Omofobia

Definizione e diagnosi

di Roberto Marchesini

Il termine “omofobia” è in genere attribuito a G. Weinberg, che lo utilizzò nel suo libro Society and the Healthy Homosexual (1972); un anno prima il termine era però già stato utilizzato da K. Smith. Il precursore del termine “omofobia” è l’analogo “omoerotofobia” usato da W. Churchill in Homosexual Behavior Among Males (1967).

La definizione che Weinberg da nel 1972 di “omofobia” è la seguente: “The fear expressed by heterosexuals of being in the presence of homosexuals, and the loathing that homosexual persons have for themselves” (1). In questa definizione il termine omofobia viene utilizzato per esprimere due concetti che attualmente sono distinti, ossia la “omofobia” (“the fear expressed by heterosexuals of being in the presence of homosexuals“) e la cosiddetta “omofobia internalizzata” (“the loathing that homosexual persons have for themselves“).

La distinzione tra “omofobia” e “omofobia internalizzata” è in uso dal 1988, quando Gonsiorek creò questa espressione dandone la seguente definizione: “l’incorporazione da parte di gay e lesbiche dei bias antiomosessuali prevalenti nel mondo sociale” (2); da allora il termine “omofobia” ha in genere una definizione piuttosto vaga, riassumibile tuttavia in questo modo: “atteggiamenti, comportamenti e convinzioni che sono discriminatorie e pregiudizievoli nei confronti dell’omosessualità” (3).

E’ evidente che la definizione corrente di “omofobia” si riferisce ad un atteggiamento, definito come “un sentimento positivo o negativo, generale e durevole nei confronti di una certa persona, oggetto o argomento” (4). Si possono classificare come atteggiamenti l’ammirazione nei confronti di una squadra di calcio, l’antipatia verso un politico, la preferenza per una marca di cioccolato piuttosto che un’altra.

Le fobie sono invece disturbi psichici definibili come “paure intense, esagerate, immotivate per situazioni, oggetti o azioni che il soggetto prova nonostante spesso non ne capisca la ragione. […] Il fobico posto a contatto con lo stimolo specifico temuto presenta in genere vere e proprie crisi d’ansia più o meno intense e paralizzanti“(5).

Alcune fobie tipiche sono ad esempio la claustrofobia (paura per gli spazi chiusi o senza finestre), l’agorafobia (paura eterogenea che racchiude la paura degli spazi aperti come il timore di restare intrappolati qualora possa sopraggiungere un malessere o la morte), l’acrofobia (paura dei luoghi elevati e dell’altezza), la nictofobia (paura del buio), l’aracnofobia (paura dei ragni)…

Perché venga diagnosticata una crisi d’ansia in seguito ad una fobia il DSM IV (6) stabilisce che debbano essere presenti almeno quattro dei seguenti sintomi: – palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia – sudorazione – tremori fini o a grandi scosse – dispnea o sensazione di soffocamento – dolore o fastidio al petto – nausea o disturbi addominali – sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento – derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi) – paura di perdere il controllo o di impazzire – paura di morire – parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio) – brividi o vampate di calore.

Considerato tutto ciò, il termine “omofobia” sembra decisamente inappropriato per designare un atteggiamento; infatti lo stesso DSM IV non riporta, tra le fobie, la “omofobia”. Recentemente (7), un gruppo di psicologi della University of Arkansas ha sottoposto 138 persone ad una serie di test e a tre questionari per la misurazione del livello di ansia e paura.

Tra i test somministrati l’Index of Attitudes towards Homosexuals (IAH), la Sexual Attitudes Scale, il Disgust Emotion Scale e il Padua Inventory; il primo è considerato lo strumento che misura la “omofobia”; il secondo indaga il pensiero delle persone nei confronti della sessualità umana; il terzo strumento aveva il compito di misurare le risposte delle persone in termini di disgusto mentre il Padua Inventory misura la paura di contaminazioni.

Le analisi statistiche compiute sui risultati hanno mostrato una correlazione negativa tra gli atteggiamenti nei confronti degli omosessuali e la misura di paura e ansia; invece i risultati del IAH erano correlati positivamente con i risultati della Sexual Attitudes Scale, del Disgust Emotion Scale e del Padua Inventory. In altre parole, i soggetti che mostrano punteggi elevati all’Index of Attitudes towards Homosexuals mostrano attitudini sessuali “tradizionali”, elevati livelli di disgusto e paura di contagio nei confronti dell’omosessualità: non paura e ansia.

La “omofobia” sarebbe quindi un atteggiamento, non una fobia.

Lo stesso professor Lohr, che ha guidato la ricerca e che da anni studia le fobie, ha commentato i risultati con queste parole: “If contempt and disgust drive homophobia, then it seems more of a moral or social problem than a psychopathological one. […] If we start to consider negative attitudes pathological – implying that there’s something medically wrong with prejudiced people, that they’re somehow sick with their own attitudes – that seems to me misguided” (8).

Invece pare proprio questo – la patologizzazione degli atteggiamenti – l’obiettivo da perseguire secondo F. Grillini, presidente dell’associazione Arcigay, che scrive: “Ecco perché è decisivo che […] si riesca a sconfiggere il pregiudizio e l’ignoranza e, soprattutto, l’omofobia, vera patologia moderna come ugualmente patologici sono il rifiuto della diversità, l’intolleranza e il razzismo” (9). Gli fa eco G. Rossi Barilli, che scrive: “Prima o poi si dovrà riconoscere che la vera malattia non è l’omosessualità ma l’omofobia” (10).

Ovviamente non manca chi, all’interno del mondo scientifico, preme perché venga al più presto inserita la “omofobia” all’interno dei manuali diagnostici, come ad esempio la dottoressa Katherine A. O’Hanlan, ginecologa e presidente emerita della Gay and Lesbian Medical Association, che in un articolo sostiene che “Homophobia as Psychiatric Pathology” (11). Esso sarebbe già diagnosticabile tramite il DSM IV utilizzando la categoria diagnostica riservata all’omosessualutà “egodistonica”, ossia “Persistente e intenso disagio riguardo all’orientamento sessuale” (12).

E’ chiaramente una forzatura, in quanto il persistente e intenso disagio è da intendersi riguardo al proprio orientamento sessuale, e non quello altri. C’è una evidente e probabilmente voluta confusione tra atteggiamento e patologia, e un utilizzo ideologico e strumentale delle categorie mediche e psichiatriche. Si profila uno scenario fantascientifico per cui gli attivisti gay, che sono riusciti tramite pressioni politiche (13) a far depennare la diagnosi di omosessualità a causa dello stigma sociale che questa poteva portare, ora cercano di stigmatizzare l’atteggiamento “omofobo” proprio attraverso una diagnosi psicopatologica.

Come accenna il dottor van den Aardweg “Chiunque non accetti l’omosessualità come cosa normale viene accusato di discriminazione a danno di persone diversamente dotate, persone che sono «sostanzialmente» diverse; forse – si dice – costui discrimina perché egli stesso reprime la componente omosessuale della propria vita emotiva o, peggio, perché soffre di «omofobia», timore patologico dell’omosessualità” (14).

Così il dottor Anatrella: “L’omofobia è il termine utilizzato dalle associazioni omosessuali per designare l’atteggiamento di tutti quelli che si interrogano e criticano la volontà di imporre alla società la banalizzazione e la normalizzazione dell’omosessualità. Secondo questi militanti, ogni critica sociale dell’omosessualità manifesta, in coloro che la formulano, una paura dell’omosessualità, se non addirittura persino il timore che loro ispira la propria omosessualità inconsciente” (15).

L’argomento più utilizzato a fini propagandistici da associazioni omosessuali, quando si scontrano con argomentazioni che non sono in grado di discutere né di contraddire, è quello dell’«omofobia». Questa nozione di omofobia (utilizzata in occasione della sfilata del Gay pride del 1999) è diventata un termine feticcio, che inibisce ogni riflessione e cerca di stigmatizzare coloro che ritengono che, socialmente, l’omosessualità pone un problema” (16).

In un crescendo paranoico, la “omofobia” sembra essere diventata la causa di tutto ciò che avviene alle persone con tendenze omosessuali: “la fragilità e la confusione” (17), una “sessualità disincarnata e destituita di relazione, autenticità e progetto” (18), “un linguaggio camp, un abbigliamento appariscente, un atteggiamento frivolo” (19), una particolare “sensibilità” (20) eccetera; la “omofobia”, e la conseguente “persecuzione” della società “omofobica”, diventa il principio esplicativo per ogni caratteristica che distingue le persone con tendenze omosessuali dagli eterosessuali.

Scrive Nicolosi: “Anche se, per definizione, una fobia è uno spropositato timore irrazionale, il termine «omofobia» è ormai impiegato per descrivere e spiegare qualsiasi reazione negativa nei confronti dell’omosessualità. Ogni problematica e sofferenza dell’omosessuale è attribuita o a un’omofobia sociale o a un’omofobia interiorizzata. In questa ottica, un rapporto scadente tra pare e figlio dipende dall’atteggiamento omofobico del padre che si sente minacciato dall’effemminatezza del figlio; oppure l’isolamento del ragazzo dai suoi coetanei è da ascrivere a una omofobia interiorizzata, così come l’alienazione dell’omosessuale adulto dalla famiglia e dalla società”.

“Negli anni dell’adolescenza, l’omofobia provoca depressione, scarsa autostima, abuso di droghe e alcolici, ma le possiamo attribuire anche al narcisismo, oppure agli atteggiamenti passivi e l’incapacità di autoaffermarsi. L’ambiente ostile genera anche problemi interpersonali – come l’incapacità di avere una relazione che duri nel tempo -, nonché conflitti all’interno della psiche, che vengono alla luce nel corso della terapia (Malyon 1982)”.

“La ricerca di sesso anonimo, infine, è attribuita al desiderio dell’individuo di autopunirsi a causa dell’omofobia interiorizzata. Nessuno vuole ammettere l’esistenza di problematiche insite nella condizione omosessuale. Weimberg (1972), l’uomo che ha coniato il termine «omofobia», si serve di ben cinque criteri di definizione, ma la caratteristica citata con maggior frequenza è quella di «minaccia per i valori» (pp. 16 – 17)”.

“Tuttavia, il termine è stato esteso oltre l’originaria definizione di Weimberg e oggi si riferisce a qualsiasi teoria che consideri l’omosessualità superiore alla e/o «più naturale» dell’omosessualità (Morin 1977). Se consideriamo questa definizione, qualsiasi cultura o tradizione religiosa della storia del mondo può esser considerata omofobica. Se chiedessimo a tutti i genitori del mondo se avrebbero voluto un figlio omosessuale, scopriremmo con certezza che siamo quasi tutti omofobici. Il termine è stato esteso ad nauseam”.

“Eppure, coloro che amano usare il termine non vogliono ammettere che è piuttosto naturale rifiutare lo stile di vita omosessuale all’interno dei propri valori, senza per questo avere una natura «fobica». Questo non significa temere che questo stile di vita possa mettere in pericolo i vari valori, vuol dire semplicemente non accettarlo come una via alternativa naturale e percorribile” (21).

In particolare sarebbe colpa della società “omofoba” – e non dell’egodistonia provocata dall’omosessualità – la maggior incidenza negli omosessuali di abuso di droghe e di bevande alcooliche, di tentativi di suicidio, di prostituzione e di problemi con la legge (22). “Sottoposti a prove tanto difficili, non sentendosi accettati o capiti dalle persone alle quali tengono di più, alcuni omosessuali possono finire nella disperazione, almeno per brevi periodi di tempo. Non è dunque sorprendente che qualcuno di loro pensi o addirittura tenti di togliersi la vita” (23).

Tuttavia la causa sembra da attribuirsi perlopiù da frustrazioni nella vita di coppia (gelosie, infedeltà) che non alla “persecuzione omofobica” (24). Commenta il dottor Nicolosi: “Un gruppo di ricerca guidato da Gary Remafedi ha messo a confronto un gruppo di adolescenti omosessuali e bisessuali che hanno tentato il suicidio con un gruppo di adolescenti omosessuali, e bisessuali che non vi hanno mai pensato. Nel 44 per cento dei casi, i soggetti attribuivano il tentativo di suicidio a «problemi familiari, fra cui i rapporti conflittuali con i membri della famiglia, la crisi matrimoniale dei genitori, il divorzio o l’alcolismo». A dire il vero, non è una novità il fatto che l’omosessualità sia associabile alle disfunzioni strutturali della famiglia di origine del soggetto. Affermare che i tentativi di suicidio siano dovuti solo (o principalmente) ai pregiudizi della società sembra essere una spiegazione semplicistica a un problema ben più complesso” (25).

In conclusione riportiamo alcune riflessioni sull’argomento del dottor Anatrella: “L’omofobia è un argomento di malafede e un prodotto dell’ansietà della psicologia omosessuale. In nome dell’omofobia, dei militanti vogliono soprattutto colpevolizzare gli eterosessuali. Riescono del resto a raggiungere questo obiettivo e a seminare il dubbio nella mente delle persone, come sa farlo il discorso del perverso narcisista che lascia intendere agli altri che ne sa di più sulla loro psicologia per meglio manipolarli. […] “

“Ogni critica, ogni riflessione che indica che l’omosessualità rappresenta un serio handicap psichico nell’elaborazione sessuale, ogni discorso umoristico che assumesse atteggiamenti derisori nei confronti dell’omosessualità, o ancora, il fatto di ricordare che la pratica dell’omosessualità non è moralmente corretta e che la maggior parte delle religioni la considerano come una contraddizione antropologica di valore universale e che soltanto la relazione di coppia uomo – donna sta alla base della società e del diritto, è giudicata come se fosse razzismo o, secondo lo slogan ormai di moda, come fosse omofobia”.

“Questa interpretazione psicologica non fondata traduce una carenza del pensiero che ha di mira le persone, per loro squalificare i loro discorsi e gli interrogativi che essi pongono. Così lo slogan dell’omofobia viene ripreso in maniera incantatoria, emozionale, e in una logica quasi settaria, poiché non si tratta tanto di riflettere e di sapere ciò che significa il fatto di volere istituire una realtà sessuale, ma di esercitare una manipolazione e un’influenza sulle menti colpevolizzandole. […]”

“L’utilizzazione dello slogan dell’omofobia è un effetto del linguaggio, che non rende conto della realtà. la maggior parte delle persone sono indifferenti agli omosessuali, di più ancora in una società individualistica dove ciascuno fa quello che vuole. […] L’utilizzazione abusiva, da parte di dottrinari della causa omosessuale, dell’immagine dell’omofobia, ci pone soprattutto di fronte a un’interpretazione proiettiva”.

“La fobia, la paura, è probabilmente più presente in coloro che se ne servono come di una bandiera che in coloro che vengono pressi di mira dalle parole di questi militanti. Il meccanismo abituale della fobia consiste nel far ricadere sul mondo esterno l’angoscia che una mozione pulsionale ispira, ma che è vissuta come un pericolo e un disappunto originati dall’esterno”.

“Freud aveva ragione di sottolineare che è talvolta impossibile essere intesi quando si denuncia una proiezione come una percezione erronea. Le interpretazioni proiettive possono strappare, per un periodo, l’adesione psicologica (che produce il fenomeno delle sette) o l’adesione politica (che produce la dittatura dei costumi), perché offrono un sistema di riferimenti concernenti la gestione che è assai rassicurante nella società individualistica attuale”.

“Fin quando le menti saranno mature per affrancarsi da questa tirannia. La repressione intellettuale si mobilita fino a immaginare la creazione di una sanzione penale. Si ha la pretesa, infatti, in certi ambienti associativi, se non addirittura politici, di voler creare «un delitto di omofobia», che sarebbe sanzionato dalla legge identificando la situazione degli omosessuali con quella di coloro che sono le vittime dell’antisemitismo e del razzismo. Una frode intellettuale si cela dietro questa confusione tra il razzismo e il rifiuto di porre su un piede di parità, nella società, l’omosessualità (che non è se no una tendenza sessuale tra le altre) con le due identità sessuali le quali, da sole, prevalgono nell’ambiente sociale” (26).

Bibliografia

Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1993, 2357 – 2359; Corrigenda di contenuti, Città del vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2358.

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Note

(1) “La paura espressa dagli eterosessuali di stare in presenza di omosessuali, e l’avversione che le persone omosessuali hanno nei loro stessi confronti” (trad. dell’autore dell’articolo).

(2) L. Pietrantoni, La gestione dello stigma antiomosessuale: omofobia internalizzata e autostima, in “Rivista di Scienze Sessuologiche”, n. 1-2, Del Cerro Editore, 1996.
(3) Del Favero, Palomba, Identità diverse, Roma, ed. Kappa, 1996, p. 200. A pagina 56 dello stesso volume possiamo leggere un’altra definizione di “omofobia”: “Ignoranza, insensibilità, stereotipi, modo di pensare, pregiudizi, discriminazioni e altri attributi negativi possono essere raggruppati sotto il concetto di omofobia”. I due autori si dichiarano nel primo capitolo “professionisti” psicoterapeuti “e uomini gay” (p. 17).
(4) Petty e Cacioppo, Attitudes and Persuasion: classic and contemporary approaches, Dobuque, Iowa, Wm C. Brown, 1981, p. 7; cit. in Hewstone, Stroebe, Codol, Stephenson, Introduzione alla psicologia sociale, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 162. Per una esauriente riflessione sul concetto di atteggiamento si veda ibidem, pp. 162 – 165.
(5) G. Colombo, Manuale di Psicopatologia Generale, Padova, Cleup, 1996, p. 211.
(6) American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali IV, Milano, 2000. Si tratta del più diffuso manuale diagnostico, tanto da costituire uno standard per la diagnosi dei disturbi mentali.
(7) Olatunji, B. O., Sawchuk, C. N., Lohr, J. M., & de Jong, P. J. (in press), Disgust domains in the prediction of contamination fear. Behaviour Research and Therapy.
(8) “Se il disprezzo e il disgusto guidano l’omofobia, essa sembra più un problema morale o sociale che un problema psicopatologico. Se cominciamo a considerare patologici gli atteggiamenti negativi – con l’implicazione che c’è qualcosa di sbagliato dal punto di vista medico nelle persone con pregiudizi, che essi sono in qualche modo malati nei loro atteggiamenti -, ciò mi sembra aberrante” (trad. dell’autore dell’articolo).
(9) F. Grillini, Prefazione, in Del Favero, Palomba, Identità diverse, op. cit, p. 12.
(10) G. Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, Milano, Feltrinelli, 1999, p. VIII.
(11) Homophobia As a Health Hazard: Report of the Gay and Lesbian Medical Association.
(12) American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali IV, op. cit., F52.9 – Disturbo Sessuale Non Altrimenti Specificato.
(13) Cfr. J. Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Milano, ed. Sugarco,2002, pp. 18 – 21.
(14) G. van den Aardweg, Omosessualità e speranza, Milano, Ares, 1995, p. 16.
(15) T. Anatrella, voce Omosessualità e omofobia, in Lexicon, Città del vaticano, LEV, 2003, p. 686. In data 16 giugno 2003 è stata proposta una querela – presso la questura di Bologna – da Paola Dell’Orto in Dall’Orto, nella qualità di presidente e legale rappresentante della associazione AGEDO (Associazione Genitori di Omosessuali); il PM ha chiesto l’archiviazione in data 23 giugno 2003 dichiarando “Ma se è incontestabile la piena liceità di tali pubblicazioni ed iniziative [da parte dell’AgeDO], stupisce invece che la querelante non voglia riconoscere una simmetrica e pari libertà ad esponenti del mondo cattolico, di raccogliere in un volume il loro pensiero. […] Per fortuna viviamo in un Pese libero. L’art. 21 della Costituzione è il caposaldo di ogni dibattito culturale, anche su temi sociali e religiosi (sui quali ultimi concorre anche la libertà garantita dall’art. 19 Cost.). I libri, strumento essenziale della nostra civiltà e della nostra cultura per il progresso collettivo della società ed individuale delle persone – in altri tempi e in altri luoghi venivano bruciati pubblicamente, ma oggi non possono essere sequestrati (come già spiegato nel provvedimento citato in data 20 giugno 2003) né penalizzati. Ritenuta quindi l’infondatezza assoluta della notizia di reato devesi richiedere immediatamente l’archiviazione, per insussistenza dei reati ipotizzati dalla querela“. L’AgeDO ha reagito chiedendo a simpatizzanti ed iscritti di denunciare a titolo personale la stessa pubblicazione e fornendo un fac simile della querela.
(16) T. Anatrella, voce Omosessualità e omofobia, in Lexicon, Città del vaticano, LEV, 2003, p. 691.
(17) P. Rigliano, Amori senza scandalo, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 101.
(18) Ibidem, p. 129.
(19) Ibidem, p. 148.
(20) Ibidem, p. 156.
(21) J. Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, op. cit., pp. 104 – 105
(22) Cfr. ibidem, pp. 125 – 127.
(23) Barbagli, Colombo, Omosessuali moderni, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 57.
(24) G. van den Aardweg, «Matrimonio» omosessuale & affidamento a omosessuali, in “Studi cattolici”, 449/50, luglio/agosto 1998, p. 501.
(25) Nicolosi, Ames Nicolosi, Omosessualità – Una guida per i genitori, Milano, Sugarco, 2002, p. 126.
(26) T. Anatrella, voce Omosessualità e omofobia, in Lexicon, Città del vaticano, LEV, 2003, passim.