Scuole parentali cattoliche e libertà di educazione

Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa

25 ottobre 2019  

di Stefano Fontana

In questo intervento cerco di prendere in considerazione la realtà delle scuole parentali cattoliche, collocandole all’interno della visione della educazione cattolica dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa.

Con l’espressione “Scuole parentali cattoliche” intendo riferirmi sia alle scuole parentali sia alle esperienze di homeschooling. Ritengo che per trovare un terreno di comune intesa sia preferibile approfondire andando alle radici del problema piuttosto che ampliare l’estensione in un minimo comun denominatore debole nei contenuti.

L’educazione nella Dottrina sociale della Chiesa

La Chiesa cattolica si è sempre occupata di educazione, non solo di educazione religiosa e morale, ma anche di educazione ed istruzione civile. Innumerevoli ed eroiche le iniziative in questo campo di ordini religiosi, missionari, sacerdoti e, in generale, del popolo cattolico.

Per usare le parole della Divini illius Magistri (1929) di Pio XI, la Chiesa “ha in tutti i secoli creato e promosso una moltitudine ingente di scuole e istituzioni in ogni ramo del sapere … fin da quel lontano medioevo, nel quale erano così numerosi i monasteri, i conventi, le chiese, le collegiate, i capitoli cattedrali e non cattedrali, presso ognuna di queste istituzioni era un focolare scolastico, un focolare di istruzione e di educazione cristiana” [1].

Il motivo di questo impegno educativo della Chiesa è che essa esercita nei confronti di tutti gli uomini una “maternità soprannaturale”. [2] La sopra-natura esercita una sua maternità nei confronti della natura umana, aiutandola a perseguire il proprio fine ultimo, quello sopra-naturale, e così facendo, la aiuta anche a sviluppare adeguatamente le proprie stesse doti naturali, che vengono purificate.

Come una mamma esercita verso i figli la sua maternità educativa come prosecuzione e compimento di quella procreativa, così la Chiesa educa gli uomini alla vita sopra-naturale e al loro fine ultimo che è Dio [3] come elevazione della loro creazione naturale.

La sopra-natura è compimento finalistico della natura, non nel senso che nella natura ci sia un diritto alla sopra-natura [4], bensì una predisposizione o, se vogliamo, una attesa [5]. L’aiuto salvifico della sopra-natura è gratuito, ma non si sovrappone alla natura già realizzata come tale, come un secondo scalino si aggiunge al primo scalino, bensì risponde gratuitamente ad una sua predisposizione ontologica ad accoglierla, educandola ad una nuova vita.

Come la mamma, tramite l’educazione cristiana, genera una seconda volta il proprio bambino, così la Chiesa crea una seconda volta l’uomo, tramite la vita di grazia e l’educazione cristiana, con le quali ri-capitola la stessa vita naturale. La Chiesa ha sempre condannato il naturalismo sia politico [6]che educativo [7].

Nascono da qui i due doveri/diritti originari dell’educazione, quello della Chiesa e quello della mamma, vale a dire dei genitori: “i genitori hanno dalla natura il diritto di educare coloro che hanno procreato, con il conseguente dovere che la loro educazione corrisponda alla grazia di aver avuto dei figli in dono da Dio.

È dunque necessario che i genitori, reagendo, si sforzino di respingere in questo campo ogni intromissione ingiuriosa e rivendichino il diritto di educare come conviene i figli al costume cristiano, specialmente tenendoli lontani da quelle scuole nelle quali corrono il pericolo di assorbire il veleno dell’empietà”.[8] Il dovere/diritto della Chiesa è di origine soprannaturale, in quanto istituito direttamente da Dio.

Per questo è originario e fondativo. Il dovere/diritto dei genitori è naturale, ma col battesimo e il sacramento del matrimonio diventa sopra-naturale anch’esso, per partecipazione al dovere/diritto della Chiesa. I due doveri/diritti – quello della Chiesa e quello dei genitori – non sono sullo stesso piano: sono ambedue originari e non derivati da altro, ma quello della Chiesa fonda ultimamente anche quello dei genitori, perché la natura ha bisogno della sopra-natura anche per essere natura [9].

Quando lungo la storia viene meno la consapevolezza del compito pubblico della Chiesa di educare, ossia del suo dovere/diritto alla “maternità soprannaturale”, viene progressivamente meno anche la consapevolezza del dovere dei genitori ad educare i propri figli, non solo per quanto riguarda il fine soprannaturale dell’educazione, ma anche a proposito dei fini di ordine naturale.

Oggi molti genitori si dimostrano incapaci non solo di educare i figli nel primo senso, ma anche nel percepire le più semplici dinamiche dell’educazione nell’ordine naturale delle cose. Rivendicare il dovere/diritto dei genitori di educare i propri figli senza rivendicare pubblicamente il dovere/diritto della Chiesa, pur essendo corretto dal punto di vita di un diritto naturale che con ciò ha già però fatto la scelta del naturalismo, non raggiunge il fondo del problema: il dovere diritto dei genitori rimane debole e soggetto ad involuzioni di senso.

Spesso oggi la rivendicazione del diritto dei genitori ad educare i figli viene inteso nel senso dell’esercizio della libertà di scelta, disancorata da doveri oggettivi e precedenti. Se il motivo per cui i genitori rifiutano l’educazione gender fosse solo il loro diritto soggettivo, allora dovremmo legittimare l’educazione gender se i genitori la chiedessero.

Queste osservazioni gettano una luce particolare sul fenomeno della “secolarizzazione dell’educazione” [10] in corso da molti secoli ed oggi ampiamente accolta anche nella Chiesa. Espulsa la Chiesa dalla pubblica educazione e negato che essa sia “indipendente da qualsiasi potestà terrena, come nell’origine così nell’esercizio della sua missione educativa” [11], dall’educazione vengono espulsi anche i genitori.

Per questa via non si giungerà – come molti dicono – ad una educazione naturale, razionale, semplicemente umana senza la dimensione religiosa, ma nascerà un altro Grande Educatore, il Mondo, che educherà anche i genitori e non solo i figli ad una religione disumana.

L’uomo non si identifica immediatamente col cristiano, ma tolto nell’uomo il cristiano non rimarrà nemmeno l’uomo.Il dovere/diritto della Chiesa ad educare tutti gli uomini riguarda prima di tutto la vita di fede e la morale, ma di riflesso, in quanto adatti o non adatti alla verità religiosa e morale, riguarda anche indirettamente tutti gli ambiti del sapere e dell’attività umana, fatte le debite distinzioni.

L’educazione cristiana è anche una educazione civile e non può non farsi cultura e civiltà. L’educazione cristiana non può non tendere a produrre una civiltà cristiana [12], perché la Chiesa è corpo nella storia e come tale deve farsi cultura [13].

Il magistero sociale ha sempre avuto la consapevolezza, bene espressa dalla Quadragesimo anno (1931) di Pio XI, che “il deposito della Verità a noi commesso da Cristo e il dovere gravissimo impostoci di divulgare e d’interpretare tutta la legge morale ed anche di esigerne l’osservanza, sottopongono ed assoggettano al supremo Nostro giudizio tanto l’ordine sociale quanto l’economico.” [14]

Ciò non significa che i vari ambiti del sapere e del fare perdano la propria legittima autonomia [15], dato che la sopra-natura non elimina la natura ma la perfeziona. Non significa, per esempio, che la filosofia debba diventare fede, ma significa che la filosofia che non si raccorda con la fede finisce anche per perdere i contatti con la realtà..

Non significa che un ateo non possa conseguire il premio Nobel nel suo campo di ricerca, ma vuol dire che se quella ricerca non si collega con la morale e la fede, rischierà di produrre danni anziché benefici all’umanità.

Non significa che i non–credenti non possano avere una moralità elevata ed esemplare, ma che “una società nella quale Dio è assente non trova il consenso necessario sui valori morali e la forza per vivere secondo il modello di questi valori, anche contro i propri interessi”.[16]

Il punto appena toccato spiega perché è lecito parlare di educazione nell’ambito della Dottrina sociale della Chiesa. Quest’ultima è un sapere che si colloca nel punto in cui la Chiesa si interfaccia con il mondo [17], il punto in cui la sopra-natura si interfaccia con la natura.

La Dottrina sociale della Chiesa è quindi anche essa espressione di “maternità soprannaturale” ed infatti appartiene alla missione stessa della Chiesa [18] ed è strumento di evangelizzazione [19].

Essa non può svolgere il proprio compito se non si fa anche educazione e se non costruisce la vita sociale e politica in modo da permettere ai due agenti originari dell’educazione, ossia la Chiesa e i genitori, di svolgere convenientemente e armonicamente il loro compito. Poiché anche, come appena ricordato, il cattolicesimo non può non farsi civiltà, ecco che il tema dell’educazione ha le proprie ripercussioni su tutta la vita sociale e politica.

Per questi motivi non è improprio collocare l’educazione e la scuola dentro il quadro della Dottrina sociale della Chiesa.Chiesa e genitori non sono tuttavia gli unici soggetti aventi un dovere/diritto di educare. Anche la comunità politica (civitas, koinonia politiké) lo ha.

La famiglia è la prima società naturale, avente una propria autorità e propri doveri e diritti antecedenti rispetto alla comunità politica [20], ma anche la comunità politica ha una sua originarietà naturale, dato che ha la caratteristica dell’autosufficienza [21], possiede cioè tutti gli strumenti per conseguire il fine naturale umano, vale a dire il bene comune.

La comunità politica ha quindi un proprio dovere/diritto ad educare, che essa però deve esercitare nel rispetto del dovere/diritto assolutamente originario e fondante della Chiesa e del dovere/diritto naturale dei genitori. Possiamo dire che il compito educativo della comunità politica ha una sua legittima autonomia, ma non è fondativo né originario, ma è complementare e sussidiario.

Ho adoperato l’espressione “comunità politica” e non Stato, perché in rapporto allo Stato la questione educativa si complica per due motivi. Ad un certo punto della storia, lo Stato, da strumento a servizio della comunità politica ha preteso di esserne il fondamento.

Per fare questo doveva negare l’esistenza di una comunità politica ad esso precedente, dato che in questo caso essa sarebbe stata anche normativa per esso. Il regime ha avuto così il primato assoluto sulla comunità [22]. Come efficacemente dice Carl Schmitt di Thomas Hobbes [23], lo Stato diventa così “Dio-uomo-animale-macchina” nello stesso tempo.

Questo Stato non può non concentrare in sé tutta l’educazione del cittadino. Non si deve però pensare che così sia solo negli Stati assoluti o totalitari. Ciò avviene anche negli Stati liberali e parlamentari, perché è inevitabile il passaggio dallo Stato neutro rispetti a principi e valori.

Lo Stato moderno assoluto e lo Stato moderno liberale e democratico hanno ambedue eliminato la comunità politica come proprio antecedente normativo e quindi ambedue pongono in se stessi la ragione assoluta del proprio operato. Né l’uno né l’altro commetteranno mai ingiustizia [24], il che è il principio tirannico. Oggi la tirannia dello Stato liberale si esercita prima di tutto nella scuola.

Presupposti e caratteri della Scuola parentale cattolica

Dalle osservazioni generali fatte finora, possiamo trarre alcuni punti qualificanti ciò che la scuola parentale cattolica è e non è. Dato il lungo inquadramento, ora possiamo procedere velocemente.

Nel concreto, chi si impegna nella scuola parentale lo fa con varie motivazioni anche contingenti. Dobbiamo però recuperare le motivazioni ultime, che riguardano la salvezza dell’uomo, ossia il suo fine ultimo e questo richiede di postulare la signora di Cristo e la “maternità soprannaturale” della Chiesa.

Attraverso l’opera dei genitori e delle scuole parentali è la Chiesa stessa che ribadisce e riacquista il suo compito fondante ed ultimo nell’educazione. La scuola parentale deve sentirsi sempre a servizio della Chiesa, anche se opera in situazione di autonomia gestionale ed operativa o se addirittura avviene nelle mura domestiche.

E questo anche se la Chiesa non ne volesse sentire parlare, come sembra la effettiva realtà di oggi. Attraverso l’esercizio del dovere/diritto dei genitori, la Chiesa ripropone il proprio dovere/diritto pubblico e fondativo ad educare.

La scuola parentale rivendica la libertà di educazione, ma non la intente come un insieme di diritti soggettivi [25], bensì come espressione del diritto naturale e divino, oggettivo ed universale. In ciò sta il suo suolo pubblico, compreso il diritto che leggi adeguate ne contemplino il valore in ordine al bene comune. Se si trattasse solo di diritti soggettivi dei genitori il tutto verrebbe rinchiuso nel privato.

Non è nemmeno sufficiente appellarsi al principio di sussidiarietà [26] per rivendicare il dovere/diritto alla scuola parentale. Bisognerà invece specificare che la sussidiarietà è un ordinamento della comunità politica nel rispetto delle finalità naturali oggettive dei singoli livelli.

Non è la sussidiarietà liberale che chiede spazi per fare ciò che si vuole, è la sussidiarietà della Dottrina sociale della Chiesa che chiede il riconoscimento di diritti per poter assolvere a dei doveri inscritti finalisticamente nella realtà delle cose.

Sul piano empirico spesso oggi le scuole parentali nascono contro la scuola pubblica e contro lo Stato. Non c’è dubbio, come ho già detto sopra, che lo Stato oggi impone una diseducazione che suscita legittime reazioni e che la pubblica istruzione impone il male come un dovere.

Questo risulta evidente da quando lo Stato ha assunto come diritti dell’uomo pratiche contro la vita e la famiglia e quindi contro l’uomo e, considerandoli diritti, li difende e li insegna nelle sue scuole. Su questo le scuole parentali non possono transigere e devono contrapporsi.

Tuttavia non devono perdere una dimensione civica, politica, con riferimento non allo Stato moderno, di cui sopra abbiamo richiamato le deformazioni, ma in riferimento alla civitas, alla polis, comunità politica, sentendo di avere non una missione privata o di piccolo ambito ma propriamente pubblica e ampiamente sociale.

Se le scuole parentali si finalizzano a soddisfare interessi privati, anche se legittimi, non avranno il respiro necessario. La mamma che fa homeschooling deve avere la consapevolezza di svolgere, pur tra le mura di casa, un ruolo pubblico. Per questo la formazione continua di tutti i soggetti delle scuole parentali è assolutamente necessaria.

Ultima osservazione di carattere epistemologico. Insegnare, a qualsiasi livello, significa misurarsi con il quadro del sapere in corretto rapporto tra fede e ragione [27]. Non si insegna mai delle cose settoriali, perché tutto si tiene. Ora, le discipline non possono essere solo accostate le une alle altre, né solo collegate per via di una interdisciplinarità priva di un quadro di senso.

La scuola parentale cattolica ha bisogno di educare ed insegnare in un quadro disciplinare ordinato dentro il quale deve starci anche la fede, da intendersi anche come conoscenza [28]. Ogni insegnante deve conoscere la propria disciplina, ma deve conoscere anche il quadro completo del sapere in cui il suo insegnamento si inserisce e deve sapere cosa ha a che fare il suo insegnamento con la fede [29], dal punto di vista epistemologico e non solo da quello della sua esistenza personale.

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[1] Pio XI, Lett. Enc. Divini illius Magistri, in Enchiridio delle Encicliche – 5, EDB, Bologna 1995, p.p. 547, 549.

[2] Ivi, p. 453. [3]S. Th. I-II, q. 2, a. 8

[4] Questo pericolo era presente nella “svolta” circa i rapporti tra natura e soprannatura determinata dal libro Surnaturel (1946) di Henri de Lubac, tentativoto denunciato da Pio XII nell’enciclica Humani generis (1950). Si apriva così la lunga discussione sulla “natura pura”, ossia sulla possibilità di una natura senza la grazia. Per una valutazione teologica cfr., Card. G. Siri, Getsemani, Fraternità della Santissima Vergine Maria, Roma 1987. Per una presentazione della complessa querelle cfr. F. Gianfreda, Il dibattito sulla natura pura tra H. de Lubac e Karl Rahner, Pizzini Editore, Verrucchio (Rn) 2007. La corretta impostazione dottrinale del problema è esposta in M. Gagliardi, La verità è sintetica. Teologia dogmatica cattolica, Cantagalli, Siena 2017, pp. 334-339.

[5] Cfr. S. Fontana, Parola e comunità politica. Saggio su vocazione e attesa, Cantagalli, Siena 2010.

[6] Cfr. M. Liberatore, Il naturalismo politico, introduzione e cura di G. Turco, Ripostes, Giffoni Valle Piana 2016.

[7] L’esempio più classico di naturalismo educativo è l’Emilio di J.J. Rousseau.

[8] Leone XIII, Lett. Enc., Sapientiae christianae (1890), in Enchiridion delle Encicliche cit., p. 573.

[9] “Benché poi questo divino rinnovamento, che abbiamo detto, riguardasse principalmente e direttamente gli uomini costituiti nell’ordine della grazia soprannaturale, tuttavia i preziosi e salutari frutti della medesima ridondarono largamente anche nell’ordine naturale” (Leone XIII; Lett. Enc., Arcanum divinae sapientiae, in Enchiridion delle Encicliche cit., p. 97.) Bisogna ricordare “l’effettiva realtà della divina rivelazione per la conoscenza di verità morali anche di ordine naturale” (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Veritatis splendor, n. 36).

[10] Cfr. S. Fontana, Chiesa gnostica e secolarizzazione, Fede & Cultura, Verona 2019, soprattutto pp. 42-56.

[11] Pio XI, Lett. Enc. Divini illius Magistri cit., p. 453.

[12] Cfr. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 31 sul “reciproco appello tra il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell’uomo”.

[13] “…la fede stessa è cultura. Essa non esiste nuda, come mera religione” (J. Ratzinger, Fede verità tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p. 71); “la Chiesa per il credente è un autentico soggetto culturale” (Ivi, p. 72); “Cristo rimane uomo per l’eternità, mantiene un corpo in eterno; essere uomo ed essere corpo però implicano storia e cultura, questa storia del tutto particolare, con la sua cultura, ci piaccia o no” (Ivi, p. 74).

[14] Pio XI, Lett. Enc. Quadragesimo anno, (n. 41).

[15] Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 36.

[16] Benedetto XVI, Discorso di inaugurazione della VI Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi, 13 maggio 2007. Il concetto è ripreso in Id., Lett. Enc. Spe salvi, n. 36.

[17] Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus caritas est, n. 48.

[18] Giovanni Paolo II. Lett. Enc. Centesimus annus, n. 5.

[19] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Sollicitudo rei socialis, n. 41; Id., Lett. Enc. Centesimus annus, n. 55.

[20] Leone XIII, Lett. Enc. Rerum novarum, n. 10.

[21] “La famiglia è più autosufficiente dell’individuo, lo Stato più della famiglia e uno Stato vuol essere veramente tale quando la comunità dei suoi componenti arriva ad essere ormai autosufficiente” (Aristotele, Politica, 1261 b, 11-14); “Per Stato intendiamo, volendo parlare in maniera generale, un numero di tali persone sufficiente ad assicurare indipendenza di vita” (Ivi, 1275 b, 21-23).

[22] Prendo i due termini da F. Gentile, Intelligenza politica e ragion di Stato, Giuffré, Milano 1984. [23] Cfr. G. Crepaldi, La civiltà della vita e le leggi che la minacciano [https://www.vanthuanobservatory.org/ita/la-civilta-della-vita-e-le-leggi-che-la-minacciano/].

[24] La maggioranza “non commetterà mai ingiustizia ma trasformerà ogni sua azione in diritto e legalità” (C. Schmitt, Legalità e legittimità, introduzione di C. Galli, Il Mulino, Bologna 2018, p. 62).

[25] Cfr. AA.VV., Il diritto e i diritti. Il senso della legge e le leggi senza senso, a cura di S. Fontana, Fede & Cultura, Verona 2019.

[26] Cfr. AA.VV:, La chiave della questione sociale. Bene comune e sussidiarietà: storia di un equivoco, a cura di S. Fontana, Fede & Cultura, Verona 2018.

[27] “L’uomo è capace di giungere ad una visione unitaria ed organica del sapere. Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico nel prossimo millennio dell’era cristiana. La settorialità del sapere, in quanto comporta un approccio parziale alla verità con la conseguente frammentazione del senso, impedisce l’unità interiore dell’uomo contemporaneo. Come potrebbe la Chiesa non preoccuparsene?” (Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 85).

[28] La fede nella rivelazione è una “nuova fonte di conoscenza” (Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 98) ed anche un sapere pratico che orienta a determinate soluzioni (Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n.43).

[29] Cfr. S. Fontana, La scuola italiana e la laicità epistemologica, in AA.VV., Educazione e libertà, Cantagalli, Siena 2009, pp. 127-132. Sul rapporto della fede e le altre discipline, in questo caso con la bioetica ma il discorso può essere fatto più generale, si veda: S. Fontana, Le pretese della visione cattolica e le due bioetiche, in “Bioetica. Rivista interdisciplinare”, nn. 3-4 (2010), pp. 615-621.