Iraq, dopo la guerra perseguitano anche gli “atei”

La Nuova Bussola quotidiana

8 Agosto 2018

In Iraq oggi lo scontro tra sunniti e sciiti è più violento che mai. Come del resto lo stato del genocidio cristiano. Ora si aggiunge una persecuzione in più: quella degli “atei”. Che non sempre lo sono realmente: si considerano tali coloro che si oppongono ai regimi islamici che sia gli sciiti che i sunniti vorrebbero instaurare.

di Lorenzo Formicola

In Iraq oggi lo scontro tra sunniti e sciiti è più violento che mai. Come del resto lo stato del genocidio cristiano. Eppure un nuovo campanello d’allarme suona da un po’ anche per chi osa definirsi ateo.

La scure della persecuzione islamica, negli ultimi mesi, ha reso più palese l’odio contro i senza-dio. Cosa certo non nuova. Ma per la prima volta a casa loro, e non solo nell’Occidente malato di nichilismo. Al Monitor – giornale che offre uno sguardo inedito sul Medio Oriente – riporta ben quattro mandati d’arresto per il solo mese di marzo, nel distretto di Garraf. Il giudice Dhida al-Ekili ne ha già mandato uno in gattabuia per ateismo, ma l’accusa pende sulla testa di altri tre individui a cui ha promesso lo stesso destino. Le forze d’intelligence e di sicurezza sono sulle loro tracce, ci ha tenuto a comunicare alla stampa, ed è quasi certo che non avranno scampo.

Scopo della repressione è sia politico che religioso. Perché nei paesi islamici non può essere tollerata la ‘promozione’ di una realtà che nega l’esistenza di un qualche dio. E il giudice è tenuto a condannare non solo la loro coscienza ma i seminari che, pare, i comuni cittadini stanno organizzando nell’ultimo periodo. Le elezioni locali sono a meno di due mesi, e l’ateismo, per parte della popolazione, è un credo politico: vuol dire opposizione sfrenata all’islam che è un progetto politico, prima che una religione. La gente è stanca della corruzione, della miseria, delle guerre e in questo modo manifesta il fallimento dei partiti islamici e dei loro regimi negli ultimi dieci anni.

Perché siamo in quell’angolo di mondo, l’Iraq, in cui è ancora difficile cogliere la differenza fra laicità e ateismo. È facile, piuttosto, confondere le opinioni intellettuali con i diritti umani, e ci si definisce ‘atei’, allora, semplicemente per andare contro le autorità locali e i loro partiti ispirati all’islam politico. Lo scontro, ancora una volta, si inserisce in una cornice geopolitica che guarda con estrema preoccupazione il momento delle prossime elezioni: la sfida tra sunniti e sciiti per il governo vuol dire anche la scelta degli alleati.

E i cosiddetti ‘atei’, allora, sono un problema, perché escono dai margini preconfezionati dai partiti. L’accusa di ateismo quindi diventa utile al gioco di disegnare quelle linee che nessuno deve osare oltrepassare per non essere ritenuti contrari al sistema. E dunque nemici politici. La qual cosa non provoca alcun disagio nelle autorità che si sentono così agevolate nel principio di repressione connaturato all’islam: chiunque abbia una visione opposta e non intende cambiarla, specialmente se mette in discussione le pratiche, gli imam e la religione tutta, va represso.

E allora la repressione del “fenomeno dell’ateismo” si fa più urgente che mai alla vigilia di un momento politico. Ma non solo. Il magistrato al- Ekili dice che si tratta di una persecuzione in accordo con il codice penale iracheno. Ali Jaber al-Tamimi – avvocato e analista politico – ci ha tenuto a precisare che “non esistono articoli nel codice penale iracheno che prevedano la punizione diretta per ateismo, né esistono leggi speciali in grado di punire gli atei”. Ma esistono, quelli sì, “articoli che puniscono la profanazione delle religioni”. E se con la scusa del reato di profanazione dell’islam in Iraq, e in Medio Oriente, ci sono galera, torture e multe, in Europa c’è il sangue, effetto collaterale del terrorismo. È la carta che lo impone.

Con internet e i social network, poi, la fotografia del momento storico e della triste realtà è ancora più nitida. I social media stanano quanti osano essere in disaccordo con l’islam e nessuno è più al sicuro. Ahmad Wahid, noto cabarettista, nell’ultimo periodo vive dell’avversione dura e violenta dell’ateismo. Uno show costruito sul mettere in ridicolo l’ateismo, o presunto tale, è un comodo escamotage – che ci si creda o meno – per essere ben visti dal regime. Demonizzare chi è contro Allah è un trucco del mestiere, oltre che un obbligo morale e civile.

Come lo è del resto la persecuzione ai cristiani. Rapimenti, uccisioni, calunnie e incitamento all’odio nelle moschee portano a ulteriori persecuzioni. Nel maggio 2017, Middle East Monitor ha registrato un’incidenza di incitamento all’odio da parte di uno dei più alti religiosi iracheni sciiti, che ha dichiarato pubblicamente che cristiani, ebrei e altre minoranze religiose devono “convertirsi all’Islam, pagare la tassa religiosa (jizya) o essere uccisi”. Il genocidio è lento, ma inesorabile. E riguarda tutti coloro che non intendono digerire l’islam.