È caduto il Muro. Siamo tutti marxisti

Tempi n. 11

Novembre 2019

Il comunismo ha storicamente fallito, ma l’Occidente ha saputo opporgli solo il nichilismo della «società opulenta», di fatto un materialismo compiuto. “L’amore di sé fino al disprezzo di Dio” è la lezione del filosofo di Treviri che ci ha contaminati tutti

di Luca Del Pozzo

Se il Novecento è stato definito, e non a caso, il «secolo delle idee assassine», quella marxista-leninista e suoi derivati – di cui è ricorso il 9 novembre il trentesimo anniversario dell’evento simbolo della sua disfatta, ossia il crollo del Muro di Berlino – è stata senza dubbio la più assassina di tutte.

In nome della quale una notte buia, fredda e desolata è scesa per più di settant’anni sulla Russia, e per svariati decenni su altri paesi in Europa e nel mondo, in alcuni dei quali ancora oggi sono al potere governi dichiaratamente marxisti o che comunque si rifanno a quella ideologia.

Ovunque il verbo dell’uomo di Treviri abbia attecchito, per centinaia di milioni di persone ha preso forma e si è materializzato il più mostruoso degli incubi.

Laddove si voleva costruire il mondo nuovo, la società finalmente emancipata dall’ingiustizia e dall’oppressione, la scomparsa delle classi sociali e l’instaurazione di un’epoca di pace e progresso in cui l’uomo sarebbe stato padrone del proprio destino e via utopizzando, una volta che quell’idea è stata tradotta in realtà, coerentemente con l’eterogenesi dei fini di vichiana memoria essa ha partorito l’esatto contrario.

Con conseguenze devastanti che vanno ben oltre il computo, pure impressionan­te, dei milioni di morti. C’è tuttavia un paradosso, in realtà solo apparente, nella parabola storica del marxismo.

Il paradosso è che da un lato non v’è ombra di dubbio che il marxismo, quanto meno a livello politico, abbia fallito (e sul punto giova ricordare quanto ebbe a dire san Giovanni Paolo II – uno che nel crollo dell’impero sovietico una qualche voce in capitolo l’ha avuta, per usare un eufemismo – a proposito della caduta del comunismo: «Il comunismo come sistema – si legge in Varcare la soglia della speranza, il bestseller libro-intervista con Vittorio Messori – è, in un certo senso, caduto da solo. È caduto in conseguenza dei propri errori e abusi. Ha dimostrato di essere una medicina più pericolosa e, all’atto pratico, più dannosa della malattia stessa»); ma per altro verso è altrettanto vero che la “società opulenta” – per usare una felice espressione cara ad Augusto Del Noce – che dagli anni Sessanta del secolo scorso si è andata sviluppando in Occidente, secolarizzata e compiutamente nichilista, altro non è se non la conseguenza del fallimento proprio di quella cultura che volle opporsi al marxismo conservandone il momento materialistico, ed anzi opponendo ad esso un materialismo compiuto (e qui giova sottolineare che nell’affermarsi di questo fenomeno non poca parte di responsabilità ebbe, per Del Noce, il par­tito dei cattolici. La miopia culturale della Dc – il non aver messo a fuoco la vera essenza del marxismo per aver assunto acriticamente la lettura neoilluminista della storia contemporanea – comportò l’errore di voler combattere il marxismo sul suo stesso terreno opponendogli un materialismo “buono”, inteso come benessere diffuso).

Ecco dunque un primo elemento della vittoria postuma, per così dire, del marxismo: il nichilismo della «società opulenta», come conseguenza del fatto che in Occidente è stato portato alle estreme conseguenze l’aspetto materialistico del marxismo, ciò che ha coinciso con la massima diffusione di un libertinismo non più elitario come quello seicentesco, ma di massa.

Un essere indipendente

C’è poi un secondo elemento, un fenomeno se possibile ancor più marcato del libertinismo materialista e ad esso soggiacente nella misura in cui fa tutt’uno con la radice stessa del marxismo, ossia il fatto che l’antropologia marxista domina incontrastata avendo pervaso tutti i gangli della società.

Al punto che oggi, con­sapevoli o no poco cambia, siamo tutti marxisti. Stiamo parlando di una visione dell’uomo, di una prospettiva filosofica prima ancora che economica, rinvenibile in questo frammento dei Manoscritti economico-filosofici del 1844: «Un essere si considera indipendente soltanto quando è padrone di sé, ed è padrone di sé soltanto quando è debitore a se stesso della propria esistenza. Un uomo, che vive della grazia altrui, si considera come un essere dipendente. Ma io vivo completamente della grazia altrui quando sono debitore verso l’altro non soltanto del sostentamento della mia vita, ma anche quando questi ha oltre a ciò creato la mia vita, è la fonte della mia vita; e la mia vita ha necessariamente un tale fondamento fuori di sé, quando non è la mia propria creazione».

Caso mai non fosse sufficientemente chiaro, siamo di fronte alla teorizzazione, meglio alla elevazione a programma di vita di ciò che nella tradizione cattolica va sotto il nome di peccato originale.

Non per nulla san Giovanni Paolo II, nel volume Memoria e identità – per certi aspetti il suo testamento culturale e teologico -parlando delle «ideologie del male» aveva fatto esplicito riferimento al peccato per eccellenza, il peccato originale quale radice ultima del marxismo (e del nazismo), rifacendosi alla definizione datane da sant’Agostino: «Amor sui usque ad conteptum Dei» – amore di sé fino al disprezzo di Dio.

Al fondo del marxismo (e più in generale di buona parte della modernità) c’è un atto di superbia, ciò in cui consiste appunto il peccato originale: il farsi dio di se stessi decidendo da soli ciò che è bene e ciò che è male.

Ora, se si getta uno sguardo anche superficiale alle dinamiche politiche, sociali e di costume dell’ultimo mezzo secolo, dove a partire dal Sessantotto ha progressivamente preso piede una società che, in estrema sintesi, ha fatto dell’Io e delle sue voglie, per dirla con Benedetto XVI, l’unico valore riconosciuto fino alla pretesa di tradurre ogni desiderio in diritto, non è difficile rendersi conto di come l’uomo marxiano tratteggiato nei Manoscritti del 1844 sia oggi più che mai vivo e vegeto. In ciò rappresentando, assieme alla vittoria del materialismo per via capitalista e de­mocratica, il vero trionfo del marxismo.

E si deve sempre a Del Noce, con straordinaria lungimiranza profetica, la più lucida descrizione dell’uomo nuovo che all’epoca, sul finire degli anni ’60, stava nascendo; un uomo volutamente e programmaticamente centrato su se stesso: «All’ascesa a Dio – scriveva il filosofo cattolico – si sostituisce l’idea della conquista del mondo, ovvero l’affermazione del diritto che il singolo soggetto ha sul mondo. Diritto che non ha limiti, perché, chiamato al mondo senza il suo volere, egli sente di aver diritto, quasi a compenso di questa chiamata, a una soddisfazione infinita nel mondo stesso».

Il segreto di Fatima

In un’ottica di fede (l’unica che davvero conti per un cattolico), alla luce degli orrori prodotti dal marxismo e avendo ben chiaro il suo essere stato sul proscenio della storia una tappa decisiva di quel processo di progressiva emancipazione dell’uomo da Dio iniziato con l’umanesimo e sfociato nel razionalismo illuminista, non stupisce che uno dei segreti rivelati dalla Madonna a Fatima – la cui ultima apparizione accadde il 13 ottobre 1917, guarda caso negli stessi giorni in cui divampava la Rivoluzione d’Ottobre – riguardasse proprio la Russia e gli errori che avrebbe sparso nel mondo.

Non la Germania di Hitler e il nazismo, ma la Russia di Lenin (e poi di Stalin) e il marxismo. E si capisce anche perché: a differenza del nazionasocialismo hitleriano, centrato sull’idea di razza e in quanto tale non esportabile al di fuori della Germania, il socialismo reale di stampo marxista ha un afflato universale ponendo al cen­tro del discorso tematiche, appunto, di portata universale quali la lotta contro l’ingiustizia, il riscatto degli oppressi, la fine dello sfruttamento delle classi meno abbienti, ecc., che non solo sono questioni che toccano alcune delle corde più profonde dell’animo umano (chi non vorrebbe vivere in un mondo più giusto?) ma che oltretutto possono apparire – ciò che puntualmente accadde, in Italia con la devastante stagione del cattocomunismo – la traduzione pratica degli ideali evangelici (è nota, ancorché errata, l’interpretazione del marxismo come “eresia cristiana”).

Da qui l'”avvertimento” della Madonna, che purtroppo sarebbe diventato di lì a poco realtà.

Gulag, aborto, famiglia

E giova ricordare che tra gli “errori” diffusi dal socialismo reale – accanto a e oltre quell’inferno sulla terra che è stato il sistema dei Gulag magistralmente descritto, tra gli altri, da V. T. Salamov ne I racconti di Kolyma – si potrebbero menzionare, anche perché spesso e volentieri sottaciuti, la legalizzazione dell’aborto, avvenuta il 16 novembre 1920, che fece della Russia sovietica il primo paese al mondo a dotarsi di una legislazione abortista, e l’introduzione del matrimonio civile, sancita da un decreto del 16 dicembre 1917, quale unica forma di unione valida (il matrimonio religioso fu relegato ad affare privato senza alcun valore legale), che di fatto fu il primo di una lunga serie di provvedimenti aventi come obiettivo la distruzione della famiglia (il decreto introdusse contestualmente la possibilità di divorziare), che nella visione marxista era (ed è) simbolo per eccellenza della tradizione, del vecchio che ostacolava il nuovo, della sovrastruttura religiosa che l’uomo nuovo socialista avrebbe cancellato e superato.

Viene da chiedersi come sia possibile, ora che la verità sugli orrori del comunismo è nota e documentata, che ci sia ancora qualcuno che nel 2019 crede sul serio che il socialismo marxista, seppur riveduto e corretto, possa avere qualcosa da dire.

Ridotto all’osso il refrain è il seguente: sì, il comunismo sovietico è morto e sepolto, ma non è detto che quella sovietica debba essere per forza l’unica forma di realizzazione del marxismo. Si è trattato piuttosto di un esperimento, un tentativo alla fine mal riuscito, che tuttavia non esclude altre opzioni, altre modalità.

Insomma i compagni Lenin e Stalin, fino all’altroieri osannati e inneggiati da mezzo mondo – e in particolare in Italia dove, tra l’altro, il marxismo ha incredibilmente affascinato (e quel che è peggio, a quanto è dato di vedere, con­tinua ad affascinare) non pochi ambienti cattolici dando vita a esperienze ecclesiali, culturali, politiche e sociali che del Vangelo sono una scialba caricatura – avrebbero tradito o male applicato il genuino pensiero dell’uomo di Treviri, la cui eredità resterebbe quindi intatta.

Non è mai stata una eresia cristiana

Anzi, secondo i duri e puri se possibile Marx è più attuale oggi di ieri, con tutti i problemi posti dalla globalizzazione. In primis, per aver accentuato il fenomeno delle disparità sociali, complice l’immancabile famelico capitalismo delle banche e della finanza.

Esiste insomma inalterato il problema della giustizia sociale. Peccato che a chi ragiona in questo modo sembra sfuggire un piccolo dettaglio: se il marxismo ha fallito non è perché è stato male applicato, ma perché non poteva, né può essere la risposta all’ingiustizia sociale. A meno che non si ritenga giusta una società dove sono tutti poveri e morti di fame, come è puntualmente avvenuto laddove il verbo marxista ha attecchito.

Diciamo le cose come stanno: Lenin e Stalin hanno fallito non perché hanno tradito Marx, ma perché l’hanno messo in pratica. Parlando ai suoi discepoli dei falsi profeti Gesù diceva «Dai loro frutti li riconoscerete. Ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo pro­duce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni».

Il vero problema è il marxismo in sé, non le sue applicazioni. Il marxismo non è un sistema di pensiero composto di più parti, di cui se ne possa salvare qualcuna rigettando le altre. Questo è stato storicamente l’errore del catto­comunismo: interpretando sulla scia di Jacques Maritain il marxismo come “eresia cristiana”, il cattocomunismo ha pensato che fosse possibile conciliare Cristo e Marx salvando l’interpreta­zione materialista della storia e rigettando allo stesso tempo la dottrina della lotta di classe.

Ma un’operazione del genere non è possibile, poiché il marxismo veicola una visione integrale dell’uomo e della società, dove ogni concetto è intrinsecamente connesso con la radice di fondo che lo innerva, che è la più micidiale forma di ateismo che mai sia apparsa sulla faccia della terra. In quanto esito ultimo del razionalismo ateo il marxismo non è una semplice “eresia” (ammesso poi che nella Chiesa contemporanea tale concetto abbia ancora un qualche significato), bensì radicale anti-cristianesimo.

Certi discorsi e certi linguaggi

È pur vero che in Marx si riflette la tradizione ebraica del messianismo, ancorché secolarizzato. E che quindi vi sia nel suo pensiero un afflato di tipo religioso. Ma nei confronti del cristianesimo e dell’antropologia che esso veicola, il marxismo ha rappresentato il più radicale attacco che mai sia apparso nella storia del pensiero. Come, appunto, il XX secolo ha ampiamente dimostrato.

Sappiamo cosa è accaduto nei Paesi dell’Est, in Cambogia, nell’ex Unione Sovietica, a Cuba e ovunque il socialismo reale abbia messo radici: povertà diffusa, miseria e terrore (per gli ultimi aggiornamenti pregasi citofonare a Chàvez Hugo, Morales Evo e Maduro Nicolás).

Eppure nel 2019 ancora si odono certi discorsi e certi linguaggi. Non è dato sapere se questa rinascita dell’uomo di Treviri avrà futuro. Il punto da sottolineare è un altro. E cioè la miopia culturale di chi pensa di risolvere i problemi dell’uomo contemporaneo (e sono tanti) con gli strumenti del marxismo, seppur rivisto e corretto. Baffone resti dov’è, che è meglio.