XX secolo, fuga dal pianeta Rosso

Il Sabato n. 39

30 Settembre 1989

I tedeschi dell’Est sono solo gli ultimi. Tutta la storia comunista è storia di immensi esodi. Qui proviamo a raccontarla

di Daniele Nardi

E’ BASTATA una frase del ministro ungherese Horn per scatenare la grande fuga. Il semaforo verde del governo di Budapest all’espatrio verso i Paesi occidentali dei profughi tedesco—orientali ospitati in terra magiara ha dato il via ad un esodo di dimensioni bibliche.

In poche ore hanno raccolto le loro cose e passato la frontiera in oltre diecimila. Cifra che ha portato nei primi mesi dell’89 le fughe dalla Germania democratica a 76.929, il record assoluto dal 1961, anno in cui venne costruito il Muro.

L’odierno esodo tedesco è in fondo solo l’ultimo di una lunga serie. La gente è sempre fuggita dai regimi marxisti, in qualunque continente si istaurassero, e qualunque misura preventiva e di polizia assumessero.

Già all’indomani della Rivoluzione d’ottobre sono cominciate le fughe in massa. Almeno un milione e mezzo sono stati i russi che dal 1917 al 1922 hanno abbandonato la propria terra, travolti dalla sconfitta della Russia bianca e zarista.

In quegli anni ed in quelli immediatamente successivi, almeno altri due milioni di persone sono state costrette a lasciare il neonato Stato marxista. Sono i tempi del passaporto Nansen, quando cioè, non esistendo la connotazione giuridica del rifugiato e del profugo, non esistendo alcun organismo sovranazionale se non una vuota ed insignificante Società delle Nazioni, il diplomatico svedese, da cui il documento ha ereditato il nome,. Inventò questa soluzione di ripiego per conferire ai profughi un’identità riconoscibile ovunque. Nemmeno la Seconda guerra mondiale placa le fughe.

Anzi, sono almeno due i milioni di persone che hanno approfittato dell’occupazione tedesca per fuggire in Occidente, o i lavoratori e i deportati in Germania dall’organizzazione Todt che, alla conclusione del conflitto, si sono rifiutati di far ritorno in patria.

Nell’immediato dopoguerra è la volta delle Repubbliche baltiche. Entro il 1947 due milioni e trecentomila estoni, lituani e lettoni sono fuggiti dal regime. Ben presto anche gli ucraini ed i bielorussi ne seguono l’esempio. Le stime dicono che da allora ad oggi sono almeno tre milioni gli originari di queste Repubbliche che si sono stabiliti qua e là per il mondo: un milione e mezzo negli Stati Uniti, 750mila in Canada, 300mila in America latina, e poi ancora in Gran Bretagna, Australia, Francia…

Anche le altre Repubbliche sovietiche hanno mantenuto il passo. Dal 1947 al 1985 emigrano, più o meno legalmente, quasi mezzo milione di ebrei: chi in Polonia ed in Germania, chi in Israele. Nei primi anni Sessanta 150mila tedeschi e 250mila polacchi — che lo spostamento dei confini voluto da Yalta aveva reso cittadini sovietici — hanno potuto tornare liberi con il beneplacito delle autorità, ma hanno dovuto lasciare tutto.

Dal ’56 all’85 — con un picco intorno alla fine degli anni Settanta — sono stati poi 52mila gli armeni fuggiti al regime che aveva imposto loro la sovietizzazione. Il primo vero grande esodo dai Paesi satelliti dell’Urss è quello ungherese del 1956: a seguito della sanguinosa repressione sovietica almeno 200mila ungheresi hanno preso la via dell’Austria — soprattutto — e della Jugoslavia; nel solo mese di novembre sono stati 92mila.

Negli anni successivi altri 170mila ungheresi hanno preso la strada di una trentina di Paesi diversi. Nel 1959 altri 32mila profughi attendevano nei campi austriaci di poter raggiungere la destinazione definitiva. Nel 1960 erano diventati 90mila i rifugiati assistiti dall’Onu che nel frattempo aveva dato vita all’Alto commissariato per i rifugiati.

Negli ultimi venticinque anni — ed è stata Radio Budapest ad ammetterlo in una recente trasmissione— sono stati 60mila i cittadini magiari ripiegati fuori dei confini nazionali, e 3300 nel solo ’86. Ma se gli ungheresi fuggono dal loro Paese, altri vi giungono dai Paesi confinanti. Dei tedeschi orientali abbiamo già detto, ma anche dal regime di Ceausescu, unanimemente ritenuto il peggiore di tutto l’Est, la fuga è continua.

Almeno 20mila rumeni sono già transitati per l’Ungheria ed ultimamente il flusso si è incrementato: ogni notte sono in centocinquanta ad eludere la strettissima sorveglianza delle guardie di confine rumene. Nella vicina Bulgaria l’emigrazione è causata dai conflitti etnici.

I 600mila turchi che vi abitano sono in fermento e già negli ultimi mesi in più di 100mila hanno illegalmente passato il confine verso la Turchia. Secondo fonti governative di Ankara, il primo luglio di quest’anno sono stati 3500 i fuggiaschi, il 30 giugno 4200, il giorno prima 3700. Di questo passo le autorità di Sofia si troveranno ben presto risolto il problema delle nazionalità.

Dalla Polonia il flusso di rifugiati che chiedono asilo politico all’estero è in costante aumento. L’Italia ha conosciuto il boom nell’agosto ’87, poi rientrato nei mesi successivi, un boom legato soprattutto ad una disponibilità momentanea manifestata dal nostro Paese. La Germania, attraverso la quale passa la quasi totalità dei profughi polacchi, conosce invece un crescendo continuo: erano 20mila nell’84, 30mila nell’86, 60mila nell’87, 120mila nell’88.

Per l’anno in corso il governo di Bonn evita di fare qualunque previsione, non potendo stabilire se e quanto potrà influire sul desiderio di emigrazione dei polacchi il governo di Solidarnosc. Infine l’Albania, ultima misteriosa propaggine del comunismo europeo.

Fonti jugoslave sostengono che a partire dal 1941 e fino a tutto il 1988 sono stati 15mila i profughi da questo Paese. Di loro, 12mila si sono fermati nella vicina Jugoslavia, mentre gli altri hanno preso la strada dei Paesi occidentali.

Dall’Europa all’Asia. Innanzitutto, il regime di Pechino: fonti americane riportano che dal 1949, anno in cui prese il potere il comunismo, circa 2 milioni di persone si sono trasferite — illegalmente, è ovvio — a Taiwan. Oltre a questi, altre decine di migliaia di profughi sono giunti nel possedimento britannico di Hong Kong, prima che venissero chiuse le porte per assoluta mancanza di spazio.

Dal Tibet sono fuggite 110mila persone, in larghissima parte verso l’India ed il Nepal. C’è stata una breve pausa nella fuo­iuscita di cinesi in corrispondenza della primavera di Pechino. Subito dopo la strage della Tienanmen è però iniziato il fenomeno dei boat-people cinesi che a decine su ogni imbarcazione — scrive l’agenzia Asia news — stanno raggiungendo le Filippine.

La parola boat-people rievoca però un altro esodo, ancora più drammatico: quello dei vietnamiti. Dopo l’esplosione del fenomeno che si è avuta a cavallo del 1980 con circa 60mila profughi al mese che prendevano con imbarcazioni di fortuna la via della Thailandia e delle Filippine, è seguita una fase durante la quale il fenomeno è andato lentamente diminuendo fino ad attestarsi sulle 20mila persone l’anno nel 1986. Ma già l’anno successivo si tornava su medie di 3mila al mese. Ed il flusso continua ancora.

ella vicina Cambogia le cose non vanno certo meglio. Dopo l’attacco vietnamita al regime di Poi Pot la popolazione si è trasferita in massa in Thailandia. Nei campi lungo il confine vivono ormai 320mila cambogiani, mentre altri 17mila hanno ricevuto il riconoscimento di profughi dalle Nazioni Unite e si preparano a rientrare, con il ritiro dei vietnamiti dal Paese.

Sempre in Thailandia sono ospitati i 30mila profughi dalla Birmania delle minoranze Karen e Mong (il picco delle fughe è avvenuto nell’84) e, a seguito della repressione dell’87-’88, altri diecimila birmani. Risalendo indietro nel tempo troviamo in Asia un’altra grande fuga dal comunismo ed è quella della Corea del Nord.

La guerra iniziata nel 1950 congelò la situazione politica di un Paese diviso tra Nord comunista e Sud capitalista. Nel 1953, finita quella inutile e costosa avventura americana, nel Sud c’erano 9 milioni di senza tetto, per la quasi totalità profughi del Nord, fuggiti prima che il consolidamento della frontiera sul 38° parallelo lo impedisse.

Milioni anche i profughi afgani, fuggiti dal regime imposto da Mosca e dalla sanguinosa guerra, non ancora terminata. Secondo fonti americane, quasi tre milioni di afgani hanno passato il confine stabilendosi soprattutto in Pakistan. Ma altre fonti parlano addirittura di cinque milioni di profughi.

In Africa, nonostante i molti regimi più o meno simpatizzanti di Mosca, solo tre Paesi, come aderenti al Comecon, possono dirsi marxisti a tutti gli effetti: Etiopia, Mozambico ed Angola. Dall’Etiopia 330mila persone sono fuggite verso il Sudan tra l’83 e l’86, mentre da oltre dieci anni, a seguito cioè della vicenda dell’Ogaden — stando almeno alle dichiarazioni del governo di Mogadiscio — 840mila persone vivono in Somalia.

Dal Mozambico sono fuggite negli ultimi cinque anni un milione e 200mila persone, soprattut­to verso Malawi, Sudafrica e Zimbabwe. Dall’Angola, alla fine degli anni Settanta, sono invece fuggiti in quasi mezzo milione verso Zaire e Zambia. Infine il Centroamerica, con Cuba.

Tra la rivoluzione del 1958 e gli anni Ottanta sono stati almeno 850mila i rifugiati cubani che hanno cercato ospitalità, soprattutto negli States. C’è poi il Nicaragua, ma per questo Paese è improprio parlare di «profughi»: i fuggiaschi dell’indomani della rivoluzione del ’79 appartenevano alla vecchia guardia somozista.

Alla fuga dal comunismo si sta aggiungendo un nuovo fenomeno: la fuga dalla paura del comunismo. È quanto accade ad Hong Kong. Soprattutto dopo i fatti di giugno il pensiero di passare nel ’97 sotto l’ala protettrice della Cina ha letteralmente terrorizzato parecchie centinaia di migliaia di abitanti.

Le richieste di emigrare verso altri Paesi del Commonwealth piovono sul governatorato, ma vengono tutte regolarmente ignorate da Londra. La città-Stato diventerà dunque nel giro di poco tempo una nuova fabbrica di profughi alla disperata ricerca di una patria. E pensare che per cento anni hanno cantato «Dio salvi i nostri regnanti».

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PRIMA E DOPO YALTA

EST EUROPEO: la grande fuga dal comunismo inizia con la cosiddetta «prima ondata» di russi immediatamente dopo la Rivoluzione d’ottobre; il fenomeno si estende nel dopoguerra in tutte le nazioni di Oltrecortina.

AFRICA: la ricerca della libertà contagia negli anni Settanta anche i Paesi del Terzo Mondo. Tra questi solo Angola, Mozambico ed Etipia aderiscono al Comecon e si possono definire propriamente marxisti. Questi stessi paesi sono afflitti per lunghi anni da sanguinose guerre e guerriglie, fattori che hanno moltiplicato l’esodo delle popolazioni

DODICI MILIONI

Tanti sono oggi, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, i profughi che, in tutto il mondo, hanno chiesto asilo politico in qualche Stato estero.

A loro si aggiungono tutti gli stranieri che non hanno avviato alcuna pratica di riconoscimento dello status di rifugiato e che quindi sono a tutti gli effetti degli immigrati illegali.

Se tra i secondi prevalgono soprattutto le persone provenienti dal Terzo Mondo o comunque da Paesi in via di sviluppo, tra i primi predominano gli esuli politici dei Paesi a regime comunista.

Quello della immigrazione clandestina è un fenomeno relativamente nuovo, specie nelle proporzioni raggiunte oggi. La fuga per motivazioni politiche è di ben più antica data e risale al 1917, all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre

LA PRESA DI HONG KONG

ASIA: Soprattutto dopo i fatti di piazza Tienanmen si sta verificando un fenome­no nuovo: il terrore del comunismo che verrà. La popolazione di Hong Kong sta cercando in ogni modo di fuggire prima del 1997, anno in cui la colonia inglese verrà integrata nella Cina popolare. Altri Paesi asiatici conoscono da molti anni la realtà del comunismo.

Dalla Corea del Nord sono fuggiti, nel solo periodo della guerra, in 9 milioni. Dal nuovo Stato unificato del Vietnam, a partire dal 1976, sono scappati almeno 2 milioni: il grande esodo dei boat people.

Dall’Afghanistan sconvolto dalla guerra seguita all’in­staurazione del regime filosovietico e alla invasione dell’Armata rossa sono fuggiti, secondo alcune stime, in 5 milioni. Due milioni di cinesi hanno cercato rifugio a Taiwan, a partire dal 1949.

LO SBARCO AD OCCIDENTE

CENTRAMERICA: nonostante che gli Stati Uniti abbiano fatto di tutto per impedirlo, regimi comunisti (o simili) si sono instaurati anche nel Nuovo Mondo: Cuba nel 1976 ed il Nicaragua nel 1969.

Il Nicaragua, a parte i fedelissimi di Somoza e qualche gruppo di dissidenti, non ha dato luogo a un fenomeno di fuga di massa. Per Cuba si parla di poco meno di un milione di persone che hanno raggiunto, spesso con mezzi di fortuna, i vicini States. Esodo illegale, fino ad un paio di anni fa, quando il regime castrista permise l’espatrio ad un certo numero di prigionieri, pochi dei quali politici.

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URSS

Tre ondate per liquidare la cultura

LA storia dell’emigrazione russa, la prima grande emigrazione politica dei tempi moderni (i fuggiaschi dal comunismo superavano già all’inizio degli anni Venti il milione, secondo calcoli approssimativi), non è stata ancora scritta. Alla prima ondata degli anni 20-30 se ne aggiunse poi, durante e dopo la Seconda guerra mondiale, un’altra, una vera e propria marea; infine negli anni Settanta il governo sovietico diede il via alla fuoriuscita degli ebrei, e furono altre centinaia di migliaia di persone a lasciare il Paese, tra di loro anche un certo numero di non ebrei che in qualche modo erano riusciti a procurarsi un nonno o uno zio ebreo e un invito a recarsi in Israele.

Nella prima e nella terza ondata il numero di intellettuali fu particolarmente alto. Agli inizi del regime sovietico fuggiva in grande massa la classe media, quella che grosso modo corrispondeva alla borghesia occidentale; in Russia questa classe era composta in grandissima parte di intellettuali. Inoltre lo stesso regime ai suoi inizi (fino all’avvento di Stalin al potere assoluto) tendeva a sbarazzarsi di individui scomodi, lasciandoli partire o addirittura espellendoli; è rimasta famosa nella storia russa l’espulsione, per volere di Lenin, di tutto un folto gruppo di intellettuali di spicco, scrittori e filosofi religiosi, tutte persone che partendo da un marxismo avidamente e quasi fanaticamente accettato avevano compiuto una lunga e tormentata traiettoria, approdando, tutti senza eccezione, al cristianesimo e alla convinzione che fuori dal cristianesimo nulla si può fare. Tra di loro Berdiajev, Bulgakov, Frank, Struve, nomi che faranno un giorno la gloria di quel periodo della cultura russa, in cui all’infuori di loro ben poco ci fu di glorioso. A Lenin non garbava l’idea di incarcerarli o fucilarli e dunque diede l’ordine di espulsione dal Paese.

La seconda ondata dell’emigrazione fu molto diversa: fuggiva, o cercava di rimanere in Occidente, una gran massa di gente per lo più molto semplice, che poco aveva a che fare con l’intellighenzia, e si può ben capire perché: l’intellighenzia che avrebbe potuto o voluto fuggire a quell’epoca era già stata annientata.

La terza ondata, come detto, era composta da ebrei. Nello stesso tempo il regime profittava della confusione per disfarsi, di nuovo, di personaggi che gli davano fastidio: scrittori come Siniavskij, Maximov, Brodskij, Vladimov, per nominare solo i più noti.

Un caso a parte fu quello di Solzenicyn, poiché non si trattò per lui di emigrazione, né voluta né forzata, ma di una vera e propria espulsione. Fu l’unico caso in cui il regime sovietico post-staliniano ricorse alla prassi istituita da Lenin e poi completamente abbandonata. Inoltre ci furono i casi di espulsione di dissidenti in carcere e che venivano scambiati con spie sovietiche detenute in Occidente.

Intellettuali che nell’Urss non potevano svolgere un’attività regolare, poiché sempre in prigione, all’estero si sono uniti al grande fiume di pensiero che costituisce, come dice Heller, una parte fondamentale del patrimonio culturale ed intellettuale russo.

IRINA ALBERTI