La strategia del porno? Creare dipendenza per avere clienti fissi e stipendi alti

Da Punto famiglia gennaio 2019

I dati dell’Internet Filter Review calcolano che oltre 28 mila persone ogni secondo accedono a materiale hard-core tramite internet, 3 milioni e 75 mila sono i secondi spesi a navigare sui siti a luci rosse. Quaranta milioni di americani accedono a video e immagini erotiche regolarmente. Circa 200 mila americani ne sono gravemente dipendenti. Una catastrofe di cui si sa poco.

di Gabriele Soliani

Di tutto si fa mercato e ovviamente a questa regola non può sfuggire la pornografia, anzi forse questo è uno dei mercati più fiorenti. I dati dell’Internet Filter Review calcolano che oltre 28 mila persone ogni secondo accedono a materiale hard-core tramite internet, 3 milioni e 75 mila sono i secondi spesi a navigare sui siti a luci rosse. Quaranta milioni di americani accedono a video e immagini erotiche regolarmente. Circa 200 mila americani ne sono gravemente dipendenti. Nel 2017 uno dei canali internet dell’industria porno più frequentati ha dichiarato che nel 2016 sono state spese ben 4,6 miliardi di ore (oltre 500 anni) di fronte ai video pornografici con un traffico di gran lunga superiore a quello della Bbc o della Cnn.

In Italia più o meno si viaggia con lo stesso ritmo. La ricerca più recente pubblicata nel 2016 dal professor Carlo Foresta, dell’Università di Padova, ha rilevato che il 78% dei giovani è un “visitatore abituale” di siti hard con collegamenti settimanali (63%), e di una o più volte al giorno (8%) con una media di permanenza che raggiunge anche i 30 minuti. Di questi ragazzi il 10 per cento si è dichiarato dipendente.

Dunque il mercato della pornografia cerca di creare dipendenza per poter avere clienti. Il meccanismo è conosciuto: la visione, soprattutto maschile, colpisce l’emotività che mette in azione i neuroni con produzione di dopamina con gli stessi effetti degli oppiacei.

In una bella intervista di poco più di un anno fa il Corriere diede voce a Luce Caponegro, in arte Selene, che negli anni ’90 era considerata una “stella” erede di Moana Pozzi e di Ilona Staller. Poi ad un certo punto la decisione di chiudere con questa “professione”. Probabilmente è stato il figlio di 10 anni a dare il via al cambiamento della madre quando le ha chiesto di spiegargli che lavoro faceva. Nella chiacchierata con il giornalista Valerio Cappelli si intravedono le tracce di un cammino doloroso che tocca i suoi punti più significativi quando parla di quel passato.

“Il porno? Un errore, ci abbiamo messo una vita a rimediare”. Il mercato dell’hard? “Si è rivelato un mondo dark, scuro, quasi gotico. Era brutto vedere le ragazze dell’Est costrette al sesso estremo… dove con una scena guadagnavano la paga di un anno a Budapest… lo squallore, la droga”. La carriera di pornostar? “Gli ultimi tempi sono stati una tortura, la trasgressione era diventata un lavoro odioso. Ho dovuto fare film quando volevo smettere, cercando di costruire ciò che ho sempre desiderato, una famiglia”.

Già, proprio la famiglia, quella che tutti cercano e che tanto bene porta alle persone quando si rivela una relazione di affetti e condivisione.

Ed infatti la pornografia agisce sui giovani e i legami famigliari. Gli effetti collaterali sono tristemente noti: ridotta capacità di amare perché il sesso diventa il centro di tutto, poi delusioni e frustrazioni che possono spingere ad atti violenti dove il partner, usato come uno strumento, diviene “una cosa”. E poi ancora depressioni, crisi d’astinenza, divorzi. Il porno può trascinare tutto via con sé: affetti, relazioni, sentimenti. Fino a portare disperazione e idee di suicidio.

Anche la semplice pubblicità televisiva e dei quotidiani in modo più leggero fa uso del corpo, specialmente femminile, per colpire l’immaginazione e stupire. In fondo si tratta di pubblicizzare prodotti e questo la rende ancor più avvilente. Secondo questa logica un corpo è un prodotto. Dovremmo dire per precisione: una donna è un prodotto, dove la donna diventa strumento per vendere. Forse dovrebbero le donne stesse ribellarsi, ma non sembra sia così. È importante educarci ed educare al senso del pudore, quello che mantiene nella sua dignità la persona e non oltrepassa il buon senso. Si comincia da bambini, e in questo il padre e la madre dovrebbero essere dei maestri.