Russia, sui kamikaze girano troppi falsi miti

Domodedovola Bussola quotidiana 24 gennaio 2011

Almeno 35 persone sono rimaste uccise in un attentato suicida nell’aeroporto moscovita di Domodedovo. I feriti sono più di 130, una ventina sono gravi. Per la polizia il kamikaze era di origine “caucasica”, il che sembra avvalorare la pista del separatismo ceceno. Massima allerta nella capitale.  Il presidente russo Dmitri Medvedev confermando che si tratta di attacco terroristico ha affermato: «Puniremo i responsabili,  ora occorre instaurare un regime speciale per garantire la sicurezza».

di Massimo Introvigne

L’attentato di Mosca, orribile strage che deve suscitare la riprovazione di tutto il mondo civile e invitare noi cattolici alla preghiera di suffragio per le povere vittime, ricorda a un’opinione pubblica che lo aveva dimenticato che il problema della Cecenia non è stato “risolto”. La Russia controlla militarmente il territorio, ma in assenza di soluzioni politiche il fuoco cova sotto le ceneri alimentato da Al Qaida che, a sua volta, non ha affatto cessato di operare nel Caucaso.

La strage dell’aeroporto di Mosca ripropone anche la domanda generale sul terrorismo suicida: come è possibile che qualcuno davvero – secondo lo slogan di Osama bin Laden – «ami la morte come voi Occidentali amate la vita»? Si dice che questo terrorismo nasce dalla miseria economica: ma non è vero. Per quanto riguarda Hamas e la Palestina, la maggioranza dei terroristi coinvolti negli attentati suicidi, cui ho dedicato una ricerca e un libro nel 1999, appartiene alla buona borghesia dei Territori, e alcuni fanno parte dell’élite economica locale. Lo stesso discorso vale per Al Qaida e per l’11 settembre, i cui principali protagonisti avevano ricevuto un’educazione universitaria. Alcuni avevano perfino studiato in Occidente.

Per la Cecenia una certa propaganda russa diffonde lo stereotipo di contadini e contadine – molte terroriste sono donne, anche se stavolta ad avere colpito sembra sia stato un uomo – manipolati e perfino drogati dai sodali locali di Al Qaida. Questa «spiegazione» appare lontana da tutto quanto si sa del terrorismo suicida in genere, e non corrisponde alle poche biografie di «martiri» ceceni note.

Lo stereotipo della contadina manipolata non è certamente applicabile a Zarina Alikhanova (1976-2003), il modello e il mito cui i terroristi di oggi s’ispirano e la protagonista dell’attentato del 12 maggio 2003 a Znamenskoye, uno dei più sanguinosi (sessanta morti). Nata in Kazakhistan da padre ceceno, funzionario del ministero degli Interni, e madre dell’Inguscezia, proprietaria di magazzini commerciali, Zarina è una studentessa modello in una elitaria scuola tedesca. La sua passione è il balletto, e una rapida carriera al Teatro dell’Opera di Alma Ata culmina nell’interpretazione in una produzione del Romeo e Giulietta di Sergey Prokofiev.

Tramite parenti di Grozny, entra in contatto con la guerriglia cecena, ne sposa un dirigente e – dopo la morte del marito nel 1999 – passa, con altre «vedove nere», al terrorismo. Zarina Alikhanova assomiglia molto agli esponenti della borghesia palestinese o araba che troviamo in Hamas o in Al Qaida, e molto poco allo stereotipo della contadina disperata.

L’idea secondo cui le cause del terrorismo suicida sono prevalentemente economiche è semplicemente un’ulteriore manifestazione – smentita però dai fatti – del vecchio pregiudizio di origine marxista secondo cui i fenomeni che si presentano come religiosi non sono «veramente» tali, ma devono per forza avere cause di tutt’altra natura. Non è così. Gli attentati come quello Mosca non sono frutto dell’economia ma dell’ideologia. Di una dottrina di morte che forse non è più di moda denunciare in Occidente, ma che continua a essere predicata nelle moschee ultra-fondamentaliste del mondo intero. E che continua a uccidere.