La resistenza anticomunista in Romania. Una pagina dimenticata

da Il Nuovo Arengario

16 Marzo 2019

di Domenico Bonvegna

Ancora una volta presentando un libro sui crimini del socialcomunismo devo ripetermi: perché si continuano a ricordare soltanto i crimini nazisti, mentre quelli comunisti sono totalmente ignorati?

La stessa domanda l’ho posta recentemente a proposito del libro di M. dell’Asta e L. Scaraffia, «La vita in uno sguardoLe vittime del Grande Terrore staliniano», Lindau (2012). La stessa cosa dovrò fare per il saggio «Le catacombe della Romania. Testimonianze dalle carceri comuniste. 1945-1964», Rediviva Edizioni (2014), curato da Violeta P. Popescu, con tre saggi di Lorena Curiman, Claudia Bolboceanu e Mirela Tingere, giovani giornaliste rumene. Il comunismo in Romania ha tentato con ogni mezzo di cancellare la memoria storica del popolo romeno, il regime ha puntato a creare un “uomo nuovo”, una persona legata al partito comunista, una persona senza radici.

Questo passato non può, non deve essere dimenticato, per questo è stato pubblicato questo libro di testimonianze. Si tratta di un breve lavoro per gettare uno sguardo su un periodo tragico e buio, che ha visto lo sterminio del popolo rumeno, ad opera di un regime sanguinario.

E’ stato scritto soprattutto per salvare dall’oblio centinaia, migliaia di uomini e donne che hanno lottato per la libertà e per la patria. L’avvento del regime comunista in Romania ha comportato subito l’eliminazione dell’élite rumena. Allontanati da tutte le istituzioni e segregati in carcere i maggiori rappresentanti del mondo culturale, scientifico, tecnico e artistico.

Tutti crudelmente perseguitati, trucidati, torturati dal punto di vista fisico e psicologico nelle carceri e nei campi di concentramento. E’ capitato ovunque il socialcomunismo è andato al potere. «Il processo di sovietizzazione della Romania ha incontrato la fiera opposizione del popolo romeno che ha cercato di contrastarlo con il rifiuto del comunismo, un cancro che ha attanagliato il paese per più di mezzo secolo, e con una strenua resistenza dimostrata da importanti personalità in tutti i campi della società civile». 

una prigione politica romena

Peraltro il libro dà conto anche della resistenza armata, forse il più importante di tutti i paesi sotto l’Unione Sovietica, di tanti combattenti che si sono rifugiati sui monti Carpazi.A distanza di vent’anni dalla caduta di Ceausescu e del regime comunista, abbiamo l’obbligo di ricordare la vita di chi è morto e di onorarne la memoria di questi veri e propri martiri che non si sono piegati all’ideologia atea e criminale.

Anche se può sembrare inutile di fronte al ritmo frenetico della storia.Il libro fa riferimento alle fondazioni, alle associazioni con lo scopo dichiarato di recuperare il passato.

Tra le tante il libro fa menzione della Fondazione Culturale Memoria, con la rivista «Memoria. Revista gandirii arestate», (Memoria. La rivista del pensiero imprigionato). Il Memoriale Sighet – Il “Memoriale delle Vittime del Comunismo e della resistenza”. Il Memoriale Jilava – “Il carcere dell’inferno comunista”. Il Memoriale Sarat – “La prigione del silenzio – La lezione del comunismo”. Il Memoriale Aiud – “Il calvario di Aiud”. Il Memoriale di Pitesti – “Il genocidio delle anime”.

Aiud, memoriale

Infine l’Istituto per l’Investigazione dei Crimini del Comunismo e la Memoria dell’Esilio Romeno (IICCMER), un ente governativo di ricerca, documentazione che mira a divulgare la storia del comunismo in Romania, con progetti educativi, editoriali e museali.

Ma c’è anche un Rapporto della Commissione Presidenziale per l’Analisi della Dittatura Comunista in Romania, pubblicato nel 2006, un atto considerato tardivo da parte di molti.«Scoprire il periodo delle carceri comuniste dopo gli anni ’90 è stato come scoprire la storia di un altro popolo, la storia spezzata di un paese che doveva riannodare un filo rotto».

Due trasmissioni della televisione romena subito dopo il 1989, con interviste ai sopravvissuti, hanno contribuito a conoscere quanto è accaduto in Romania. Soprattutto in alcuni luoghi del genocidio rosso, vicino alle carceri, sono stati eretti monumenti, carceri trasformati in musei, con l’obiettivo di ricordare le sofferenze vissute e dimostrare riconoscenza verso chi ha versato lacrime e sangue per difendere la libertà, la democrazia e la fede.

Secondo i dati forniti dal governo romeno, durante il regime comunista nel paese esistevano 44 carceri e 72 campi di lavoro forzato in cui sono passati oltre 3 milioni di romeni, 800.000 dei quali sono morti«Dal 1948 al 1964, la Romania si è trasformata in una specie di catacomba. I valori tradizionali che avevano accompagnato i romeni per intere generazioni erano considerate dal regime comunista una minaccia da contrastare, perciò andavano cancellati insieme al legame con il passato e al prestigio dell’elite intellettuale […]».

Inoltre, «le carceri comuniste, dove vengono rinchiusi i cosiddetti ‘nemici del popolo’ nel periodo 1948-1964, sono trasformate in veri e propri centri di sterminio per le personalità di spicco del mondo intellettuale e spirituale della Romania». Molti di questi prigionieri subiscono torture fisiche, psicologiche fino alla morte, si sacrificano in nome dei loro ideali, delle loro convinzioni e della loro fede come veri martiri. Il testo sottolinea ampiamente la dimensione spirituale che ha caratterizzato la maggior parte di questi uomini e donne imprigionate nelle carceri comuniste.

«I martiri delle carceri, come una volta i martiri delle catacombe, rappresentano oggi modelli, punti di riferimento, che mostrano la vera libertà, quella vissuta nell’autentico spirito cristiano». I racconti, le testimonianze di questo libro, dimostrano che il martirio non è qualcosa che appartiene ai primi secoli del cristianesimo, è un esercizio di fede che accompagna il cammino della vita di ogni cristiano.

Gli autori del testo non esagerano se ascrivono al martirio questi uomini che hanno preferito morire anziché rinnegare la propria fede. «Le testimonianze presenti in questo libro danno l’immagine di una fede capace di resistere a ogni attacco di odio, senza rinunciare né alla verità, né all’amore, né alla carità, nonostante i momenti di scoraggiamento». Il testo riporta alcuni frammenti delle testimonianze di questi uomini, dove si può verificare la profondità della loro fede, il valore della loro sofferenza e il messaggio di speranza che riescono a trasmettere, nonostante gli indicibili prove che hanno dovuto affrontare.

Questi martiri hanno sempre mantenuto la fiducia in Dio, nella certezza assoluta che le loro anime si sarebbero salvate. «L’anima, infatti, rappresenta quella parte di loro che è sempre rimasta libera». A questo proposito, Violeta Popescu, può scrivere: «Quello che è accaduto nelle carceri di Pitesti, Aiud, Jilava, Sighet, Vacaresti e in molte altre può essere definito come un tentativo di distruggere le anime, dato che l’uomo nuovo’ a cui mirava il regime non doveva appartenere a nulla se non al partito comunista».

Pertanto per il regime la fede in Dio, era il male assoluto da estirpare come una malattia. «Le pratiche rieducative concepite dai persecutori erano applicate con una coerenza diabolica e una perfidia sistematica allo scopo di sradicare dal cuore e dalla mente dei prigionieri ogni residuo di anima, di fede».

Padre Papacioc, che ha scontato 14 anni di carcere, affermava che «il comunismo ha riempito il cielo di santi». Il testo mette in luce alcuni di questi personaggi che hanno patito la crudele persecuzione comunista e di cui il mondo occidentale, non sa nulla. Non solo, probabilmente neanche le giovani generazioni romene non sanno nulla.

Il primo personaggio che viene presentato è Valeriu Gafencu (1921-1952), il più emblematico, quello che è riuscito a influenzare tutti i compagni di cella in modo autentico a vivere la fede cristiana. Molti atei, attraverso il suo esempio hanno scoperto la fede religiosa.

In una lettera dal carcere, scriveva: «Ringrazio di tutto cuore il buon Dio per la sofferenza che mi ha mandato, perchè attraverso la sofferenza mi ha portato la luce dello spirito e ho trovato la strada della Vita». Un altro eroe, un uomo che ha conosciuto l’inferno delle carceri comuniste è Ioan Ianolide (1911-1986), sulla sua tomba, si trova una croce, che spinge alla riflessione: «Tutto in Cristo!».

Condannato a 23 anni di carcere e a una sofferenza inimmaginabile, Ianolide scrive Intoarcerea la Hristos (il ritorno di Cristo). Nel testo si può leggere, tra l’altro: «Cerchiamo di annunciare Gesù crocifisso nel XX secolo. Qui sono accaduti miracoli, qui sono rinati la santità e il martirio, qui dei martiri hanno donato la loro vita per la fede».

Sempre nello stesso libro si può leggere: «Abbiamo visto in mezzo a noi persone che hanno realizzato la pienezza dell’uomo, la santità, il martirio, ma attraverso una selezione terribile». Un uomo, un poeta, un drammaturgo, una personalità rappresentativa del popolo romeno è stato Radu (Demetrescu) Gyr (1905-1975), insieme a tanti altri esponenti dell’élite politica e culturale del suo paese aderisce al Movimento legionario dell’Arcangelo Michele di Corneliu Zelea Codreanu, fondatore della Guardia di Ferro. In quel momento era l’unico movimento che difendeva l’unità della Patria romena.

Un altro personaggio significativo del volume è padre Gheorghe Calciu Dumitreasa (1925-2006), ha passato ventuno anni nelle diverse prigioni comuniste. «In cella senza Dio, senza preghiera e senza perdono, non si sopravvive», afferma padre Dumitreasa. «In cella parlavo di più con Dio, sentivo la presenza di Dio più di ora […]Là, dove c’erano una grande solidarietà fra di noi, una fede profonda e la preghiera ho resistito; nasceva un’atmosfera sacra in prigione». L’esperienza vissuta nelle carceri comuniste lo spinge a dichiarare: «Non sono mai stato vicino a Dio di quanto lo sia stato in prigione».

Un’altra figura importante del libro è il sacerdote romano-cattolico, monsignor Vladimir Ghika (1873-1954). Di origini nobiliari, fu principe ma lasciò tutto in eredità al fratello. Definito l’apostolo del XX secolo da Jean Daujat, ha fondato l’ordine delle monache vicentine, creando le basi per la fondazione dell’ospedale “San Vincenzo de Paoli”.

Il suo martirio per la fede è stato riconosciuto da Papa Francesco, il 27 marzo 2013, è stato beatificato con una messa solenne a Bucarest. La sua beatificazione è molto importante anche per la nazione romena, perchè monsignor Ghika è divenuto secondo l’arcivescovo di Bucarest, «un faro non solo per la gente del suo tempo ma anche per le generazioni future».

La storia della resistenza anticomunista in Romania è legata ad una figura femminile straordinaria: la contadina Elisabeta Rizea 1912-2003). Una vera eroina che ha mantenuto la propria integrità e i propri principi, un simbolo della lotta e della resistenza contro il regime comunista. La sua testimonianza di libertà, di fede di fronte alle sofferenze causate da atroci torture è veramente preziosa. I comunisti ci hanno preso tutto, l’unica cosa che non sono riusciti a toccare è stata l’anima, diceva sempre.

Rizea, semplice donna, fa parte di quel gruppo di resistenza di Nucsoara, un piccolo centro, dove le donne hanno avuto un grande ruolo importante per sostenere la resistenza partigiana degli uomini fuggiti in montagna, diventati bersaglio di una caccia spietata ad opera della Securitate, la polizia segreta comunista.

Elisabeta, nazionalista e monarchica, diventa guerrigliera e fa la staffetta e la vivandiera degli anticomunisti rifugiatesi sui monti. «La Resistenza – racconta Lorena Curiman – non sarebbe stata possibile senza le donne. La loro partecipazione è nata dall’iniziativa spontanea di molte che hanno assunto il ruolo di corrieri e informatori, portando ai comandi dei partigiani aiuti (viveri e indumenti), notizie da casa e informazioni sui movimenti del nemico».

Nei racconti della Rizea, che è stata appesa per i capelli ad un gancio del soffitto per farla parlare, ci sono tutti gli elementi tipici delle guerriglie, che si può benissimo parlare di una vera e propria guerra partigiana anticomunista. Un’epopea durata ben 12 anni, tra i boschi delle montagne romene. In questa guerra, purtroppo sconosciuta, emergono alcuni leader dotati di qualità organizzative e militari, come il colonnello Gheorghe Arsenescu e il luogotenente Toma Arnautoiu e poi ex militari che formano il gruppo Haiducii Muscelului (gli aiducchi di Muscel). A quando un film su questi avvenimenti?

Avviandomi alla conclusione segnalo altri personaggi importanti presenti nel volume. Nicolae Steinhardt (1912-1989). Fu un monaco, per le caratteristiche delle sue prediche, viene definito un po’ “esotico”. Il rapporto con Dio e in particolare con Gesù è molto particolare, veniva visto come un gentleman, un cavaliere. Celebre un suo manoscritto, Jurnalul fericirii (il diario della felicità) Un testo che rappresenta un documento d’accusa, una testimonianza delle condizioni terribili delle carceri politiche comuniste. Pare che sia stato conosciuto e apprezzato da Papa san Giovanni Paolo II.

Infine altri personaggi presi inconsiderazione dalle studiose romene troviamo Petre Tutea (1901-1991), il Socrate della Romania.Mircea Vulcanescu 81904-1952) e Vasile Voiculescu (1884-1963). Peraltro le studiose ci tengono a precisare che «i personaggi ricordati in questo libro rappresentano solo una piccola parte della folta schiera di esponenti dell’èlite romena segregata nel buio delle carceri comuniste nel vano tentativo di annientare qualsiasi resistenza di carattere politico, culturale e religioso». Ricordo che per ogni personaggio, il libro offre una approfondita bibliografia con una serie di documenti fotografici.

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