Staminali, una concreta speranza per chi ha danni cerebrali

Federico Cremisi

da Il Corriere del Sud 12 Dicembre 2018

Nunzia Martucci

Sono già passati tre mesi da quando le agenzie di stampa hanno lanciato la notizia: un team di ricercatori coordinato da Federico Cremisi, del Laboratorio di Biologia della Scuola Normale Superiore di Pisa, coadiuvato da Matteo Caleo, dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche, è riuscito a trasformare cellule staminali in neuroni che, trapiantate nel cervello di topi vivi, hanno dimostrato di sviluppare connessioni, funzionando come i neuroni naturali. Il risultato, pubblicato sulla rivista Stem Cell Reports, potrebbe aprire la strada a future terapie per riparare i danni cerebrali.

Il dottor Cremisi ha gentilmente accettato di rispondere a qualche nostra domanda

Da quanti anni fa ricerca?

Faccio ricerca da 30 anni, ho iniziato a fare attività sperimentale nel campo della biologia molecolare durante il corso di dottorato in biologia evoluzionistica e del differenziamento presso l’Università di Napoli Federico II.

– In cosa consiste il suo filone di ricerca?

Da molti anni mi occupo dei meccanismi che creano la diversità cellulare: vale a dire come da una cellula uovo e dai primi tessuti embrionali possano originare tutti i tipi di cellule specializzate che compongono i nostri tessuti ed organi adulti, ad esempio le cellule del sangue, le cellule muscolari, quelle della pelle, e così via. Io mi occupo dei diversi tipi di cellule nervose: fra tutti i tipi diversi di cellule quelle nervose mostrano la maggiore diversità. Esistono migliaia di diversi tipi di neuroni nelle diverse regioni del cervello e capire i segnali che ne indirizzano il destino rappresenta una delle sfide più grandi per i biologi che, come me, studiano lo sviluppo dell’embrione.

– Ha iniziato subito con la ricerca in questo campo o si è avvicinato dopo aver esplorato altri settori di ricerca?

In realtà non ho iniziato come biologo dello sviluppo ma come biologo molecolare. In Italia sono stato fra i primi giovani studenti a ricombinare e clonare il DNA. Col tempo ho capito che studiare le molecole biologiche senza studiarne la funzione non mi interessava. Adesso mi considero più un biologo cellulare che un biologo molecolare. Cerco di capire come le molecole modificano le cellule e con esse le funzioni biologiche.

– Perché conviene puntare sulla produzione di cellule nervose specializzate e non generiche?

Il sistema nervoso funziona in virtù di connessioni giuste fra cellule diverse. Ci sono migliaia di diversi tipi di cellule nervose in centinaia di regioni encefaliche diverse ed ognuna di queste cellule contatta ed è contattata da altre cellule, ben precise. Il cervello si basa su questo tipo di rete complessa. Pretendere che una cellula generica impiantata in una data regione del cervello possa funzionar bene è come collegare un computer ad una stampante con il cavo del monitor e aspettarsi che stampi. Non credo a questo approccio, anche se alcuni colleghi sostengano che le cellule impiantate ed il cervello ospite, al contrario dei collegamenti dei computer, siano plastici e possano fare nuovi tipi di connessioni funzionanti.

– Da quali zone provengono le cellule? Sono di un tipo specifico?

Le cellule da riprogrammare si chiamano fibroblasti e provengono da un piccolo prelievo cutaneo, ad esempio del braccio. Non c’è una zona particolare. In realtà non esiste neppure un tipo specifico di cellula che si presti meglio alla riprogrammazione: si possono riprogrammare anche cellule non della pelle, semplicemente i fibroblasti sono più abbondanti e crescono meglio, quindi se ne può avere un gran numero in coltura, velocemente. Questo è importante perché la riprogrammazione è un fenomeno altamente inefficiente e solo 1 cellula su mille viene riprogrammata attivando forzatamente i 4 geni scoperti da Shin’ya Yamanaka – insignito del premio Nobel 2012 assieme a John Gurdon). Quindi bisogna partire da molte cellule. Singole cellule riprogrammate poi, dividendosi una volta al giorno, possono riempire alcune piastre di coltura nel giro di poche settimane.

– Può quantificarci i tempi di produzione di cellule nervose specializzate?

Le cellule riprogrammate sono come quelle di un embrione poco dopo il suo impianto nell’utero: possono fare tutti i tessuti ed organi dell’organismo adulto. Nessuno sa ancora perché ma, in assenza di segnali chimici ben definiti, queste cellule tendono a diventare cellule nervose. Purtroppo il tempo non può essere accorciato e quindi bisogna aspettare tre mesi, quello che più o meno occorre ad un embrione umano per formare le prime cellule nervose di corteccia. Durante questi tre mesi noi dobbiamo controllare che i segnali chimici prodotti dalle stesse cellule in coltura non interferiscano con il loro differenziamento come cellule nervose della corteccia motoria, somministrando a tempi specifici certi segnali chimici

– Che sinergia auspica si possa creare tra la sua ricerca e la ricerca clinica?

Auspico che i ricercatori medici clinici possano rapidamente recepire i dati generati dalle nostre ricerche, in special modo i risultati ottenuti trapiantando cellule nervose di topo, ed in futuro umane, nei topo di laboratorio con ictus. Spero che, sulla base delle nostre ricerche, possano rapidamente utilizzare le cellule nervose umane prodotte con i nostri protocolli in sperimentazione clinica con pazienti.

– La sua ricerca in Italia è sostenuta anche da privati? Se no, potrebbe esserlo?

La nostra ricerca, come la maggior parte della ricerca di base, è sostenuta solo da organismi pubblici. Tecnicamente può essere sostenuta anche da enti privati, tuttavia negli ultimi anni i bandi di ricerca finalizzata a ictus sono pressoché assenti in Italia.

– Ci sono i presupposti per lo sviluppo di una efficiente “filiera di ricerca” che parta dallo studio dell’istologia e dell’embriologia animale ed arrivi fino all’ intervento chirurgico sull’uomo?

Penso che in Italia una filiera di ricerca che parte dallo studio dell’istologia e dell’embriologia animale ed arriva fino all’ intervento chirurgico sull’uomo, passando attraverso lo studio dei meccanismi molecolari dei processi di sviluppo embrionale e di neurodegenerazione, esista già e sia ben strutturata in distinti centri di ricerca, universitari e non universitari (per esempio il CNR). Questa filiera però non è supportata da finanziamenti adeguati. Gli organismi governativi e privati infatti preferiscono finanziare un unico centro che racchiuda diverse competenze (l’istologo, il biologo cellulare, l’embriologo, il bioinformatico, il chimico, il medico clinico, il chirurgo). Nella pratica, centri di questo tipo esistono in Italia per lo studio e la cura dei tumori (ad esempio l’IFOM di Milano) ma non per lo studio delle malattie neurodegenerative. Personalmente, credo ancora molto nei vantaggi della de-localizzazione e della libertà ed indipendenza nella ricerca, soprattutto di base.