Ineguaglianze giuste e necessarie

Tradizione Famiglia Proprietà n. 83 Ottobre 2019

(Testo tratto da varie conferenze di Plinio Corrêa de Oliveira. Traduzione di Diego Zoia)

Un richiamo a una verità dimenticata: l’ideale cattolico di una società fraterna, perché armoniosamente gerarchica

di Plinio Corrêa de Oliveira

1. UN MOVIMENTO LENTO E CONTINUO VERSO L’UGUAGLIANZA SOCIALE

Non v’è, per così dire, alcuna trasformazione che non produca, che non favorisca, direttamente o no, l’incamminarsi della società verso uno stato di cose completamente egalitario.

Ciascuno di noi è testimone di molteplici accadimenti, fra loro non connessi, che apportano piccole modifiche nella vita quotidiana, ogni volta in senso sempre più egalitario.

Così è, ad esempio, nelle relazioni fra professori e allievi. Non molto tempo fa, il rispetto dovuto all’insegnante si manifestava in diversi modi: ci si alzava in piedi quando entravano in classe; nessuno avrebbe tenuto in testa un cappello in sua presenza, né si sarebbe permesso di rivolgersi a lui grossolanamente.

Un liceo nel 1950 e oggi

L’ineguaglianza fra professore e allievi è un’ineguaglianza giusta e necessaria, che cominciò a sminuire dopo il maggio del 1968. Poco alla volta, l’autorità del maestro andò scomparendo, cercando d’essere per i più nient’altro che un simpatico compagnone, allo stesso livello degli altri; e l’allievo, per la maggior parte del tempo, non ricerca che il proprio divertimento. Tuttavia tali cambiamenti si son realizzati gradualmente, e i più non si son resi conto che l’insegnamento ha subito un radicale mutamento. Lo stesso si può affermare delle regole di cortesia e del savoir-vivre.

Sì, un giovane deve alzarsi, sui mezzi pubblici, e cedere il posto a una persona più anziana, nello stesso modo in cui un uomo cede il passo a una signora, o le apre una porta. Tali segni d’educazione, che giorno dopo giorno divengono sempre più rari, attestano in tal modo delle ineguaglianze, giuste e necessarie. Ma come l’abbandono dei modi cortesi avviene poco a poco, così questo moto è impalpabile; e ce ne si accorgerà, con sorpresa, quando si sarà giunti a certi estremi.

Orbene, è in ogni aspetto dell’esistenza che s’introducono tali cambiamenti, sempre con l’intento di livellare e d’abolire utili segni di preminenza o di superiorità.

L’assommarsi di tali mutamenti forma una rivoluzione, che tuttavia procede per lo più inavvertitamente, poiché per ciascuna di queste piccole trasformazioni si riesce a trovare una puntuale giustificazione. Questa rivoluzione egalitaria non esplode come una bomba: è invece impalpabile, quasi fosse un anestetico sprigionato nell’aria.

Come si potrà osservare, l’egalitarismo s’insinua in ambiti come gli aspetti esteriori dell’esistenza, come il modo di comportarsi in società, o ancora nel campo dell’economia, della politica, della religione, delle relazioni internazionali, della cultura, e addirittura nel rapporto stesso fra gli uomini e Dio: al punto che, senza dubbio, l’aspetto più notevole della nostra epoca sembra essere l’esito d’una vasta rivoluzione, che orienta a proprio vantaggio il corso degli eventi in un lungo processo (talvolta graduale e sottile, talvolta dichiarato e brutale) con la pretesa d’instaurare nel mondo l’eguaglianza totale.

Quest’immenso movimento, che è in marcia da molti secoli, genera un potente flusso che avanza senza fermarsi, alternando mulinelli lenti e profondi, sbalzi bruschi e rapidi e passaggi di calma apparente

Qualche esempio dell’avanzata  del movimento egalitario universale

Negli aspetti esteriori dell’esistenza, si nota la tendenza a sfumare la naturale differenza fra i sessi. I modelli maschi che sfilano nelle passarelle della moda sono sempre più spesso androgini, giungendo all’estremo punto che un uomo alquanto effeminato presenti collezioni d’abiti da sposa. Contemporaneamente, si assiste sia alla svalutazione, sia alla devianza che all’inversione dell’immagine della virilità.

Quanto alle donne, è da quasi un secolo che han tagliato i loro capelli «alla maschietto», incamminandosi su di un percorso che le ha condotte, al giorno d’oggi, ad abbigliarsi quasi fossero uomini, nel nome di una falsa «liberazione», rinunciando così a eleganza, charme e alla delicatezza femminile. Ed è proclamando il loro erroneo concetto di uguaglianza che i gruppi di pressione ideologica, facendo proselitismo dell’omosessualità, cercano da svariati anni d’imporre il riconoscimento sociale delle loro pratiche.

Per altro, la differenza fra le età, lungi dall’essere riaffermata, viene il più possibile ridotta. L’ideale di padre alla moda è quello d’essere «il miglior amico» dei suoi figli. Dei nonni alla moda, poi, non esiteranno affatto a vestirsi come degli adolescenti, e a comportarsi con la stessa spontaneità dei loro immaturi nipoti.

Nel frattempo, negli aspetti esteriori dell’esistenza, si può constatare come le automobili si assomiglino tutte, confondendosi in una banale monocromia. Le costruzioni moderne, in ogni dove, sono pressoché identiche: non v’è nulla di più tristemente somigliante di una sfilza d’immobili di una periferia di qualsiasi città in qualsiasi contrada del mondo. I grattacieli di uffici, perfino quelli più stravaganti, non consentono affatto di distinguere se ci si trova a Parigi, a Boston, a Shangai o a Buenos Aires; tutte le zone commerciali moderne si assomigliano, e non solo in tutte le regioni di un solo paese, ma a tutte le latitudini, contrariamente ai negozi tradizionali dei centro città.

Nei comportamenti sociali gli esempi dell’avanzata del movimento egalitario universale sono innumerevoli. La crescente perdita della cortesia, dei bei modi, sostituiti da una spontaneità volgare e aggressiva, lascia giustamente inquieti. Nell’educazione scolastica, l’eliminazione delle distinzioni e dei segni di rispetto fra discente e docente, concorrono nel formare generazioni d’ignoranti; si aggiunga a ciò l’esagerata esaltazione dello sport e delle prodezze fisiche, e il progressivo disprezzo per le attività connesse a riflessione e intelletto.

Così la naturale gerarchia della superiorità del lavoro intellettuale su quello meccanico scompare per il superamento della distinzione fra l’uno e l’altro. E già basta evocare tale gerarchia, fino a ieri ancora del tutto evidente, per far drizzare le orecchie a molti.

Non è nemmeno trascorso un secolo dacché la società si caratterizzava con l’essere un insieme di famiglie armoniosamente diversificate: oggi, la norma è l’individualismo. Mai tanti essere umani hanno abitato tutti soli: al posto d’una gerarchia di famiglie articolata in gruppi sociali così da formare un quadro variopinto e armonioso, v’è un grigio affollamento d’individui indifferenziati, l’uno accanto all’altro come i granelli di sabbia su una spiaggia, con l’unica aspirazione d’essere rigorosamente identici ai loro vicini e di confondersi nella massa amorfa.

Di più: il movimento egalitario tende alla soppressione delle differenti classi sociali. Contadini, artigiani, operai, impiegati, domestici, funzionari, militari, persone modeste, media e alta borghesia, nobili e aristocrazia ereditaria, tutto deve essere passato al frullatore: in particolare, si è perseguita l’abolizione sistematica di qualsivoglia influenza aristocratica e nobiliare nella vita della società e – più in generale – nello stile che questa classe dettava a cultura e costumi.

In campo economico, si avanza passo dopo passo verso l’idea comunista per cui la proprietà è un furto. Per questo, occorrerà «punire» i ricchi; non si dovranno guadagnare «troppi» soldi. Chi possiede un patrimonio, non dovrà metterlo più in mostra, e sarà malvisto chi ha dei domestici. Anche le automobili di lusso dovranno sempre più assomigliare a veicoli più modesti. Si dovrà rinunciare a ricercare l’eccellenza anche negli oggetti che ci circondano; parimenti, anche l’alta gastronomia dovrà indirizzarsi a uno stile affatto minimale e a un aspetto irriconoscibile.

Molti trovano normale che la maggior parte del reddito privato debba essere confiscato dallo Stato per essere dunque mal gestito «per la collettività».

Eredità per lasciti testamentari, che sono il modo di trasmettere, all’interno di una famiglia non solamente un patrimonio materiale, ma vieppiù una storia, un’identità, una personalità propria – in una parola, una tradizione senza cui andrebbe a perdersi la civiltà – soprattutto, negli aspetti più consistenti e significativi, sono divorati da uno Stato insaziabile. Malauguratamente, un gran numero di cattolici si è lasciato intossicare da codesta ideologia egalitaria contraria alla proprietà.

In campo politico, si smorza sempre più la naturale distinzione tra governanti r governati. La maniacale ossessione di coloro che oggi occupano le più importanti cariche di sembrare «normali», e il comportarsi sempre come se fossero dei volgari zotici, non ha corrispondenza alcuna  se non con la rabbiosa volontà dei sudditi, volta sistematicamente a sminuirli dalle loro funzioni. Tutto il contrario della disposizione di spirito anticamente espressa dall’aforisma «noblesse oblige».

vescovi svizzeri nel 2018

Nemmeno sfugge al progressivo cambiamento egalitarista la sfera religiosa. La distinzione e la gerarchia, essenziale tra clero e fedeli, vengono sconfessate. I preti si vestono come dei civili, e i laici – prime fra tutti, le donne – s’arrogano il servizio all’Altare. La pompa, i paramenti sacri, l’architettura e l’arte raffinata vengono rifiutati e rimpiazzati da qualcosa che rasenta la miseria nei tessuti, nella grossolanità, nelle forme spoglie fino a certe statue orripilanti. Il Primato Pontificio e la potestà petrina sono contestati; le distinzioni gerarchiche interne al clero vengono rarefatte. Considerare su un medesimo livello tutte le religioni diventa obbligatorio, e la Chiesa cattolica non deve più presentarsi come l’unica vera religione: sarebbe antipatico.

Parallelamente, si potrà convenire come in tutto il mondo le uniformi degli uomini d’arme e d’ordine vanno mutando unicamente verso la funzionalità – quasi fossero tute da lavoro – col relativo abbandono degli ornamenti e del taglio che conferivano prestigio alle loro persone: il primo accessorio che dava una nota d’autorità, il copricapo, dalle sue tradizionali e caratteristiche fogge è spesso tralasciato per calzare qualcosa che è in tutto e per tutto un berretto da spiaggia. L’uniforme è un evidente testimonianza di una ineguaglianza giusta e necessaria che il movimento egalitarista vuol dissolvere.

A livello internazionale, si vagheggia di fondere in uno i popoli e gli stati, così da far scomparire le legittime caratteristiche e le differenze d’ogni nazione, con lo scopo di annientarne a poco a poco la sovranità. E quanto mai opportuno rimarcare che la sovranità è, secondo il Diritto pubblico, immagine della proprietà. La marcia forzata verso l’integrazione europea è un triste esempio di cotal movimento che tende all’egalitarismo mondiale.

In tal senso, una constatazione che potrà anche apparire aneddotica, senza pur esserlo, è il decadimento del ruolo degli ambasciatori nelle relazioni internazionali, in concomitanza col declino delle sovranità. L’ambasciatore, uomo di palazzo e di rappresentanza, fine conoscitore delle mentalità del paese ove si trova, e di rapporti di forze politiche talvolta complesse, vede oggigiorno la sua nobile carica ridotta a una mera comparsa ornamentale: a sua volta, nel pensiero comune, l’attaché commerciale o il capo dei servizi segreti rivestono maggior importanza.

Nel mondo della cultura, poi, gli esempi di questa avanzata del movimento egalitario sono i più numerosi, e tutti hanno come comun denominatore l’obiettivo dell’abolizione della differenza fra il bello e il brutto nelle opere e produzioni artistiche.

Egalitarismo e odio verso Dio

Gli stessi rapporti fra gli uomini e Dio non sfuggono a tale cambiamento livellatore. La mentalità moderna è infatti profondamente influenzata dal panteismo, dall’immanentismo e da tutte le forme esoteriche di religione che tendono a stabilire fra Dio e gli uomini rapporti d’uguaglianza, e a divinizzare l’umanità.

L’ateo è un egalitarista che vuol evitare l’assurda affermazione per cui l’uomo è Dio, e che ammette perciò un’altra assurdità, ossia l’inesistenza di Dio.

Il laicismo è a sua volta una forma d’ateismo, e conseguentemente, di egalitarismo: proclamando che nell’impossibilità di certificare l’esistenza di Dio, l’uomo deve agire – in ambito temporale – come se Dio non esistesse, ovvero come se Dio fosse un monarca detronizzato.

San Tommaso d’Aquino insegna che la diversità delle creature e la loro mirabile disposizione gerarchica sono in sé un bene, perché in tal modo le perfezioni del Creatore potessero così risplendere al meglio nel Creato. L’Aquinate poi aggiunge come sia fra gli angeli, sia fra gli uomini, tanto nel Paradiso terrestre, come su questa terra d’esilio, la Provvidenza abbia istituito l’ineguaglianza: infatti, un universo di creature eguali eliminerebbe in ogni modo la somiglianza delle creature col loro Creatore.

L’odio ideologico per qualsivoglia specie di ineguaglianza conduce dunque a opporsi metafisicamente ai migliori elementi di somiglianza fra il Creatore e la creazione: è odio verso Dio.

Tutti questi esempi d’avanzata del movimento egalitario, in ogni campo e in ogni dove, possono indubbiamente suscitarne altri similari nella mente di ciascun lettore. Si potrà disquisire se questa o codesta modifica possa trovare una sua giustificazione – ad esempio nella correzione di un abuso evidente, o se quell’altra possa essere un’accettabile novità: ma non ci si stupirà affatto se le soluzioni proposte ai moderni problemi siano tutte in senso egalitaristico. Un’uniformità che non è affatto naturale; è un modo per forzare la realtà e dar corpo a un sogno. L’uguaglianza è l’obiettivo cui tendono le aspirazioni delle masse, la mistica che dirige l’azione di quasi tutti gli uomini, l’idolo sotto il cui segno l’umanità spera di trovare la sua “epoca d’oro”.

Il carattere religioso del movimento egalitario

Questo movimento, o piuttosto questa rivoluzione impercettibile, riveste uno spiccato carattere religioso, perché è una mistica. L’uguaglianza, innalzata a valore metafisico supremo, pretende d’essere il principio direttivo cui tutti gli uomini debbono adeguarsi se vogliono raggiungere la perfezione. Un “ideale” che viene perseguito con un fervore religioso.

Donde viene questo atteggiamento d’adorazione, dato che – propriamente parlando – non v’è alcuna divinità da venerare e nessun culto da praticare? Promana, e trae la propria forza nella passione dell’orgoglio, che conduce chi vi ha ceduto ad amare, con tutta l’anima, l’egalitarismo. E poiché l’orgoglioso è il primo a pretendere d’essere superiore a chiunque, anche per ciò, quanto prima possibile brama soprattutto di non aver alcuno superiore a lui, a qualsiasi livello.

L’egalitarismo è dunque un misticismo religioso, e come tutti i misticismi, è intollerante, e il vento che spira oggigiorno nel mondo, è un vento d’intolleranza egalitaria: d’altronde, questa intolleranza è uno degli elementi che ne comprovano il carattere religioso, tale che può spingere sino alla persecuzione.

Dinnanzi a questa rivoluzione egalitaria universale, che intacca tutti gli ambiti della vita e della società, e che tuttavia assai spesso è impalpabile, il cattolico si trova in una situazione diametralmente opposta e incompatibile con codesto movimento. Per comprendere nel migliore ed autentico modo il Magistero dei Papi circa le ineguaglianze giuste e necessarie, occorre dapprima comprendere il concetto cristiano di uguaglianza, basato sulla realtà dell’umana natura, nonché i suoi limiti, e dunque in cosa si oppone al movimento egalitarista.

2. UN RICHIAMO A UNA VERITA’ DIMENTICATA: L’IDEALE CATTOLICO DI UNA SOCIETA’ FRATERNA, PERCHE’ ARMONIOSAMENTE INEGALITARIA 

Vi sono due concetti di uguaglianza radicalmente opposti. La linea di demarcazione di questi due punti di vista fra loro antagonisti, divide la società in due campi irriconciliabili.

La prima ad affermarsi, nella storia dell’umanità, fu la concezione cristiana: comparve con l’evangelizzazione, e mise in discussione la crudeltà del mondo pagano. Grazie agli insegnamenti di Nostro Signore Gesù Cristo, gli uomini hanno compreso di essere tutti figli di Dio, di esser tutti uguali per il fatto di appartenere al genere umano.

In quest’ottica, tutti i diritti connessi alla natura umana sono identici per ciascuno, a cominciare dai principali e fondamentali: il diritto alla vita, alla dignità e all’onore, e dunque alla libertà; così come il diritto alla proprietà, ossia il diritto di possedere i frutti del proprio lavoro, conseguenza diretta della dignità e della libertà della persona umana.

Fino ad allora, il mondo pagano dell’antichità s’era rifiutato di riconoscere la fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri umani: da qui la schiavitù, la condizione d’inferiorità della donna, il disprezzo della vita umana e tutte quelle manifestazioni d’ingiustizia e crudeltà di un mondo barbaro e primitivo, che imbrigliavano il pieno affermarsi della persona.

Per il cristianesimo, e per tutti coloro che si riferiscono alla sua concezione del mondo, non esiste affatto una sub-umanità che si possa privare dei diritti fondamentali, sicché il diritto alla vita è lo stesso per tutti i membri del genere umano, qualunque sia la loro razza, età o condizione.

Per contro, questa concezione cristiana dell’uguaglianza riconosce invero che esistono delle ineguaglianze che sono giuste e necessarie. Non certo delle ineguaglianze essenziali, ossia connesse all’umana natura, quanto piuttosto e più semplicemente delle ineguaglianze circostanziali. È il caso del talento, della bellezza, della virtù, del sapere e anche della nascita o della ricchezza. Ad esempio, l’ineguaglianza che c’è fra professore e alunno, è una ineguaglianza giusta e necessaria.

Come – ad esempio – l’ultimo nato in una grande famiglia non riceverà pari trattamento del più anziano membro della stessa, dal momento che ciascuno vi occupa gerarchicamente un posto, allo stesso modo, affinché la società possa assicurare la piena affermazione di ciascuno, tutte le ineguaglianze giuste e necessarie dovranno essere riconosciute.

Questo l’insegnamento della Chiesa cattolica, che afferma così una duplice realtà: gli esseri umani sono tutti uguali per quanto riguarda i diritti essenziali connessi e derivanti dall’umana natura stessa, ma contemporaneamente esistono delle ineguaglianze circostanziali che sono giuste e necessarie: a riguardo, si considereranno più avanti numerose citazioni del Magistero Pontificio.

Conseguentemente, nei secoli in cui la visione cattolica del mondo fu origine e modello di civiltà, l’età, l’educazione, la cultura, le arti, i mestieri i beni e un’infinità di altre circostanze daranno tono ai rapporti in seno alla stessa società, segnandone leggi, costumi ed economia, conferendo a tutta la vita pubblica e privata quel senso di gerarchia, di rispetto, di solennità. Era una delle caratteristiche più rimarch­voli della societas Christiana.

Senza dubbio, è un’esagerazione affermare che oggigiorno questi costumi siano del tutto dimenticati; nondimeno, si dovrà pur ammettere che molto di ciò è scomparso, e che il poco che resta va diminuendo e impallidendo di giorno in giorno.

I cattolici hanno abbandonato, a poco a poco, la loro visione del mondo, che aveva forgiato un’autentica civiltà cristiana, e si son lasciati travolgere – spesso inavvertitamente – da un processo egalitarista molto distante dal loro ideale di una società veramente fraterna perché armoniosamente inegualitaria.

Come si è giunti all’odierna società, caratterizzata da una continua ribellione dell’inferiore contro il superiore, dal rifiuto di rendere il dovuto omaggio ai superiori, a cominciare da Dio, sino a una rivolta contro tutte le ineguaglianze più razionali e più necessarie?

Tutto è avvenuto mediante un lento processo, che trasformando gradualmente le espressioni della vita in società, ha imposto un secondo concetto di uguaglianza, opposto a quello cristiano.

Il concetto materialista di uguaglianza nega la natura umana

Il secondo concetto di uguaglianza è l’esatto opposto del precedente. Questo stesso concetto, incivile e pericoloso, nega in profondità che esista una natura umana ben definita, da cui promanano dei diritti fon­damentali per il semplice fatto di appartenervi.

Tale concezione, rinnovando pienamente quella pagana antica, trova la sua piena affermazione nel materialismo evoluzionista marxista; il pensiero socialista ha dunque infettato vasti settori della popolazione, ambienti cattolici compresi.

Negando la realtà dell’umana natura, gli adepti di questa teoria si convinceranno che i diritti fondamentali non sono affatto uguali per tutti: ecco perché un bimbo nel grembo della madre non è più considerato una persona umana, al punto che non ha più diritto alla vita (aborto); ecco perché malati, anziani o portatori di qualche handicap fisico o mentale non hanno, per loro, lo stesso diritto alla vita di giovani o sani di corpo e di mente (eutanasia).

Negando la dignità della persona, nemmeno vedono alcun ostacolo alle manipolazioni dell’ingegneria genetica, tanto che ritengono possa avanzare fino a “creare” un nuovo essere umano.

Pronti ad accettare il libertinaggio, costoro rigettano l’autentica libertà della persona, condannata a sua volta a una sorta di minorità perpetua, incapace di assumersi le proprie responsabilità, sicché lo Stato (sorta di “grande fratello”) deve prenderla in carico per tutta la vita. Conseguentemente, i fautori dell’egalitarismo rifiutano anche la piena, personale disponibilità dei frutti del lavoro di ciascuno, sostenendo che questi debbano essere trasferiti per la maggior parte alla collettività, attraverso tasse e imposte che somigliano a vere e proprie confische.

Per contro, i fanatici dell’invidia egalitarista vorrebbero un mondo ove ogni ineguaglianza circostanziale sia soppressa. Similmente, costoro vorrebbero che tutti abbiano la medesima scienza: una vera utopia, nociva e irrealizzabile; fremono dal desiderio di eliminare differenze di censo, di stato sociale, garantendo così che tutti abbiano le stesse caratteristiche fìsiche, giungendo infine a eliminare la differenza – necessaria e legittima – fra uomo e donna, da rimpiazzare con individui dal sesso incerto e mutevole (si pensi alla questione del cosiddetto gender).

Motore di questa concezione di uguaglianza è dunque l’invidia, la gelosia: la divorante passione egalitaria fa in modo che costoro preferiscano una miseria generalizzata, così da non avere alcuno al di sopra di loro stessi, o che possieda di più. Ogni qualvolta si tenta di seminare tale dottrina, e nella misura in cui mette le proprie radici in una società, i frutti non sono altro che rovina e disperazione morale e materiale.

Il mondo non potrà uscire dalla crisi, profonda in tutti i settori, in cui è piombato fintanto che la concezione del mondo ereditata dalla Civiltà cristiana non tornerà a prevalere sul divorante desiderio egalitarista, e non si sarà così fatto ritorno all’ideale cattolico di una società fraterna, perché armoniosamente inegalitaria.

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