Dal web alle piazze: così è esploso il business delle sostanze (legali e non)

da Vita Dicembre 2018

Il mercato adesso sì fonda su un principio di marketing chiaro: alimentare la dipendenza in se stessa, al di là della tipologia di droga. Un sistema complesso in cui convivono online e canali distributivi tipici degli anni del boom dell’eroina

di Stefano Arduini

E’ cambiato tutto. Ma non ci siamo accorti di nulla. Il mercato delle sostanze negli ultimi anni ha vissuto una vera e propria rivoluzione copernicana che ha introdotto un nuovo paradigma «fondato sulla dipendenza in se stessa, prima ancora che sulla dipendenza da sostanze», per usare le parole di Riccardo Gatti, uno dei più attenti analisti dei meccanismi di vendila e distribuzione delle sostanze. Gatti dirige il dipartimento interaziendale prestazioni erogate nell’area Dipendenze (Dipdad) della Asst Santi Paolo e Carlo della città di Milano. In questa sede parla a titolo personale e allo stesso titolo alimenta il blog droga, net (una fonte utilissima per chi si interessi di fenomeni sociali, dipendenze e patologie correlate).

Oltre a lui nel viaggio alla scoperta dei nuovi meccanismi del business dello sballo (se ha ancora un senso definirlo così) ci accompagna uno dei massimi esperti di “nuove droghe”, Carlo Donatelli, direttore del Centro Nazionale Informazione Tossicologica della Maugeri di Pavia.

Partiamo dai dati. Dalla Relazione al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia: le stime condotte nel 2017 confermano un sensibile cambiamento nella composizione dei modelli di consumo delle sostanze psicoattive, a favore di un aumento di quelli più pericolosi per gli utilizzatori: aumentano infatti sia le frequenze d’uso che il poli-uso di tutte le sostanze, oltre che il cosiddetto consumo problematico di cannabis. Circa 4 milioni di italiani hanno utilizzato almeno una sostanza stupefacente illegale e, di questi, mezzo milione ne fa un uso frequente.

Secondo il nono libro bianco sulle droghe presentato a giugno da un pool di organizzazioni del Terzo settore siamo di fronte a una vera impennata dell’uso di droga fra i minorenni: quadruplicato il consumo, che è invece raddoppiato per gli adulti. Fino a qui le sostanze illegali. Come vedremo però le fotografie tradizionali fatica no a inquadrare uno dei fenomeni deflagranti degli ultimi anni: la comparsa sul mercato delle nuove sostanze psicoattive, definite paradossalmente anche smart drugs, ovvero farmaci furbi perché non presenti come tali o come principi attivi in essi contenuti nelle tabelle legislative delle corrispondenti leggi che proibiscono l’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope. Sostanzialmente si tratta di sostanze legali, o meglio “non illegali” facilmente reperibili, in particolare online.

Occorre capire come è cambiato il mercato per comprendere il quadro dentro il quale è tornata ad esplodere l’emergenza droga. Tenendo a mente una premessa, negli ultimi anni, pensiamo ai casi di Pamela a Macerata o di Desirée nel quartiere San Lorenzo a Roma, le evidenze più drammatiche e mediatiche nel dibattito pubblico sono state rubricate sotto il rapitolo “sicurezza ‘immigrazione”. Il risultato? Non ci abbiamo capito nulla.

Un business in evoluzione

Si domanda Pier Paolo Pasolini, in uno dei suo interventi sul la rubrica il Caos che ha tenuto dal 16agosto 1968 al 24 gennaio 1970 sulle colonne del Tempo: «Perché ci si droga? Non lo capisco, ma in qualche modo lo spiego. Ci si droga per mancanza di cultura. Parlo, s’intende, della grande maggioranza o della media dei drogati. È chiaro che chi si droga lo fa per riempire un vuoto, un’assenza di qualcosa, che dà smarrimento e angoscia E’ un sostituto della magia. I primitivi sono sempre di fronte a questo vuoto terribile, nel loro interno. Ernesto De Martino lo chiama “paura della perdita della propria presenza”; e i primitivi, appunto, riempiono questo vuoto ricorrendo alla magia, che lo spiega e lo riempie». L’articolo è uscito il 28 dicembre del 1968.

«Dentro quel vuoto culturale di passaggio fra una società sempre meno agricola e sempre più industriale nacque la prima epidemia di eroina», osserva Gatti. «All’interno di quel contesto l’utilizzo delle sostanze, pur molto diffuso e molto preoccupante, era limitato a una condizione sociale alterata». Insomma era circoscritta ai borderline intesi sia come gruppi sociali, sia come aree urbane.

«Sostanzialmente un cerchio chiuso e molto problematico: la droga costava molto e quindi esauriva le risorse familiari in modo repentino. A quel punto davanti ai tossici si aprivano tre strade: spacciare, prostituirsi o curarsi». Sono gli anni 80 immortalati dalle foto di Dino Fracchia al parco Lambro. Ma sono anche gli anni della nascita delle comunità terapeutiche (nel 1985, solo per fare un esempio, partì la prima carovana di Exodus). «Con la comparsa dell’Aids», interviene Gatti, «legata allo scambio di siringhe e alla prostituzione dei tossici, la questione droga esce dal perimetro della devianza e diventa un problema di tutti.

Le comunità sono una delle risposte italiane, mentre in altre zone del mondo, pensiamo agli Stati Uniti, si conia la definizione di Warondrugs con tutto quello che segue (gli States spendono circa 500 milioni di dollari all’anno in aiuti alla Colombia, largamente usati per combattere i gruppi di guerriglieri come le Farc che sono coinvolti nel commercio illegale di droga. Ndr). In altre parole la droga diventa il male assoluto, una “malattia” che ormai poteva infettare la buona borghesia».

Siamo ormai agli anni 90, mentre le truppe a stelle e strisce si occupano del Sudamerica, in Italia viene approvala la Jervolino-Vassalli che sancisce (poi emendata col referendum del 1993; la distinzione fra droghe leggere e droghe pensanti e introduce al di sopra di alcuni livelli la punibilità del consumo di sostanze. Don Antonio Mazzi, Vincenzo Muccioli, Francesco Cardella sono un giorno sì e uno no in televisione. C’è anche chi si spinge a proporre il fondatore di San Patrignano come presidente del Consiglio. È il picco di attenzione. Nel frattempo piano piano si spegne l’allarme Aids.

«In questo momento sul mercato si registra una prima svolta», nota Gatti. L’eroina lascia il passo alla cocaina, soprattutto, e alla marijuana. «Le tre vecchie sorelle», le definisce Locatelli. Si passa da un consumo di nicchia a un consumo di massa. Ancora Gatti: «Noi siamo sempre concentrati sulla sostanza senza riflettere a sufficienza sui contesti. Col nuovo corso ogni sostanza ha il suo target, i suoi stereotipi. Usi il Suv, vesti solo camice bianche e frequenti i locali alla moda e discoteche? La cocaina è la tua droga. Ti sposti in bicicletta e hai il pallino dell’equosolidale? Sei il tipo da canna». Puro marketing.

E l’eroina? Non sparisce, anche se è sempre meno visibile. Locatelli: «Quando arriva una nuova droga, il meccanismo è quello dell’affiancamento mai quello della sostituzione». Il punto è perché cambiano i prezzi che incominciano ad abbassarsi e anche i meccanismi di distribuzione. «Lo spaccio», spiega Gatti, «si allontana dalle piazze ed entra negli uffici, nelle scuole e nelle case. Lo spacciatore è uno della tua cerchia oppure, se non lo conosci direttamente è comunque lui a spostarsi e a raggiungerti». E’ l’offerta che va alla domanda e non viceversa. I taxi della droga.

All’inizio degli anni 2000 assistiamo all’altra grande frattura culturale che ci porta alla contemporaneità. «Il paradigma della società interconnessa supera quello della società industriale», osserva Gatti. Siamo al cospetto di un altro vuoto, «quello degli adulti, che non sono più percepiti dai giovani come depositari dell’esperienza. I nuovi media non servono solo a comunicare. ma anche a informarsi e ad acquistare. Internet diventa uno sterminato supermercato delle sostanze, in particolare di quelle psicoattive a scopo non terapeutico».

Attenzione alle date: il 2005, come ricorda Locatelli, è l’anno dello sbarco massiccio sul mercato delle cosiddette smart drugs. L’anno dopo viene licenziata la Fini-Giovanardi die inaspriva le sanzioni e superava la distinzione pesanti-leggere. Una norma, presentata in pompa magna del governo di centrodestra, che, al di là della valutazione nel contenuto, aveva le ali spuntate già dalla nascita.

Le sostanze legali

Locatelli, come detto dirige il Centro Nazionale Informazione Tossicologica della Maugeri. Tra le funzioni fondamentali del Cnit c’è quella dei coordinamento clinico e tossicologico per il sistema nazionale di allerta rapida per le droghe che fa capo al dipartimento delle Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri. In altre parole è la sentinella che vigila sul mercato delle sostanze. Ascoltiamolo: «Le sostanze psicoattive compaiono sul mercato proprio intorno al 2005. Sono sostanze legali, perché non rientrano ancora nelle tabelle ministeriali e quindi non sono regolamentate. Oggi di queste sostanze nuove ne conosciamo circa 800, perché abbiamo tracciato i siti che le vendono, ci sono stati casi di malattia o di morte o sono state individuale alle dogane. Ma non sappiamo in realtà quante ce ne siano in circolazione».

Perché, allora non sono state dichiarate illegali? «Perché per farlo occorre seguire processi costosi di analisi e osservazioni che possono durare diversi mesi, ma anche anni a seconda delle evidenze che ricostruiscano l’effettiva pericolosità della sostanza». Che tipo di effetti producono? «I più diversi, difficile generalizzare: eccitazione, delirio e via dicendo, è ovvio che non siano innocue, ma fino a quando non c’è la dimostrazione scientifica non possono essere messe fuori legge». In questo momento escono sul mercato circa un centinaio di queste sostanze ogni anno, mentre i servizi hanno tracciato non più dì 1.500 consumatori di queste sostanze, spesso intercettati perché finiscono in pronto soccorso per gravi intossicazioni. Una goccia nel mare. Degli altri praticamente non si sa nulla. «Nell’ultimo anno ne sono uscite una settantina, un po’ meno, ma questo dato può dipendere dalla capacità di rilevazione del sistema europeo, ma anche da una scelta ponderata dettata dal fatto che ce ne sono in circolazione già molte». Obiettivo, quindi, non saturare il mercato.

L’offerta di queste sostanze, «veicolata generalmente dal nuovo spacciatore globale che è internet, in particolare siti cinesi e indiani che operano come freelance e i cui eventuali legami coi vecchi cartelli della droga ad oggi non sono noti, fa leva su un altro aspetto: l’apparente legalità induce nel consumatore una falsa percezione di sicurezza. Se una sostanza è venduta sul web, c’è un sito, non è illegale, non c’è alcuna avvisaglia di rischio per la salute, mi dicono che mi rende felice, che mi fa divertire, costa poco più di uno spinello (5-10 euro), perché non devo prenderla?».

Nel frattempo però il vecchio mondo non scompare. Anzi le vecchie sorelle si riaffacciano sul mercato, sotto nuove spoglie e con principi attivi molto più alti e pericolosi: l’eroina gialla per esempio. La stessa relazione al Parlamento, come abbiamo visto, parla del boom del poli abuso e del poli consumo e le morti per overdose sono in crescita.

Il panorama in estrema sintesi oggi è questo: un’offerta molto dinamica, multitasking, digita le e fisica (pensiamo solo al nuovo parco Lambro di Rogoredo a Milano, e alle tante nuove piazze dello spaccio note e meno note) e in grado di iniettare sul mercato con meccanismi di franchising una vastissima tipologia di sostanze illegali, ma anche (e soprattutto) legali «molto difficili da dosare non soltanto per chi le usa, ma anche per chi le vende: una di quelle che va per la maggiore è un trattamento a base di fontanile, un potente analgesico oppioide sintetico», specifica Gatti Che prosegue: «Il marketing che si affacciava su questo mercato all’inizio degli anni 90 oggi si è evoluto, la droga è diventata un brand e il consumatore più munifico è quello che noi stessi definiamo “a rischio”. Ed è proprio sulla dipendenza dal rischio, prima ancora che dalla sostanza che si sviluppa tutta l’attività di promozione e divulgazione on e offline».

La politica che fa?

Verrebbe da chiedersi dove siano finite le istituzioni? Di fatto da anni in Italia non esiste più una politica antidroga in grado di fissare obiettivi chiari e immaginare interventi innovativi. Il premier Antonio Conte non ha mai convocato il Comitato nazionale di coordinamento per l’azione antidroga, una specie di “Consiglio dei Ministri dedicato” che si riunisce sul tema specifico ed ha, per legge, “responsabilità di indirizzo e di promozione della politica generale di prevenzione e di intervento contro la illecita produzione e diffusione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, a livello interno ed internazionale”.

Non che i suoi ultimi predecessori abbiano dimostrato una maggiore e diversa attenzione per il tema. Il dipartimento nazionale è di fatto una scatola vuota, praticamente sconosciuto al grande pubblico. L’ultima conferenza nazionale risale al marzo 2009, quasi dieci anni fa. I sistemi di previsione, anche quelli di grande qualità come Prevolab, che già nel 2009 prevedeva la stabilizzazione dei consunti di cocaina e il ritorno dell’eroina, sono stati cestinati. A livello locale gli interventi sulle dipendenze sono stati portati, forse sarebbe meglio dire annacquati dentro il calderone della sanità.

La droga è tornata. L’abuso di alcol, che ancora oggi uccide più delle droghe come ben sanno i medici dei nostri pronti soccorso, rimane inossidabile. E noi sostanzial­mente non sappiamo cosa fare. Così abbiamo preferito chiudere gli occhi. Blackout Italia. Quando ci sveglieremo?