Unità si, Risorgimento no.

testo dell’intervento di S.E. Mons Luigi Negri, Vescovo di San Marino Montefeltro, al convegno di Alleanza Cattolica che si è svolto a  Roma, il 12  febbraio 2011, presso la Sala della Protomoteca Capitolina sul tema:

1861-2011 Unità e Risorgimento, 150 anni dopo – Le ferite, la speranza

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(trascrizione non rivista dall’autore)

Vorrei ringraziare per questo convegno, per la straordinaria capacità di integrazione che hanno avuto le relazioni del mattino e questi interventi del pomeriggio.  Da parte mia, vorrei individuare delle linee di suggestione per la nostra responsabilità.

Prima osservazione

L’identità italiana è stata curata, educata, maturata dalla Chiesa insieme alle famiglie cristiane. Per secoli, è stata custodita dai padri e dalle madri di famiglia, ai quali il grande Arcivescovo di Milano San Carlo Borromeo, arrivato in una Diocesi devastata (come lo sono oggi molte Diocesi), disse: «O fate voi il catechismo o io non riesco più a farlo».

L’identità italiana è in una storia. La si percepisce, la si incontra, la si vive e anche la si combatte dentro una storia: la storia della inculturazione della fede, nel tessuto culturale, antropologico, etico e sociale di quella che noi chiamiamo Italia pur nella varietà della situazioni e delle condizioni che questa realtà ha vissuto negli ultimi 1.800 anni.

La Chiesa ha formato l’identità attraverso un’opera assolutamente rigorosa e puntuale di educazione. L’identità italiana è la vita di un popolo sia nella ordinarietà della vita quotidiana sia nelle grandi vicende culturali e artistiche. Questa è l’identità italiana: è la vita di un popolo che mangia, beve, veglia e dorme, vive e muore non più per sé stesso ma per Colui che è morto e risorto per noi.

Non c’è niente di paradisiaco: è stato un cammino lungo di educazione che ha dovuto fare i conti con  le differenze etniche, che ha dovuto fare i conti nei secoli centrali della nostra storia con le litigiosità dei piccoli potentati, ancora più gravi delle inimicizie dei grandi potentati. Ma è nato un popolo, un’esperienza storica che gridava la sua bellezza e la sua verità.

Un’ideologia ha preso il posto di questa identità, di questa esperienza storica. Questo è stato il Risorgimento. Se non si capisce la differenza fra un’identità che si vive nella storia e un’ideologia che si impone alla storia e pretende di cambiare la storia, non si capiscono le vicende degli ultimi due secoli in Europa e nel mondo ma certamente non si capisce la vicenda del passaggio dalla situazione tradizionale alla situazione unitaria e risorgimentale.

Una minoranza estremamente ridotta di ideologi, di massoni, di filo protestanti, di borghesi, ha preteso che la sua visione delle cose fosse l’unica visione possibile e che quindi questa dovesse essere imposta. E’ la tragica presunzione di chi sostiene che un’idea giusta possa essere imposta anche con la forza, come aveva già detto Tommaso Hobbes.

Questa sostituzione è stata fatta costi quel che costi. E’ stata fatta con fenomeni di violenza, di manipolazione,  di ingiustizia, di sopraffazione, di disistima, di disprezzo di quella maggioranza informe, di quella maggioranza di cafoni fanatizzati dai preti, dai frati e dalle suore. E’ stata fatta senza nessuno scrupolo.

La Rivoluzione si fa senza scrupoli. Non ci devono essere scrupoli, diceva un grande padre di questa rivoluzione moderno-contemporanea, Nietzsche: la morale fondata sugli scrupoli è una morale dei deboli, degli inerti, dei vili, dei cristiani.

Questa mattina gli interventi ci hanno fatto capire l’importanza della ricerca storica. Non c’è nessuno che possa dire che sulla storia del Risorgimento abbiamo già conosciuto tutto. Non c’è nessuna autorità né civile, Presidente della Repubblica, né religiosa, il Papa, che possa dire: “Avete studiato abbastanza”.  Gli studi devono andare avanti.

Io credo che quello attuale sia un periodo fortunato perché si sta componendo un quadro che è sicuramente più inquietante ma anche più oggettivo che nel passato. Ma io sottolineo quello che ha già detto l’on. Mantovano: ci vuole una purificazione delle memoria. Non si può procedere dando ancora alla vulgata del Risorgimento un carattere di indiscutibilità.

Bisogna ricordare (forse pochi lo sanno) che, per la prima volta nella storia della guerra europea, i Piemontesi hanno combattuto la grande battaglia sul Volturno, quella che pose fine formalmente allo Stato Borbonico, mitragliando e bombardando la popolazione civile inerme, quella che era in fila per prendere il pane, quella che era in fila per prendere l’acqua, quella che era uscita per le strade non immaginando neanche lontanamente quello che sarebbe accaduto.

Un ragazzo inerme e una donna che portava al collo la figlia, per la quale era andata a prendere acqua alla fontana, diventavano un nemico da mitragliare e da uccidere. Il generale piemontese che si macchiò di questo delitto contro l’umanità venne gratificato dal Re d’Italia con il titolo di Duca del Volturno. Si chiamava Cialdini: la sua memoria venga accompagnata da un adeguato disagio.

La sostituzione dell’identità con l’ideologia è avvenuta usando la violenza e tacitando una parte sostanziale della vita del nostro popolo, che  non aveva diritto ad esistere, perché non era prevista la sua presenza all’interno di ciò che caratterizzava l’Unità, che era fatta di strutture centraliste, burocratiche ed amministrative. L’Unità arrivò nel Sud con il prefetto di polizia, il capo dei Carabinieri, la tassa sul macinato, che come si sa è il cibo dei ricchi, e con la coscrizione obbligatoria che fu sopportata solo dai figli dei poveri, perché i figli dei ricchi potevano far andare il sorteggio come sempre vanno i sorteggi in Italia.

Seconda osservazione

La Chiesa Cattolica ha indicato subito i limiti gravissimi di questa operazione ideologica. Ma non ha smesso l’opera di educazione. Nel fondo del cuore di ogni cattolico, nel fondo del cuore delle famiglie cristiane, è continuata incessante questa educazione.

Lasciatemi dire una frase che potrebbe sembrare troppo forte, ma secondo me è verissima. E’ grazie a questa opera educativa, che la Chiesa ha svolto nei confronti delle persone, delle famiglie e dei gruppi ecclesiali, che il popolo italiano ha sopportato le ideologie che l’una dopo l’altra si sono succedute. Ecco perché il cuore del nostro popolo non è stato né con lo Stato unitario né con il fascismo né con l’azionismo né con il marxismo. Ecco perché ha saputo affrontare le condizioni sociali e politiche avverse con molta dignità e  capacità di sacrificio.

Chi ha educato centinaia e migliaia di soldati cristiani a morire sui campi di battaglia in guerre assolutamente assurde come la Prima Guerra Mondiale? Da chi avevano imparato che comunque bisogna servire la Patria. anche se questa aveva un volto non condivisibile? L’avevano imparato dai loro parroci, l’avevano imparato da quei cappellani che stavano accanto a loro, e che sono morti con loro e per loro.

L’avevano imparato dal beato don Gnocchi che ha vissuto la terribile tragedia di quella cosa folle e inimmaginabile che è stata la spedizione italiana in Russia, dove sono partiti in 350.000 e sono tornati in 60.000, sottoposti a situazioni incredibili da un punto di vista fisico e psicologico.

La Chiesa è la struttura più realista che esista nella storia. Continua la sua educazione e mette i suoi figli, quelli che si lasciano educare, in condizioni di vivere la loro presenza cristiana nelle circostanze che possono mutare anche in modo così radicale.

Terza osservazione

Nella serie di queste ideologie così sostanzialmente anti-cristiane e quindi anti-umane (il collegamento tra anti-cristianesimo e anti-umanità mi sembra che sia stato sufficientemente chiarito dal magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI) siamo alla più pervasiva, alla più terribile, anche se è quella che sembra più soffice: la ideologia massmediatica. L’ideologia di quello che è massmediaticamente corretto.

L’ideologia di ciò che è scientifico, nel senso della scienza che pretende di essere il punto di riferimento ultimo di tutti i problemi, dotata di un potere che non conosce un potere superiore a sé. Al contrario, il cristiano non riconosce nessun potere superiore a sé se non quello di Dio e questa è la radice per la vera e autentica libertà di coscienza e di società e questa è la radice del senso dello Stato.

Perché i cristiani sanno che lo Stato è una cosa importante ma non è Dio e lo rimproverano, quando vuole essere Dio: come in passato hanno rimproverato Teodosio,  Federico II di Sassonia, Hitler, Stalin o Mussolini. Diceva il nostro grande Sant’Ambrogio di Milano a Teodosio: «Tu sei una grande cosa, Imperatore, ma sotto il Cielo, e io difendo i diritti del Cielo».

Oggi dominano il relativismo etico, lo scetticismo, l’anticristianesimo di ciò che rimane della cultura razionalista e illuminista, il giustizialismo. Tutto questo fa sì che quello che c’è di autenticamente cristiano si sia andato lentamente riducendo; non si è ancora dissolto, ma in questi ultimi 30-40 anni c’è stato il tentativo di eliminare il popolo cristiano. Di eliminarlo come avvenimento di vita, di presenza. Ecco perché la Chiesa in Italia ha una grande responsabilità. Se non se la assumesse adeguatamente farebbe un delitto innominabile contro la sua identità e quindi contro il Signore Iddio che l’ha costituita nel mondo come presenza viva del mistero di Cristo.

Occorre che la Chiesa ritrovi e viva la sua capacità educativa. Non c’è niente di più importante per la vita della Chiesa ma non c’è niente di più importante per la vita della società. Occorre che si rinnovi l’esperienza di un popolo cristiano che ha coscienza della sua identità, che senta il gusto della ricerca intellettuale vissuta con l’ampiezza della ragione di cui parla Benedetto XVI. Un popolo che senta la sfida del cuore, e la sfida del cuore è la sfida di amare l’altro come sé, non a utilizzare l’altro come oggetto della propria manipolazione psicologica, affettiva o sessuale. L’altro come mistero che porta dentro la mia vita un segno singolare del mistero di Dio.

Occorre un popolo educato a vivere la propria esperienza umana, razionale, affettiva secondo l’ampiezza della misura del cuore di Cristo, come direbbe san Paolo. Allora questo popolo, questa presenza, che certamente non è egemonica da un punto di vista quantitativo e che è certamente contestata sotto il profilo qualitativo, porrà comunque dentro questa società un fattore di novità  positiva che chiama anche le altre realtà, le altre culture, quelle che ancora non si sono lasciate omologare totalmente da questo massmediaticamente corretto, a ritrovare anch’esse le proprie radici e a vivere un dialogo.

Il futuro della democrazia nel nostro paese è affidato alla possibilità di un dialogo, ma un dialogo è l’espressione di identità diverse che coscienti della propria diversità entrano in contatto, si confrontano, magari combattono, individuano certi campi d’azione comune. Questo è il compito della politica, non quello di riproporre gli steccati ideologici ma quello di individuare linee di attuazione di possibili realizzazioni comuni tra posizioni anche diversificate da un punto di vista ideologico e religioso.

La democrazia è imperfetta, l’hanno detto tanti studiosi, una per tutti Hannah Arendt. La democrazia soffre di totalitarismo perché può essere ricondotta ad una pura procedura e questa procedura può coprire tutti i delitti, anche i più innominabili.  Cosa possiamo fare noi cristiani per dare un contributo significativo affinché la nostra identità non sia più soltanto la memoria di un passato? Non sia più soltanto qualcosa che la maggioranza del nostro paese, manipolata dai mezzi della comunicazione sociale, considera quasi come il male assoluto? Come può diventare un fattore del nostro presente per il nostro futuro?

La Chiesa deve tornare ad educare i suoi figli e allora i suoi figli, educati adeguatamente, entrano nel mondo portando nel vivo della loro esistenza la testimonianza di Cristo Via Verità e Vita. E incontreranno molti di più di quelli che noi possiamo pensare: quegli uomini di buona volontà che sono in attesa di un annunzio chiaro, di una certezza sulla quale ritrovare la propria esistenza, un’affezione che accompagni la nostra esistenza nella solitudine della vita, la solitudine di queste masse di individui tele-manipolati che poi vivono la loro esistenza quotidiana in una spaventosa solitudine, che magari comincia nelle famiglie.

Io non so, storicamente parlando, se la Chiesa italiana sarà capace di assumersi fino in fondo questa responsabilità. Ma laddove un Pastore e una realtà ecclesiale si assumono questa responsabilità si genera un fatto ecclesiale e sociale sano, pulito, che lentamente può influire al di là di essa.

Chiunque riceve questa educazione deve portarla lietamente nel mondo: è la cultura della vita, la cultura di un popolo che sa perché vive, sa da dove viene, sa dove va, sa quale è il senso della sua esistenza. E l’alternativa alla cultura della vita è la cultura della morte (come ha affermato Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae).L’alternativa non è tra l’umanità dei figli di Dio e un’umanità ridotta: è fra l’umanità dei figli di Dio e coloro che non avendo conosciuto il Mistero di Cristo sono costretti a vivere come se non fossero neanche nati. Come diceva Sant’Ambrogio, non sarebbe nemmeno valsa la pena di nascere se non fosse per essere stati poi salvati dal Mistero di Cristo.

Grazie.