Mori, c’è un’arte che non si ribella al logos. Ed è giovane

La Nuova Bussola quotidiana

11 Dicembre 2019

L’arte moderna e contemporanea sono arti nelle quali si rende sensibile la ribellione contro il Logos. Fortunatamente si sta facendo strada una nuova generazione di artisti che si sono posti l’obiettivo di riportare l’arte al suo significato originario. La Nuova BQ ha intervistato il giovane Francesco Mori.

di Roberto Marchesini

La parola arte (ars, in latino; tèchne in greco) nasce con un significato preciso: indicare il modo «giusto» di fare le cose. Ancora adesso, nell’italiano corrente, ci sono alcune locuzioni che rimandano a questo significato: «Fare le cose a regola d’arte», cioè fare le cose come Dio comanda; «Non avere né arte né parte», cioè non saper fare nulla; «Impara l’arte e mettila da parte»…

Il sottinteso è che ci sia un modo come si deve per fare le cose, un modo che rispetti l’armonia e l’ordine del mondo; il Logos. L’arte greca e romana erano, infatti, arti metafisiche: il loro obiettivo era infatti quello di rappresentare le cose non come sono, ma come dovrebbero essere; come sarebbero se fossero pienamente compiute.

L’arte moderna e contemporanea, invece, sono arti (se così si possono ancora definire) nelle quali si rende sensibile la ribellione contro il Logos. Fortunatamente si sta facendo strada una nuova generazione di artisti che si sono posti l’obiettivo di riportare l’arte al suo significato originario. Tra questi ricordiamo Giovanni Gasparro e Francesco Mori.

Francesco Mori, classe 1975, grossetano, è pittore, incisore, calligrafo e miniatore; il suo riferimento è il celebre (meno di quanto meriti) Pietro Annigoni (1910-1988). Nel 2017 Francesco Mori ha vinto un concorso per la realizzazione di quattro vetrate per il battistero di Pisa; una di queste rappresenta Giovanni Paolo II colpito durante l’attentato del 13 maggio 1981. Il papa, ferito, si aggrappa alla croce, sorretto e protetto dalla Madonna; ai suoi piedi le bandiere nazista e comunista. La Nuova BQ l’ha intervistato

Come è nata l’idea di questa vetrata?

Credo che quest’opera sia davvero ispirata e io ne sia stato il tramite. Ho cercato di non fare cronaca ma teologia della storia, facendo apparire la vicenda sub specie aeternitatis. Quello del 1981 non era solo un attentato: era un episodio che ha rivelato un intervento sovrannaturale, secondo la lettura data dallo stesso Giovanni Paolo II. Inoltre la forza omicida non proveniva da una sola persona, ma da un intero mondo di male che nel ‘900 si era espresso con le sue due principali ideologie, il comunismo e il nazionalsocialismo.

Come le è stato affidato questo incarico?

Sono risultato vincitore di un concorso internazionale bandito dall’Opera Primaziale Pisana per la realizzazione di 4 nuove vetrate per il Battistero del Duomo. I concorrenti provenivano da tutto il mondo. In una prima fase sono stati individuati sette finalisti, tra i quali io sono risultato vincitore. Nella commissione giudicante era presente il vescovo di Pisa, il presidente della Primaziale dottor Pacini, il sovrintendente di Firenze e la direttrice dell’Istituto superiore di restauro di Roma.

La Chiesa svolge quindi ancora il ruolo di committente d’arte?

Si certo. A me pare che la committenza ecclesiastica dovrebbe essere tutt’oggi quella che sponsorizza quanto di più bello e poetico ci offre la produzione artistica a noi contemporanea. Così è stato per secoli e così è naturale che sia. Nelle chiese l’immagine è pubblica, gratuita, fruibile in uno spazio di contemplazione e devozione che ne esaltano la capacità di mediare il sacro, di dare carne al mistero. Purtroppo in molte chiese costruite a partire dagli anni settanta la «via della bellezza» ha lasciato lo spazio ad immagini incapaci di dialogare con l’osservatore e di condurlo alla contemplazione.

Cosa ne pensa dell’attuale mondo delle arti figurative?

Quando si dice: «Vado a vedere una mostra di arte contemporanea» difficilmente si immaginerà di trovarsi davanti alle opere di grandi figurativo quali Ottavio Mazzonis, Pietro Annigoni o Riccardo Tommasi Ferroni (artisti che hanno frequentato i territori legati ai temi del sacro con risultati originalissimo e poetici). La nostra mente correrà quasi per condizionamento a opere astratte o informali, alla videoarte o alla performance; difficilmente penserà a temi sacri. Semmai a opere dissacratorie e, talvolta, blasfeme.

La perdita del riferimento alla natura, intesa sia come apparenza del reale sia come compiuta realizzazione di come le cose dovrebbero essere nell’ordine metafisico, e l’abbandono del divino e soprattutto del cristianesimo, hanno generato mostri che prosperano grazie a lauti finanziamenti e abili critici capaci di sopperire con l’eleganza delle parole alla povertà della forma delle opere. Viviamo una nuova iconoclasta a cui l’arte sacra potrebbe fornire note fuori dal coro.