riversare, mediante il credito, sulle nuove imprese climatiche, anche a prescindere dal loro effettivo valore e know-how. Ovviamente, a scapito dei settori dell’economia «colpevoli» di inquinare, e con duri sacrifici per milioni di lavoratori e consumatori, ma enormi profitti per gli istituti finanziari che hanno sposato questo business.

Due gli uomini chiave di questa «agenda verde mondiale», sostiene Engdhal: il banchiere inglese Mark Carney, 54 anni, capo della Banca d’Inghilterra e l’ex vicepresidente Usa Al Gore, 71 anni, vice di Bill Clinton (1993-2001), da sempre ambientalista, oggi ricco presidente del gruppo Generation Investment, impegnato negli investimenti a lungo termine sulla sostenibilità ambientale.

Carney, sostiene Engdhal, è stato la mente finanziaria dell’intero progetto mondiale. Nel dicembre 2015, il Financial Stability Board della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), presieduto da Carney, ha creato una task force sulla divulgazione finanziaria legata al clima (Tcfd) per «consigliare investitori, finanziatori e assicurazioni sui rischi legati al clima».

Nel 2016 questa task force, formata da 31 banchieri nominati dalla Bri e presieduta dal finanziere Michael Bloomberg, insieme alla City of London Corporation e al governo del Regno Unito, ha avviato la Green Finance Initiative, con la missione di pilotare trilioni di dollari in investimenti verdi.

Tra i primi ad aderire, il principe Carlo, futuro re d’Inghilterra, che insieme alla Bank of England e alla City of London ha promosso i Green Bonds, strumenti finanziari verdi per «reindirizzare piani pensionistici e fondi comuni d’investimento verso progetti verdi».

In pratica, la task force ideata da Carney costituisce la cabina di regia e include i rappresentanti dei maggiori operatori finanziari del pianeta: «Ci sono tutti: da Jp Morgan a BlackRock, uno dei più grandi gestori di patrimoni del mondo». Non solo. Goldman Sacks ha appena sfornato il primo indice globale dei titoli ambientali di alto livello quotati a Wall Street, indice condiviso da tutte le maggiori banche d’affari, «per attirare fondi d’investimento e sistemi pensionistici statali».

Questa ricostruzione di Engdhal trova conferma nel Libro bianco «Strategia di fi nanza verde», pubblicato nel luglio scorso da Philip Hammond, ex premier britannico, dove si afferma che l’iniziativa «supportata da Carney e presieduta da Bloomberg è stata approvata dalle istituzioni che rappresentano 118 trilioni di  dollari di attività a livello globale».

Il piano, sostiene l’analista Usa, consiste nella finanziarizzazione dell’intera economia mondiale «usando la paura di uno scenario da fine di mondo per raggiungere obiettivi arbitrari come le emissioni zero di gas serra». Più avanti: «Gli eventi assumono una svolta cinica quando ci troviamo di fronte ad attivisti climatici molto popolari e fortemente promossi, come Greta Thunberg o la 29enne Alexandra Ocasio-Cortez di New York e il loro Green New Deal.

Per quanto sinceri possano essere questi attivisti, c’è una macchina finanziaria ben oliata dietro la loro promozione a scopo di lucro». Quanto al ruolo di Al Gore, ma anche dell’Ue, dovremo tornarci.

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ItaliaOggi – Numero 298 del 18 Dicembre 2019

Greta: una marionetta al servizio della finanza?

Secondo Engdhal, chi ha lanciato Greta, vale a dire Rentzhog, è un uomo di Al Gore, membro della Organizzazione per la realtà climatica, partner della “We don’t have time”, proprio la Ong che ha lanciato Greta

di Tino Oldani

Da qui al 2050 mancano 30 anni, ma Giovanni Pitruzzella, 60 anni, ex presidente dell’Antitrust, non ha dubbi. Entro quella data, ha scritto ieri sul Corriere della Sera, il piano per l’economia verde europea (European Green Deal), annunciato dalla nuova presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, «provocherà mutamenti maggiori di quelli che sono stati determinati dall’introduzione dell’euro».

Ci sarà «un ripensamento in tutti i settori dell’economia», la Commissione Ue fisserà nuove regole per i sussidi e le tassazioni, fino alla trasformazione della Bei, Banca per gli investimenti europei, in una «banca per il clima». Per questo «è necessaria una partecipazione consapevole del nostro paese al processo che sta per partire».

Sconosciuto al grande pubblico, il professor Pitruzzella è avvocato e docente di diritto, e nel 2015 è stato candidato a giudice costituzionale da due partiti: Area popolare di Angelino Alfano e Scelta Civica di Mario Monti. Non ebbe i voti necessari e si ritirò dalla corsa. Senza offesa, si potrebbe dire che rappresenta solo se stesso.

Ma non è così: con il suo articolo di ieri, il primo quotidiano d’Italia conferma di essere schierato con i poteri forti della grande finanza mondiale che stanno usando Greta Thunberg per convincere l’opinione pubblica, soprattutto i giovani, ad accettare la quarta rivoluzione industriale, quella dell’economia verde, per salvare il pianeta dal riscaldamento (una certezza per alcuni, una fake news per altri), anche a costo di duri sacrifici, dei quali ovviamente nessun media osa parlare, tranne questo giornale (vedi ItaliaOggi di ieri).

Come ha rivelato William Engdhal, analista geopolitico americano, gli uomini chiave che hanno tessuto la rete mondiale per sostenere la rivoluzione verde come nuova fonte di profitti speculativi sono stati Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra e capo del Financial stability board della Banca dei regolamenti internazionali, e Al Gore, ex vicepresidente Usa, ambientalista da sempre, presidente del gruppo Generation Investment, specialista in investimenti a lungo termine per la sostenibilità ambientale.

Se l’inglese Carney, forte dell’incarico alla Bri di Zurigo, è stato lo stratega finanziario, Al Gore lo è stato per la parte culturale e mediatica, soprattutto per l’affermarsi di Greta come icona mondiale. Il loro legame si deve a una Ong svedese, «We don’t have time» (Non abbiamo più tempo), fondata da Ingmar Rentzhog, esperto di campagne pubblicitarie.

È stato Rentzhog a fotografare per la prima volta Greta seduta davanti al parlamento svedese, con accanto il famoso cartello sul suo sciopero scolastico per il clima. Foto rilanciata all’istante da Rentzhog sui social media e capace di raccogliere più di 20 mila like in 24 ore.

L’inizio di una valanga di consensi a livello mondiale: da allora «we don’t have time» è diventato il motto che Greta ha ripetuto come un disco in tutti i suoi interventi, fino a dire davanti all’Onu che abbiamo soltanto otto anni per salvare il pianeta dalla catastrofe climatica. Una bufala colossale (basti pensare che l’Ue sposta al 2050 le emissioni zero), ma presa dai media come oro colato. Come è stato possibile?

Semplice, sostiene Engdhal: chi ha lanciato Greta, vale a dire Rentzhog, è un uomo di Al Gore, addestrato a Denver nel 2017 e a Berlino nel 2018, fino a diventare membro della Organizzazione per la realtà climatica, fondata da Gore, nonché suo uomo di punta per la politica climatica in Europa. Non solo.

Il Progetto per la realtà climatica di Gore è partner della «We don’t have time», proprio la Ong che ha lanciato Greta. Nel 2018 questa Ong, diventata start-up, ha raccolto 13 milioni di corone (1,2 milioni di euro) dagli investitori. E nel febbraio scorso il settimanale tedesco Der Spiegel ha accusato Greta, presente nel comitato consultivo di una fondazione affiliata alla start-up, di essere «una marionetta in mano a lucrosi burattinai».

Per tutta risposta, Greta si è dimessa, dicendo di non avere mai preso un soldo e troncando i rapporti con la Ong. Ma ormai, per i suoi promotori, il più era fatto: come icona mondiale, Greta ha milioni di fans, pronti a scendere in piazza con lei per la rivoluzione verde.  Una rivoluzione, denuncia Engdhal, promossa dalle grandi banche d’affari con finalità speculative, poi fatta propria dall’Onu con l’Agenda 2030, vocata all’economia sostenibile.

Infine sposata anche dall’Unione europea, con il primo solenne discorso della Von der Leyen davanti al parlamento Ue, in cui ha promesso 260 miliardi di euro di investimenti l’anno per arrivare a emissioni zero di CO2 entro il 2050. Ovviamente, con green bond a iosa, nuove tasse, e tagliando di molto gli investimenti europei di vecchio stampo, come la coesione e l’agricoltura, gli unici su cui ha sempre potuto contare l’Italia.

Ma su questi sacrifici futuri e su chi li pretende, governo Conte2 e i giornaloni zitti e mosca.