Erasmus una generazione di apolidi

Il Timone n.188 Ottobre 2019

Tanti giovani europei beneficiano del programma di mobilità studentesca, ma oltre alle opportunità ci sono diverse insidie. «E’ un programma ideologico volto a produrre persone sradicate e conformiste, attraverso anche l’industria del divertimento e dello svago», dice il giovane storico Paolo Borgognone.

di Lorenzo Bertocchi

La nuova presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, nel suo discorso programmatico da candidata alla presidenza aveva annunciato, fra l’altro, che triplicherà i fondi destinati a Erasmus, il programma di mobilità studentesca della Ue.

Un dettaglio, forse. Oppure un’indicazione precisa per spingere ancora di più su un certo tipo di modello di cittadino europeo? Non mancano critiche al programma per studenti in quanto strumento utile a un mondo sempre più globale, abitato da cittadini con una identità liquida. In Italia il giovane storico Paolo Borgognone ha scritto un libro nel 2017 con giudizimolto critici su questo programma. Il Timone lo ha incontrato per chiedere quali sono le sue riserve e lanciare un dibattito anche provocatorio.

Dottor Borgognone, che cos’è il programma Erasmus?

«Il Programma Erasmus è uno schema di interscambio studentesco ideato nel 1987 per favorire la mobilità dei giovani europei, per i numeri e la storia politica del Progetto rimando chi fosse interessato alla lettura del mio libro sul tema, Generazione Erasmus. I cortigiani della società del capitale e la “guerra di classe” del XXI secolo, (Oaks Editrice, 2017).

Il Programma è parte dell’agenda del liberalismo europeista. Non c’è nulla di male se gli studenti italiani entrano in contatto con i loro omologhi di altri Paesi, il problema sussiste quando questi contatti sono organizzati per favorire la diffusione di stili di vita unificati».

Vuole dire che Erasmus è in realtà il veicolo di una way of life?  

«Gli studenti Erasmus tendono a perseguire comportamenti improntati univocamente alla categoria di “divertimento” stabilita dall’industria americana, liberal, di promozione delle mode e dei gusti delle nuove generazioni».

Quindi a suo parere c’è una base ideologica?

«Secondo la mia analisi il Programma è stato ideato al fine di strutturare una identità europeista basata sulla logica del mercato come leva della produzione sociale. Il Programma Erasmus è uno strumento per tentare di forgiare il tipo antropologico europeo del futuro, ovvero la persona indifferenziata, priva di identità tradizionali e integralmente infeudata alle logiche proprie di una società di mercato.

Tutto ciò che proviene dalle burocrazie e tecnostrutture della Ue è ideato e si basa su presupposti ideologici liberali, così come tutto ciò che, in termini di esperimenti di ingegneria antropologica, proveniva dall’Urss era basato su presupposti ideologici comunisti. Il dispotismo sovietico si proclamava egualitario, il “dispotismo” liberale si definisce umanitario. Questi tipi di dispotismo non ammettono interferenze e non tollerano deviazioni dalla propria agenda».

Come definire allora la cosiddetta generazione Erasmus?

«La definirei come la generazione che si presta, più o meno in buona fede (ma i casi di malafede sono tanti), a stipulare un compromesso con il sistema di governance europeista che ho citato. Questo compromesso si articola così: fine della stabilità sociale, occupazionale, contrattuale ed esistenziale delle generazioni di adolescenti che avrebbero dovuto, in regime di capitalismo nazional-statale pre-Ue, andare a costituire la classe media del futuro, in cambio di 6-12 mesi di sballo e feste in spiaggia o nei locali alla moda delle più importanti città europee.

L’Erasmus è infatti un business internazionale su cui lucrano operatori economici privati e pubblici tra i più svariati. I teenager della Generazione Erasmus sono prevalentemente, di sinistra nella cultura (aderiscono all’ideologia della liberalizzazione dei costumi borghesi), di centro in politica (laddove il “centro” è, per definizione, il luogo d’incontro e mediazione degli interessi propri delle classi medie ideologicamente fedeli allo status quo) e di destra, cioè liberisti, in economia».

Nel 2002 un film inquadrò il fenomeno, si intitolava “L’appartamento spagnolo” e raccontava le allegre vicende di un gruppo di ragazzi Erasmus a Barcellona

«Le classi dominanti che istituiscono il dogma della mobilità individuale come nuovo idolo delle moltitudini spaesate internazionali, tendono a promuovere una narrativa piuttosto singolare per irreggimentare i giovani agli standard di vita e ai ritmi di lavoro previsti e stabiliti dal modello della precarietà infinita: questa narrativa consiste nel veicolare l’idea che vivere in 20 persone in un tugurio di dickensiana memoria, di 43 metri quadri, sia una cosa cool e invidiabile per il solo fatto che questo sgabuzzino è situato a Barcellona, Amsterdam o Parigi piuttosto che ad Asti o a Casoria…però c’è un paradosso…»

Prego?

«La narrativa Erasmus Generation è strumentale a preparare le nuove generazioni alla precarietà occupazionale ed esistenziale. Tuttavia, questa narrativa non persuade tutti coloro che la sperimentano sulla propria pelle a desiderare di condurre sine die un’esistenza picaresca.

I più, dopo i 6-12 mesi passati a divertirsi in vacanza-studio all’estero, tornano a casa e chiedono poi a papà o a un amico di famiglia di trovargli, per conoscenza, il buon vecchio posto fisso in qualche azienda pubblica o privata locale e, se hanno i soldi per farlo, si affittano un bilocale in zona residenziale dove vanno a vivere da soli, non insieme ad altri 18 inquilini».

Perché Erasmus sarebbe un programma di conformismo culturale?  

«Il Programma Erasmus è progettato ad hoc per creare consenso al regime della società aperta. Da un’operazione di ingegneria antropologica tesa a produrre consenso nei confronti di un ordine mondiale e di una gerarchia piramidale di classe ben definiti, non potranno che scaturire attori sociali conformisti. I media ripetono a questi teenager che, se intendono integrarsi nella società di mercato e ricevere una remunerazione mensile, non devono mettere in discussione il sistema capitalistico relazionale in cui vivono. I destinatari di questo messaggio per tutta risposta che fanno? Si adeguano e si comportano di conseguenza, questo per me è conformismo».

Forse i giovani cercano solo un’opportunità in più…  

«II problema è che questa opportunità i giovani ce l’hanno veramente nel momento in cui dispongono di una rete di networking idonea a soddisfare le loro esigenze e i loro desideri di integrazione sociale. Una bella raccomandazione vale più di un master o di un dottorato di ricerca.

Se l’Erasmus, il master o il dottorato vengono interpretati come strumenti per costruire o ampliare una rete di networking allora sì, l’opportunità può concretizzarsi. Ma la rete di networking si costruisce quasi sempre non sulla base di una perizia tecnica in possesso del candidato a ricoprire un ruolo di responsabilità più o meno elevata in un’azienda pubblica o privata, bensì sulla base di parentele, conoscenze dirette o indirette con ambienti politici ed economici di rilievo a livello locale, nazionale o internazionale».

Secondo la sua interpretazione si può dire che la cultura Erasmus attacca la famiglia?

«Sì, innanzitutto perché promuove un modello di promiscuità sessuale. Quando si incentivano i rapporti sessuali tra adolescenti, mediati esclusivamente da fattori come noia, moda esistenziale, alcol, droghe più o meno leggere e attrazione fisica, è ovvio che si va a destabilizzare l’ipotesi di relazioni uomo/donna basate sull’amore e la volontà reciproca di costruire un percorso il cui approdo naturale è la famiglia intesa nel senso di un padre, una madre e dei figli.

Il capitalismo liberale, che è un regime basato sul primato del denaro e del sistema di networking, ha abolito la common decency anche in ambito relazionale-sessuale. Il risultato di questo processo di iper sessualizzazione dell’immaginario è la svalorizzazione dell’atto sessuale come atto d’amore.

D’altronde, se la TV e i social propinano continuamente corpi nudi e ammiccanti come viatico per venderci l’orologio piuttosto che il detergente per pavimenti, al potenziale acquirente di quei prodotti, in fin dei conti, cosa importerà più del sesso? Il sesso è stato svalorizzato, ridotto a grimaldello per venderci dei beni di consumo o per farci sintonizzare davanti a un determinato programma televisivo».

Solo questioni legate alla sessualità?  

«No, ci sono anche altre ragioni. La famiglia è un nucleo sociale fondato prossimità e incoraggia, invece, la flessibilità occupazionale e la mobilità individuale. Ovviamente, la flessibilità occupazionale riguarda solo coloro i quali non dispongono del denaro e delle conoscenze necessarie a comprarsi un posto di impiegato di concetto stabile e remunerato mensilmente a 1.500-2.000 euro netti. Senza un reddito mensile dignitoso, nessuna famiglia è possibile».

Possiamo anche dire che il modello Erasmus erode l’economia reale?  

«Questa “pseudo-cultura” attacca il principio di stabilità lo abbiamo detto, sia in ambito relazionale-affettivo, sia in ambito occupazionale. I media che promuovono la Generazione Erasmus come “la meglio gioventù” sono gli stessi che fanno l’apologia diretta del capitalismo finanziario e del lavoro flessibile e precario e, soprattutto, sono gli stessi che incentivano i giovani a essere spregiudicati, a ispirarsi ai lupi di Wall Street, a personaggi, cinematografici e/o reali, in stile Gordon Gekko e George Soros… intanto nessuno si preoccupa più di quella economia reale che è il cuore di ogni comunità».

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FUORI DAL CORO

Una voce provocatoria, che si ribella al mito della cittadinanza globale e al mito delle finte rivoluzioni sponsorizzate dalle élite globalizzate che desiderano trasformare tutto il mondo in un immenso mercato speculativo

P. Borgognone, Generazione Erasmus. I cortigiani della società del capitale e la «guerra di classe» del XXI secolo, Oaks Editrice 2017, pp. 509 € 25,00