“Humanae vitae”: aspetti politici dell’enciclica sull’amore coniugale.

Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân 3 maggio 2018

di Stefano Fontana

Venerdì 20 aprile 2018, Stefano Fontana ha tenuto una relazione presso la Facoltà teologica della Sardegna, a Cagliari, ove ha trattato del tema: “Humanae vitae, aspetti politici dell’enciclica sull’amore coniugale”. Il suo intervento era stato introdotto dal Preside Prof. Padre Francesco Maceri e dal prof. Don Roberto Caria, docente di Morale sociale. Anche S. E. il Vescovo di Cagliari, Mons. Arrigo Miglio, ha voluto essere presente per un saluto. [N.d.r.]

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L’attuale panorama delle considerazioni sull’enciclica di Paolo VI Humanae vitae, soprattutto in occasione del suo 50mo anniversario (1968-2018), appare per molti versi «di confusione e di incertezza» [1]. Nonostante l’insegnamento dell’enciclica sia considerato da molti come “irreformabile” [2], la discussione è aperta. In questo confronto, si tengono in considerazione gli aspetti della Humanae vitae che riguardano la teologia morale e la pastorale, un interesse molto più debole invece viene dedicato al rapporto tra l’enciclica e l’ambito pubblico della fede cristiana in rapporto con la ragione politica. L’enciclica non interessa solo i coniugi e i confessori, ha un significato molto più ampio e considerarne gli aspetti “pubblici” può essere utile a metterlo in luce.

La Humanae vitae nella interpretazione della Caritas in veritate di Benedetto XVI

Benedetto XVI ha collocato la Humanae vitae nell’ambito delle encicliche “sociali”. Nella Caritas in veritate (2009), dedicata a commemorare il 40mo anniversario della Populorum progressio, egli dedica un intero capitolo a riconsiderare l’apporto complessivo di Paolo VI alla Dottrina sociale della Chiesa. Una certa interpretazione voleva che Paolo VI avesse trattato di questo argomento in tono minore rispetto ai suoi predecessori, specialmente per aver commemorato la Rerum novarum di Leone XIII solo con una Esortazione apostolica come la Octogesima adveniens (1971) anziché con una enciclica, in corrispondenza del presunto ridimensionamento che la Dottrina sociale della Chiesa avrebbe avuto nella Gaudium et spes del Vaticano II.

Va anche aggiunto che, secondo una vulgata accreditata, Paolo VI nella Octogesima adveniens avrebbe diminuito il carattere dottrinale e vincolante della Dottrina sociale della Chiesa dato che, nel paragrafo 4, ha affermato che la Chiesa non ha una parola da dire su tutte le questioni e che spetta alle Conferenze episcopali leggere la situazione locale e dare gli orientamenti necessari. Queste valutazioni si inserivano nel quadro teologico montante a quel tempo di severa critica verso la Dottrina sociale della Chiesa di cui, come è noto, alcuni teologici avevano decretato addirittura l’impossibilità [3].

Benedetto XVI, invece, nella Caritas in veritate riconosce a Paolo VI un posto di primo piano nello sviluppo della moderna Dottrina sociale della Chiesa, non solo per la Populorum progressio, ma per l’intero suo magistero, espresso anche in interventi non a carattere direttamente sociale, come l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975) e, appunto, la Humanae vitae.

È di notevole interesse per il nostro discorso che proprio questa enciclica, dedicata all’amore coniugale e alla procreazione, sia collocata da Benedetto XVI tra i documenti primari dell’insegnamento sociale di Paolo VI. Ciò significa che il suo tema centrale – appunto l’amore coniugale e la procreazione – ha un ruolo di fondamento per la corretta impostazione della questione sociale: «L’enciclica Humanae vitae sottolinea il significato insieme unitivo e procreativo della sessualità, ponendo così a fondamento della società la coppia degli sposi, uomo e donna, che si accolgono reciprocamente nella distinzione e nella complementarietà: una coppia, dunque, aperta alla vita» [4].

In questo passo, come avremo modo di dire meglio in seguito, si stabilisce un rapporto fondamentale tra l’etica coniugale unitiva e aperta alla vita [5] e l’etica sociale: «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono» [6].

Su questo punto specifico, la Humanae vitae è collegata, come loro momento originario, con le encicliche di Giovanni Paolo II Evangelium vitae e Veritatis splendor [7], ma, si potrebbe dire, con tutto il magistero di questo Pontefice. Nello stesso tempo non è da dimenticare che la Caritas in veritate invita a considerare l’unità della Dottrina sociale della Chiesa preconciliare e postconciliare, evitando di erigere tra le due dei muri dottrinali o pastorali [8].

In questo senso si deve riconoscere che Humanae vitae esplicita gli insegnamenti precedenti, per esempio quelli della Arcanum divinae sapientiae (1880) di Leone XIII [9] e della Casti connubi (1930) di Pio XI [10].

L’insegnamento di Paolo VI si pone quindi al centro di uno sviluppo che lo precede e che lo segue e di cui rappresenta uno snodo di fondamentale importanza. Mi riferisco all’insegnamento specifico sul matrimonio e sull’apertura alla vita nel matrimonio, sicché è difficile negare che una revisione della Humanae vitae, anche solo pastoralmente argomentata, provocherebbe lo smottamento di tutto un autorevole e organico insegnamento riguardante la vita sociale e politica e, quindi, la Dottrina sociale della Chiesa [11].

Il significato “pubblico” della sessualità coniugale

La sessualità e l’amore coniugale possiedono un importante significato pubblico, che la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre considerato e proposto. Si tratta di qualcosa di profondamente personale, ma non privato: «Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione delle loro persone, con la quale si perfezionano a vicenda per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione delle nuove vite» [12].

L’amore coniugale ha a che fare con l’istituto del matrimonio, la procreazione, la famiglia, lo status dell’uomo e della donna nelle loro relazioni reciproche nella società, il livello di moralità generale della società, il rapporto tra pubblico e privato, l’educazione dei giovani, le politiche nei confronti della famiglia e della natalità [13], l’esistenza di un ordine naturale delle cose… È impossibile relegare la sessualità nel mero campo del privato.

Nella relazione sessuale della coppia sono presenti i due aspetti fondamentali della società e della socialità, intrinsecamente connessi tra loro. All’origine della società e della socialità non stanno due individui asessuati, indifferenti rispetto all’una o all’altra identità sessuata, ma una coppia eterosessuale uomo-donna. È questo il motivo politico ultimo per cui la coppia eterosessuale va confermata e sostenuta con l’istituto del matrimonio, mentre la realtà dei due individui asessuati non può godere di riconoscimento politico e rimane nell’ambito del privato.

La dimensione di società presente nella coppia consiste nella procreazione: senza di essa la società morirebbe per assenza di ricambio. Potrà diventare possibile anche la produzione artificiale di individui anziché la loro procreazione naturale, come in parte sta già avvenendo con la fecondazione artificiale. In questi casi, però, verrebbe meno la società come società umana, a meno di non intendere quest’ultima come una serie di individui accostati l’uno all’altro come delle entità numeriche secondo la concezione di Hobbes o di Rousseau.

Se la società è anche una comunità, e non si capisce come possa la società umana non esserlo, allora essa non può ridursi ad una somma di individui originariamente irrelati, come sarebbe appunto una società di individui prodotti anziché generati. Si deve quindi riconoscere che senza la coppia eterosessuale si costituirebbe una società a-sociale. La socialità – comunione, accoglienza, complementarietà, amicizia, solidarietà – ossia il collante immateriale che tiene uniti i cittadini ordinandoli ad un fine comune deve essere già presente nel momento iniziale e costitutivo della coppia eterosessuale aperta alla vita o non ci sarà mai più.

Con ciò abbiamo già toccato la socialità, il secondo degli aspetti che danno all’amore coniugale una valenza pubblica. Nella realtà di due individui omo-sessuati non c’è comunione in quanto non c’è complementarietà e i due non si completano ma si sommano. Nella dualità complementare uomo-donna i due si uniscono in una nuova realtà senza tuttavia annullarsi, bensì arricchendosi, nella realtà appunto della loro unione: «una sola carne» secondo Mt 19,5-6.

Nella dualità autoreferenziale, invece, i due non si uniscono e dalla loro relazione non nasce nessuna realtà nuova. Mentre la relazione eterosessuale è originariamente pubblica, e per questo chiama di per sé il matrimonio, la relazione sessuale omosessuale è originariamente privata, e per questo non può essere riconosciuta come matrimonio.

Mentre la relazione eterosessuale avviene secondo un ordine indisponibile ai due soggetti, l’ordine naturale appunto, e quindi secondo una vocazione, l’altra non avviene secondo un ordine, ma secondo un desiderio che rimane nell’ambito della disponibilità umana [14]. Nella prima c’è una vocazione che “tira fuori” i due dalla loro individualità e, in ciò, li unisce, nella seconda i due non sono tratti fuori dai loro desideri individuali e rimangono quindi individui come unità numerica. Incontriamo qui il concetto di vocazione [15], che ha un significato pubblico molto importante come approfondirò in seguito, ma che a questo stadio del nostro discorso possiamo semplicemente considerare come la chiamata ad esplicitare la propria natura, in questo caso di maschio e di femmina, contenuta finalisticamente nella propria natura stessa.

Tale vocazione è connessa con l’apertura alla vita, perché solo a questa condizione è una accoglienza reciproca complementare incondizionata. L’unione tra moglie e marito richiede l’apertura alla vita, altrimenti l’accoglienza tra i due è strumentale e la loro relazione viene ricondotta, in contrasto con la vocazione riconosciuta e presente nel linguaggio dei due corpi differenziati e complementari, alla relazione della coppia omosessuata e sterile [16].

La vocazione alla reciproca complementarietà implica l’incondizionatezza dell’amore e l’amore per essere incondizionato non deve procedere dalle condizioni poste dai due contraenti ma dall’imporsi di un ordine che li precede e li trascende e che è inscritto nella loro natura. Sempre che, ovviamente, si concepisca il termine “natura” nel suo significato metafisico, secondo l’uso fattone dalla Humanae vitae, e non in senso naturalistico o fisicistico [17].

Ne deriva che la socialità, intesa come accoglienza reciproca secondo un ordine finalistico che ci è dato e che ci costituisce nella relazione, ha origine nell’amore coniugale, ossia nella relazione sessuata tra uomo e donna e che la società ha il dovere di proteggere con l’istituto del matrimonio. Se all’origine della società non stanno due individui ma una coppia, e se questa coppia è tale in quanto così costituita dall’assunzione di un ordine indisponibile, di una vocazione, allora la sessualità di coppia ha un ruolo pubblico veramente fondamentale, perché nessun’altra realizzazione di accoglienza sarebbe mai possibile se venisse a mancare questa. La relazione sessuale coniugale è l’archetipo di ogni relazione autenticamente sociale.

Il carattere in-politico della indifferenza sessuale

L’enciclica Humanae vitae dà una valutazione moralmente negativa della contraccezione, oltre che dell’aborto e della sterilizzazione [18], inserendo la questione dentro l’ambito dell’amore coniugale. In base a quanto detto finora, la contraccezione ha un significato in-politico, ossia corrode socialità e politicità anziché produrla e richiederla.

Essa, come si diceva, impedisce il dono di sé, che se è tale deve essere incondizionato, e introduce un aspetto di contrattualità tecnica tesa a garantirsi la disponibilità del processo relazionale. In questo modo la relazione sessuale diventa fine a stessa e l’uso del proprio e dell’altrui corpo si fa strumentale. Le istanze di parte e interessate prendono il sopravvento sul fine comune del perfezionamento della coppia nella relazione reciproca e unitaria. Con la contraccezione la relazione non avviene secondo un ordine naturale e quindi si configura come una forma di violenza, anche se consenziente. Ciò che non rispetta la natura è sempre anche violento.

Si noti che la contraccezione riduce il corpo a mero corpo, ossia a strumento che, a questo punto, diventa sessualmente indifferente, perché non è più il corpo dell’uomo e della donna che interloquiscono tra di loro secondo l’ordine aperto alla vita che promana dalla loro natura, ma è un corpo dissociato dalla sponsalità e quindi da una autentica reciprocità.

Tale dissociazione avviene anche quando l’uso della contraccezione è assunta all’interno del matrimonio, con cui, in questo caso, confligge La contraccezione introduce la tecnica nell’amore umano e così lo trasforma in tecnica. Ma la tecnica è, in quanto tecnica, un nudo fare. Il corpo viene denudato, al punto da smettere anche il vestito dell’uomo e della donna.

Si comprende così come la contraccezione apra le porte al processo che ha condotto fino all’omosessualismo e all’ideologia gender [19], la quale proclama la completa indifferenza alla identità sessuata nell’ambito di una visione postumanistica e interpreta le relazioni corporee come polivalenti e variamente fungibili, ossia come naturalmente e finalisticamente indifferenti. Vale a dire come nuda tecnica [20].

Per il pensiero classico, la filosofia cristiana e la Dottrina sociale della Chiesa non c’è un’origine della società, la quale esiste per natura da quando c’è l’uomo, che è un animale sociale. Il coniugio uomo-donna è naturale e originario, al punto che la famiglia che ne nasce non può essere assunta tra i corpi intermedi della società essendo invece una società naturale, preesistente ad ogni altra [21].

Ma secondo la mentalità aperta dalla contraccezione e sviluppatasi poi fino all’attuale teoria del gender, all’origine della società starebbero due individui neutri rispetto a qualsiasi ordine naturale ed oggettivo e in un rapporto reciproco di carattere strumentale. Questa situazione richiama quella teorizzata dai pensatori politici moderni circa l’origine della società. Il proton pseudos, l’’errore iniziale del pensiero politico moderno, come ricordava Marino Gentile [22], è stato di affidare al consenso pattizio gli stessi fondamenti della comunità politica.

Thomas Hobbes

Questo fece appunto Hobbes, secondo l’interpretazione datane da Schmitt: «questo patto non concerne una collettività già data, creata da Dio, e neppure un ordine naturale preesistente; piuttosto lo Stato – come ordine e come collettività – è il risultato dell’intelletto umano e dell’umana capacità creativa, e solo da patto trae la propria origine» [23]. Lo stesso accade tra i due ipotetici individui asessuati del nostro esempio, essi pensano che la relazione nasca da un loro patto funzionale e non da un ordine naturale.

Si noti che secondo Hobbes anche nello stato di natura si potevano fare patti, ma sarebbero stati anarchici patti sociali, convenzioni non moralmente legittimate, mentre il Leviatano si origina oltre questi patti, non viene a costituirsi tramite l’accordo ma al di là di esso e quindi è qualcosa di incomparabilmente superiore. Per questa superiorità, il Leviatano è come un Dio in terra, data la sua artificialità funzionale esso è una macchina, e siccome Cartesio aveva detto che l’uomo è un “intelletto in una macchina”, il Leviatano di Hobbes è il grande uomo che coincide con la grande macchina [24].

In questo modo si giunge alla attuale neutralità dello Stato rispetto ai contenuti. Se lo Stato è magnun artificium, allora esso è uno strumento tecnico-neutrale [25] il cui valore sta nell’essere una buona macchina “indipendente da ogni contenuto di fini o di convincimenti politici, e acquista neutralità rispetto ai valori e alla verità propria di uno strumento tecnico [26].

Nella neutralità, auctoritas e potestas coincidono. Non è forse vero che le attuali leggi contro il matrimonio, la famiglia e la vita presuppongono questa concezione del potere e della legge? Anche oggi ci si trova di fronte ad uno Stato “neutrale” e ad una macchina tanto efficace quanto formale e puramente procedurale. Le analogie tra la situazione relazionale di coppia creata dalla contraccezione – neutra, indifferente ad un ordine dato, finalizzata alla strumentalità tecnica – e la costruzione politica moderna, che mira ugualmente alla neutralità, sono sorprendenti e testimoniano la in-politicità di fondo della relazione sessuale basata sulla contraccezione. Essa blocca la politicità al suo inizio. Si può dire che non ne permetta l’impianto.

Un aspetto dell’analisi del Leviatano non deve però sfuggire. Gli uomini sono costretti ad inventare il Leviatano data la situazione di disperazione in cui si trovano nello stato di natura. Solo un uomo disperato può mettersi nella mani di un potere che è Dio, uomo, animale e macchina. Il pensiero politico e giuridico moderno di Hobbes o di Bodin nasce dalla disperazione dell’uomo solo e nudo in uno stato di natura endemicamente conflittuale, un uomo talmente disperato di poter godere la pace al punto da affidarne l’attuazione non ad un Defensor pacis, ma di un Creator pacis, quale appunto il Leviatano.

Disperato quell’uomo dato che il Dio-Stato che gli garantisce la pace non può garantirgli la speranza. Che l’uso della contraccezione indichi mancanza di speranza è abbastanza evidente, come è evidente che, in questo modo, nella famiglia non entra la pace ma la guerra.

Il privato e il pubblico

Nell’uso della contraccezione nella relazione sessuale tra uomo e donna è contenuto il principio in-politico di una società intesa come una serie di individui accostati e sottomessi ad un potere assoluto, neutro da principi e valori e, quindi tecnicamente onnipotente. La conseguenza è che l’ambito della trasmissione della vita nella famiglia, che la contraccezione voleva trattenere nell’ambito privato e individuale, viene invece invasa dal potere politico, quindi dal pubblico.

L’apertura alla vita e la relazione secondo un ordine naturale garantiscono la dimensione pubblica della sessualità e richiamano l’istituzione del matrimonio dentro il quale realizzarsi in modo pienamente umano. Lo Stato, come richiedeva espressamente per esempio la Casti connubi, doveva rispettare e difendere il matrimonio religioso non solo dal divorzio ma anche dal  matrimonio civile [27] e proteggere inoltre la fedeltà coniugale [28].

Ciò garantiva anche lo spazio profondamente personale della sponsalità e la difendeva da intrusioni e invasioni. La contraccezione intende liberarsi dall’apertura alla vita e da un ordine naturale, considerandoli come indebita invadenza del pubblico nel privato ed invece apre il piano della relazione personale alla devastazione della tecnica, del mercato, dei parlamenti e dei poteri nazionali e internazionali.

Oggi la sessualità umana vive questa contraddizione: da un lato è privatizzata completamente e dall’altro è pubblicizzata completamente. È privatizzata perché completamente devoluta alle decisioni individuali dei partners, qualsiasi costoro siano e qualsiasi siano tali loro decisioni. Questa è la conseguenza della concezione dell’autodeterminazione come unico valore morale, politico e giuridico [29].

Ambito privato in questo caso significa un contesto di pura decisionalità in cui tutte le regole morali o sociali o politiche sono inibite. Privato, quindi, vuol dire non solo esente da interventi pubblici, ma anche e prima di tutto non giudicabile da considerazioni comuni, condivise, partecipate. Ogni altro giudizio che non sia quello individuale è sospeso. Il privato è così lo spazio dell’anomia, dell’assenza di legge, qualcosa di simile, come si diceva sopra, allo stato di natura ipotizzato dai pensatori politici moderni [30]. Il privato è l’ambito in cui ognuno è sovrano a se stesso e perciò è anche il luogo della violenza reciproca e della sopraffazione dato che in questo regime c’è tanto di diritto quanto di potenza, come scriveva Spinoza [31].

Il potere che nasce da questo contesto privato, tuttavia, non può essere a sua volta che privato. Come l’individuo nello stato di natura è sovrano a se stesso e non dipende che dalla propria forza, così il sovrano, secondo Hobbes o Bodin, è colui che non dipende da altro se non dalla propria spada. Anche il Leviatano, come un soggetto privato, non dipende che da se stesso e non è soggetto a regole, tanto è vero che nei confronti degli altri Stati si trova esattamente nella situazione dello stato di natura in cui si trovavano i singoli prima della nascita della società.

Secondo Hobbes, il Leviatano è un privato più forte degli altri, capace di garantire pace e conservazione dei beni. Egli è il Grande Privato sicché il pubblico si configura come la relazione dei cittadini tra loro e dei singoli cittadini con lo Stato, visto come “uomo artificiale”. È questa la distinzione tra interesse pubblico e bene comune.

Ora, proprio questo conferisce allo Stato come Summum artificium un potere assoluto sui privati, al punto da poterne invadere la privatezza fino ad annullarla. È così che pubblico e privato entrano in corto circuito tra loro. Hobbes, infatti, non ammette nessun diritto di resistenza verso il Leviatano, ossia nessuna rivendicazione di un diritto privato rispetto al diritto pubblico, come il Leviatano di oggi tende a non ammettere più nessun diritto all’obiezione di coscienza.

Con lo Stato-macchina di Hobbes viene lucidamente e tragicamente fondata la “neutralità”, secondo cui lo “Stato ha il proprio ordine in se stesso e non fuori di sé”. Esso può pretendere obbedienza incondizionata e se oggi lo Stato non consente l’obiezione di coscienza è perché il Leviatano non può ammettere un “diritto di resistenza”.

Si assiste così al paradosso di un ambito privato sempre più invaso dal pubblico inteso a sua volta come un privato, solo più forte, e gli uomini, come dice la Humanae vitae con sorprendente chiaroveggenza, «arriverebbero a lasciare in balia dell’intervento delle autorità pubbliche il settore più personale e più riservato della intimità coniugale» [32].

Si capisce con ciò come sia possibile che la sessualità – che doveva essere privata – sia messa in piazza in tutti i modi, sia messa a nudo e pubblicizzata, come la pornografia sia dilagante ed esista ormai una pornografia di Stato, e come ogni censura sia oggi considerata una ingiusta imposizione, come sia stato abolito dal codice penale italiano il reato di atti osceni in luogo pubblico, come in molti Stati la prostituzione sia legalizzata, come la castità sia derisa e la poligamia sincronica o diacronica promossa e apprezzata, come i progetti educativi secondo l’ideologia gender siano istituzionalmente promossi nelle scuole pubbliche [33].

Lo Stato non ha più una propria moralità che faccia da guida alle sue politiche, ma ciò non lo induce ad astenersi, quanto piuttosto ad entrare nel privato per imporre tale sua assenza di moralità come un valore. I bambini vengono corrotti in tenera età e i giovani incitati all’uso irresponsabile della propria sessualità.

L’invasione da parte del potere politico di ambiti collegati con la sessualità, con la procreazione c on la vita familiare è evidente e massiccia, e merita qui qualche altra osservazione. Un primo ambito di intervento è quello della pianificazione familiare. Secondo la dottrina morale cattolica ciò può essere compito solo degli sposi. Tuttavia il potere politico in molti casi ha dettato norme precise sulla procreazione, non solo nei casi assai noti del comunismo cinese.

Le agenzie delle Nazioni Unite portano avanti sistematicamente programmi di contraccezione, sterilizzazione di massa e aborto, in collaborazione con i governi e con le Ong internazionali [34]. L’Organizzazione delle Nazioni Unite, a cominciare dal 1994 con il Vertice internazionale del Cairo su popolazione e sviluppo, ha iniziato un vero e proprio cambio di paradigma sulla sessualità umana imponendolo a livello internazionale [35].

Le Corti internazionali di giustizia per i diritti umani processano gli Stati che non hanno ancora adeguato la loro legislazione al riconoscimento della fecondazione artificiale o dell’aborto [36]. Esiste un piano internazionale contro l’aumento demografico finanziato dai grandi poteri internazionali [37]. È noto inoltre che progetti di eugenetica non sono una esclusiva del regime nazista ma sono stati applicati anche nelle democrazie occidentali [38] e lo sono tuttora secondo nuove modalità rese possibile dalla fecondazione artificiale. Tutto ciò è conseguenza e nello stesso tempo prelude al progetto post (o trans) umanista [39], vale a dire ad una “nuova creazione”.

Impostare la relazione coniugale non in termini di contraccezione ma di sponsalità aperta alla vita, permette di uscire da questa morsa della contrapposizione moderna tra pubblico e privato. La relazione sessuale tra uomo e donna aperta alla vita non si può dire né privata né pubblica nei significati ora visti. Essa è personale e comunitaria.

Essendo intimamente personale essa richiede la virtù del pudore non solo tra i coniugi stessi ma anche richiede un pudore sociale e pubblico, per così dire, tenendo conto che lì nascono la società e la socialità. Giovanni Paolo II ha scritto che oggi l’individuo si sente schiacciato tra lo Stato e il mercato [40]. Egli si riferiva alle condizioni economiche della società odierna, ma la frase può essere usata anche per illustrare la relazione sessuale di coppia che è colonizzata dal mercato tramite la potente industria del sesso e dallo Stato con politiche e leggi devastanti.

L’ideologia politica dei nuovi Catari

Questa colonizzazione dell’ambito personale e familiare da parte del pubblico nasce, come si è visto, dalla eliminazione della trascendenza nella relazione sponsale e dalla sua riduzione a piena disponibilità tecnica. Ciò dipende dalla nuova considerazione del corpo umano seguita alla applicazione massiccia nella seconda metà degli anni Sessanta della pillola anticoncezionale. Questa invenzione ha mutato in modo radicale la concezione del corpo, segnando una vera e propria svolta, che la Humanae vitae aveva ben visto.

Da quel momento il corpo è diventato uno strumento da adoperarsi in modo discrezionale, non esprimendo più un disegno su di noi. Il corpo si separava così dalla natura e dai fini che essa esprimeva. Un corpo inteso in senso post-naturale avrebbe contribuito a rendere post-naturali le relazioni sessuali, procreative e familiari.

Al giorno d’oggi una posizione siffatta può essere chiamata di neo-catarismo [41]. La religione catara, espressione medioevale della gnosi, intendeva il corpo umano come separato dall’anima, conseguenza della visione della materia come male [42]. Per i catari la creazione era cattiva e di conseguenza pure il matrimonio e la procreazione. Essi celebravano la sessualità sterile. Data la separazione tra corpo e anima un uso lascivo e lussurioso del corpo non avrebbe inciso sullo spirito del cataro che sarebbe rimasto quindi puro. La demonizzazione della materia e del corpo li privano di un senso e della capacità di esprimere un messaggio, sono solo qualcosa di negativo che va adoperato come fine a se stesso. Il corpo e l’anima sono accostati, non sono uniti.

L’occasione per una rinascita del neocatarismo, come si diceva, è stata l’invenzione e l’applicazione della pillola anticoncezionale. Da quel momento è stato un crescendo inarrestabile. La sessualità fuori del matrimonio, un certo femminismo come emancipazione dall’essere mamma fino all’emancipazione dall’essere donna, l’omosessualità considerata non solo come equipollente ma spesso addirittura superiore all’eterosessualità in quanto appunto sterile, la pluralità degli orientamenti sessuali in relazione con il diverso utilizzo tecnico dei corpi, la rettifica del sesso non solo tramite interventi chirurgici ma con una semplice dichiarazione all’anagrafe.

Chi non crede all’impatto sociale della contraccezione, consideri le leggi e le politiche su tutti questi temi da allora in poi e dovrà ravvedersi. L’impatto sulla società e sulle politiche è stato enorme. Basti pensare che questa mutazione implica un cambiamento radicale nelle politiche di genere, in quelle familiari, in quelle scolastiche ed educative, nel welfare, nelle politiche giovanili, in quelle fiscali e così via.

Le previsioni fatte da Paolo VI nel già citato paragrafo 17 della Humanae vitae, pur nella loro durezza, erano perfino ottimiste rispetto a quanto è poi successo. Prova non che erano sbagliate, ma solo che la realtà le ha superate. La legge Cirinnà sulle unioni civili, per esempio, comporta che in tutto l’ordinamento giuridico italiano le espressioni famiglia, genitore, genitori debbano essere intese come riguardanti anche la coppia omosessuale. Non si tratta quindi di un cambiamento residuale ma totale, che va dall’assegnazione di un alloggio pubblico al regolamento interno di una scuola.

La Humanae vitae e la Dottrina sociale della Chiesa

Augusto del Noce

Augusto Del Noce, a proposito di Paolo VI, ha scritto che a questo pontefice «toccò vivere in uno dei momenti più difficili e più dolorosi dell’intera storia della Chiesa [e come] negli anni del pontificato di Paolo VI si sia scatenato il più grande Kulturkampf contro le credenze religiose tradizionali» [43]. Ma è altrettanto certo, sempre secondo Del Noce, come «egli fu irremovibile nella conservazione del deposito della fede, e lo sia stato altrettanto nella riaffermazione dei principi della morale cattolica» [44].

Il riferimento alla morale cattolica riguarda certamente la Humanae vitae, per la quale il Papa fu lasciato ampiamente solo. Il clima di quegli anni, così ben descritto da Jacques Maritain ne “Il contadino della Garonna” [45], conosceva però anche un altro significativo obiettivo della medesima Kulturkampf: la Dottrina sociale della Chiesa, che iniziava proprio allora ad essere negata e contraddetta in modo strutturale. Questo parallelo tra le sorti della Humanae vitae e quelle della Dottrina sociale della Chiesa sotto attacco concentrico può essere molto significativo per il nostro discorso.

Il passo più importante della Humanae vitae a questo proposito è il seguente: «Nessun fedele vorrà negare che al magistero della Chiesa spetti di interpretare anche la legge morale naturale. È infatti incontestabile, come hanno più volte dichiarato i nostri predecessori, che Gesù Cristo, comunicando a Pietro e agli apostoli la sua divina autorità e inviandoli a insegnare a tutte le genti i suoi comandamenti, li costituiva custodi e interpreti autentici di tutta la legge morale, non solo cioè della legge evangelica, ma anche di quella naturale. Infatti anche la legge naturale è espressione della volontà di Dio, l’adempimento fedele di essa è parimenti necessario alla salvezza eterna degli uomini» [46].

L’enciclica di Paolo VI ha un impianto di pensiero fondato, come si capisce dal passo appena ripreso, sulla legge morale naturale la quale è anche a fondamento della Dottrina sociale della Chiesa. L’ammissione della legge morale naturale implica l’accettazione di un ordine finalistico della natura e, quindi, richiede uno sguardo di tipo metafisico. La legge morale naturale viene ripresa, confermata e approfondita dalla Veritatis splendor e le capacità metafisiche della ragione umana dalla Fides et ratio, alle quali, anticipatamente, la Humanae vitae rimanda e dalle quali viene confermata.

La Dottrina sociale della Chiesa, da parte sua e parallelamente, fa proprie ambedue queste prospettive. Ciò è reso evidente da tutto l’insegnamento sociale, dalla Rerum novarum alla Caritas in veritate. Infine, va notato che il riferimento alla legge morale naturale richiama al suo fondamento ultimo trascendente e, quindi, al posto di Dio nell’ambito pubblico. La Humanae vitae non manca mai di adoperare l’espressione “legge naturale e divina”.

Si basa su questi fondamenti l’appello finale della Humanae vitae ai pubblici poteri, affinché «non lascino che si degradi la moralità dei loro popoli; non accettino che si introducano in modo legale in quella cellula fondamentale dello Stato, che è la famiglia, pratiche contrarie alla legge naturale e divina» [47].

É ovvio che se questo impianto filosofico dovesse venir meno e ad esso dovesse subentrare una visione che accolga il “trascendentale moderno” nella forma dello storicismo, dell’esistenzialismo o dell’ermeneutica, l’impianto stesso potrebbe essere rivisto e, con esso, anche le disposizioni particolari della Humanae vitae. Si tratterebbe, però, di un cambiamento molto ampio e dirompente, con effetti che andrebbero ben oltre l’enciclica di cui commemoriamo il cinquantesimo anniversario.

Stefano Fontana

“HUMANAE VITAE”: ASPETTI POLITICI 

DELL’ENCICLICA SULL’AMORE CONIUGALE

Facoltà teologica della Sardegna

Cagliari, 20 aprile 2018

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[1] Pawel Stanislaw Galuszka, Karol Wojtyla e Humanae vitae. Il contributo dell’arcivescovo di Cracovia e del gruppo di teologi polacchi all’enciclica di Paolo VI, Cantagalli, Siena 2017, p. 12.

[2] Cfr. Card. Karol Wojtyla, Lettera al Papa Paolo VI (1969), Ivi, p. 526: «Impossibile pensare che la morale coniugale racchiusa nell’enciclica Humanae vitae possa essere revocata, ossia, che possa essere considerata fallibile».

[3] La critica più nota e diventata quasi canonica fu quella di Marie-Dominique Chenu in La Dottrina sociale della Chiesa. Origine e sviluppo (1891-1991), Queriniana, Brescia 1974.

[4] Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate (2009), n. 15.

[5] Si noti che l’etica cristiana dell’ et-et non significa mai giustapposizione dei due elementi di volta in volta presi in questione, ma la loro complementarietà secondo un ordine che sempre prevede la priorità dell’uno sull’altro e non la semplice pariteticità. In questo caso la priorità appartiene nell’apertura alla vita, che è causa finale della relazione coniugale, mentre il significato unitivo è la causa formale. In altre parole non ci può essere unità tra gli sposi senza l’apertura alla vita. Sulla corretta dimensione del rapporto et-et cfr. Mauro Gagliardi, La verità è sintetica, Cantagalli, Siena 2018, pp. 89-101.

[6] Ivi, n. 28. Cfr. anche il n. 44: «L’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica».

[7] La Veritatis spoendor fa esplicitamente propri gli insegnamenti di Humanae vitae sulla contraccezione elaborandone i fondamenti morali; cfr n. 47.

[8] Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, Ivi, n. 12.

[9] Cfr. Stefano Fontana, Le “altre” encicliche di Leone XIII, un patrimonio da non dimenticare, “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”, XII (2016) 4, pp. 142-145.

[10] L’insegnamento della Humanae vitae sulla contraccezione è evidentemente in continuità con quello della Casti connubi, pur essendo stata scritta quest’ultima ben prima della creazione della pillola contraccettiva: «Coloro che nell’usarne lo [l’atto sessuale] rendono studiosamente incapace di questa conseguenza [la procreazione], operano contro natura, compiendo un’azione turpe e intrinsecamente disonesta» (Pio XI, Lett. Enc. Casti connubi, in Enchiridion delle encicliche, 5, Pio XI (1922-1939), EDB, Bologna 1995, p. 625).

[11] «Una messa in questione o una liquidazione dell’enciclica con la scusa di un suo “aggiornamento” avrebbe conseguenze negative per tutto l’ambito della Dottrina sociale della Chiesa» (Giampaolo Crepaldi, La Humanae vitae e la moderna questione sociale nel 50mo anniversario dell’enciclica, “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”, XIII (2017) 4, p. 133.

[12] Paolo VI, Lett. Enc. Humanae vitae, n. 8.

[13] Ivi, n. 17. Cfr. Michel Schooyans, La profezia di Paolo VI. L’enciclica Humanae vitae (1969), Cantagalli, Siena 2008.

[14] Luca Pesenti (a cura di), La ragione e il desiderio, Introduzione di Davide Rondoni, Marietti 1820, Genova 2006.

[15] Cfr. Stefano Fontana, Parola e comunità politica. Saggio su vocazione e attesa, Cantagalli, Siena 2010.

[16] Si ponga attenzione all’uso della parola “sterile” che ho qui adoperato. La sterilità della relazione sessuale propria di due individui omo-sessuati non è produttrice di socialità né di società. Altra è la situazione della sterilità non voluta della coppia eterosessuale. In questo caso essa rimane all’origine della socialità e della società in quanto possiede l’atto primo conseguente alla sua natura, ma non l’atto secondo a causa di un impedimento contingente. Tale coppia è fertile per essentiam e sterile per accidens. La contraccezione non riconduce la coppia allo stato della coppia eterosessuale sterile, ma ai due individui omo-sessuati in cui la sterilità è voluta. Il concetto di “sessualità sterile” è quindi da valutare negativamente quando implica l’indifferenza alla identità sessuata e all’esercizio della sessualità come tecnica diversamente fungibile.

[17] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Veritatis splendor, nn. 47, 48.

[18] Paolo VI, Lett. Enc. Humanae vitae, n. 14.

[19] Drieu Godefridi, La théorie du genre contre l’héterosexualité, “Liberté politique”, n. 59, mars-avril 2013, pp. 69-86. La Evangelium vitae di Giovanni Paolo II stabilisce in nesso tra mentalità contraccettiva ed aborto (cfr. n. 13) ma il nesso può spingersi anche oltre, fino alla fecondazione artificiale e quanto ne può conseguire.

[20] Giampaolo Crepaldi, L’uomo e la tecnica nel magistero sociale della Chiesa, in Id., Dio o gli Dèi. Dottrina sociale della Chiesa: percorsi, Cantagalli, Siena 2008, pp. 49-64.

[21] Leone XIII, Lett. Enc. Rerum novarum (1891), n. 10.

[22] Marino Gentile, Prefazione a Danilo Castellano (a cura di), Rivoluzione francese e coscienza europea oggi: un bilancio, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1991, p. 14.

[23] Carl Schmitt, Sul Leviatano, introduzione di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 2011, p. 68.

[24] Ivi, pp. 65-74.

[25] Ivi, p. 76.

[26] Ivi, p. 77.

[27] Pio XI, Lett. Enc. Casti connubi cit., n. 526, p. 643.

[28] «Ciò penalizzando l’adulterio, come se il libertinaggio di una meretrice godesse quasi gli stessi diritti che la casta maternità della legittima consorte» (Pio XI, Lett. Enc. Casti connubi cit., n. 497, p. 623). Si noti come la recente legislazione italiana che riconosce giuridicamente la coppia omosessuale non pretenda nemmeno da questa l’obbligo della fedeltà. Se la politica non protegge la coppia eterosessuale sposata finisce per non proteggere più nessun tipo di coppia, comprese quelle che coppie non sono.

[29] Principio, come è noto, argutamente contestato, anche se in modo non definitivamente convincente, da Charles Taylor, Il disagio della modernità, Laterza, Roma-Bari 1994. Sul tema si veda: Rudi Di Marco, Autodeterminazione e diritto, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2017.

[30] Fondamentali riflessioni su questo punto in Francesco Gentile, Intelligenza politica e ragion di Stato, Giuffré, Milano 1984, pp. 7-14: “Il privato e il pubblico”.

[31] Cfr. Stefano Fontana, Per una politica dei doveri dopo il fallimento della stagione dei diritti, Cantagalli, Siena 2006.

[32] Paolo VI, Lett. Enc. Humanae vitae, n. 17.

[33] Cfr. Elisabetta Frezza, MalaScuola. Gender, affettività, emozioni: il sistema educativo per abolire la ragione e manipolare i nostri figli, Società editrice Leonardo da Vinci, Roma 2017

[34] Marguerite Peeters, La piattaforma e la strategia post 2015 degli attori del Diritto alla salute sessuale e riproduttiva, “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”, X (2014) 3, pp. 68-73; Id.,Vent’anni di diritto alla salute sessuale e riproduttiva in Africa. Risultati ottenuti dagli attori transnazionali nelle istituzioni politiche dopo il Cairo. Sfide per la Chiesa, Ivi, pp. 68-73

[35] Id., L’ONU lance son programme mondial de transformation étique, “Liberté Politique”, n. 67, septembre-octobre 2015, pp. 163-178.

[36] Stefano Fontana, La crisi giuridica ovvero l’ingiustizia legale; sintesi introduttiva al Quinto Rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa nel mondo, Cantagalli, Siena 2013, pp. 15-24.

[37] Riccardo Cascioli, Il complotto demografico. Il nuovo colonialismo delle grandi potenze economiche e delle organizzazioni umanitarie per sottomettere i poveri del mondo, Piemme, Casale Monferrato 1996.

[38] Cfr. Piero S. Colla (a cura di), Per la nazione e per la razza. Cittadini ed esclusi nel modello svedese, Carocci, Roma 2000.

[39] Francis Fukuyama, L’uomo oltre l’uomo: Le conseguenze della rivoluzione biotecnologicaMondadori, Milano 2002; Massimo Piattelli Palmarini, Il nono giorno della creazione. La nuova rivoluzione nelle scienze del vivente, Mondadori, Milano 2015.

[40] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Centesimus annus (1991), n. 49.

[41] Michel Pinton, Abroger les racines de la loi, “Liberté Politique”, n. 65, Février 2015, pp. 11-26. Il titolo si riferisce alla legge Taubira sul “matrimonio per tutti”. L’autore vede appunto in questa legge le conseguenze del “neocatarismo”.

[42] Sulle conseguenze sociali del catarismo cfr. Jean Guitton, Il Cristo dilacerato. Crisi e concili nella Chiesa, Cantagalli, Siena 2002, pp. 155-184. Sul catarismo inteso come espressione della gnosi cfr, Stefano Fontana. Chiesa gnostica e secolarizzazione, Fede & Cultura, Verona 2018.

[43] Augusto Del Noce, Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea. Leone XIII, Paolo I, Giovanni Paolo II, a cura di Leonardo Santorsola, Studium, Roma 2005, p. 115-118.

[44] Ivi, p. 119.

[45] Jacques Maritain, Il contadino della Garonna. Un vecchio laico interroga se stesso sul mondo di oggi, Morcelliana, Brescia 1980. Per una sottolineatura circa “gli altri anni Sessanta” da cui potevano partire anche direzione diverse cfr. Stefano Fontana, Il Concilio restituito alla Chiesa. Dieci domande sul Vaticano II, La Fontana di Siloe, Torino 2014, pp. 97-124.

[46] Paolo VI, Lett. Enc. Humanae vitae, n. 4.

[47] Ivi, n. 23.