1956-1970-1980 Riflessioni di uno storico

CSEO documentazione 
(mensile del Centro Studi Europa Orientale)
n. 164/165 settembre-ottobre 1981

Krystyna Kersten

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La mia tesi è questa: il 1956 è l’anno dell’ultima crisi cui ha partecipato la società formatasi prima del 1945; il 1980 è l’anno della prima crisi in cui il potere ha come partner una società formatasi completamente già dopo la guerra, in condizioni di funzionamento di un sistema che si definisce dittatura del proletariato.Guardiamo la società polacca nel 1956.

Aveva da poco superato la guerra, durante la quale, oltre alle perdite biologiche si era avuta una grave devastazione fisica e psicologica. Le élites erano state decimate; non era stato naturalmente un caso questo, bensì il risultato di un profondo impegno nella attività cospirativa ed anche l’esito dell’attività volta ad indebolire o addirittura a liquidare i gruppi dirigenti per così reprimere la società. Le deportazioni di massa durante la guerra, e dopo la guerra le migrazioni di milioni di persone esito dello spostamento ad occidente dei confini della Polonia significarono la mobilitazione di grandi masse di persone.

Tra il 1939 e il 1950 un cittadino polacco su quattro aveva cambiato città di residenza prendendo come limite il voivodato. Ciò influì grandemente sul carattere di tale società, costituendo tra l’altro una delle cause più essenziali dell’indebolimento dei vincoli interni, della disintegrazione di vecchie strutture, della distruzione di ambienti locali tradizionali, socio-professionali ed anche familiari. A ciò aggiungeremo le profonde trasformazioni subite dalla struttura delle classi e degli strati sociali, trasformazioni che affondavano le loro radici nella guerra, poiché il ritorno al posto un tempo occupato nel sistema sociale si rivelava spesso impossibile quanto il ritorno all’abitazione occupata prima della guerra.

Allo scotimento, o addirittura alla distruzione delle strutture sociali consolidate si associarono la frattura del sistema di valori, il disorientamento politico, la caduta delle autorità. L’insurrezione di Varsavia comportò non solo un bagno di sangue e la distruzione della città, ma enorme rancore, accusa contro coloro che diedero l’ordine e coloro che non vennero in aiuto.

Di conseguenza nel 1944-45 la società polacca si trovò gravemente indebolita di fronte al nuovo potere. Un certo contropeso lo trovò in effetti nelle tendenze integrative, che si erano registrate fortemente durante la guerra in conseguenza del pericolo corso dall’esistenza nazionale, tuttavia sembra che dopo la guerra tali tendenze si siano indebolite, e in ogni caso si siano gravemente complicate.

Tuttavia nel 1945 la società, seppur indebolita, era ancora lontana da uno stato di rassegnazione e di dimenticanza dei propri diritti. Al contrario, era consapevole che a lei spettava la parola decisiva non ad un potere che molti non accettavano e consideravano allora provvisorio. Gli operai partecipavano alla edificazione delle fabbriche per la Polonia, per sé, e nella primavera del 1945 protestarono scioperando contro ciò che ritenevano ingiusto.

I contadini seminavano i raccolti, ma esigevano anche che fosse riconosciuto realmente il loro ruolo di approvvigionatori del paese, il loro senso civile era cresciuto notevolmente in conseguenza della guerra. La vita intellettuale, le ricostituite organizzazioni sociali avevano carattere d’autenticità, esprimevano le aspirazioni della gente alla ricostruzione non solo dei banchi di lavoro, ma anche di tutto il complesso tessuto sociale.

Nei partiti politici, incluso il Partito Operaio Polacco, nelle organizzazioni giovanili specialmente nel movimento scoutistico, in continuo conflitto le idee e le aspirazioni della società si incrociavano con le tendenze, preannuncianti l’imminente sistema, a costruire un mondo della finzione, che avrebbe avvolto una massa umana privata della propria volontà e senso d’identità, silenziosa, oppure con in bocca vuoti slogan. Allora venivano chiamate: masse popolari.

Gli anni 1945-1948 sono un periodo che vede il lento smarrirsi nella società del senso che qualsiasi cosa ha significato, qualsiasi cosa può, che qualsiasi cosa dipende da lei. «Quando le masse cominciano a comprendere che nessuno è responsabile, cadono nell’apatia, modellarle non è più difficile» così pensa un aIto funzionario della sicurezza in un libro di Mdilosz. Un grosso ruolo senza dubbio venne volto dalla censura e specialmente dalle repressioni amministrative e politiche. Più del terrore annichiliva la paura di un colpo non ben definito, che sarebbe stato menato non si a quando e non si sa a chi, né per aver pronunciato quali parole.

Il secondo strumento principale, oltre alla violenza diretta, per subordinare la società al potere fu privare di significato tutte le azioni che la società intraprendesse. Non significava niente che l’esperienza contraddicesse ai risultati resi pubblici dal referendum del 1946. Duello che la gente vedeva, sapeva, sperimentava era continuamente destituito di significato dalla verità ufficiale. Non tutti, per fortuna, cessarono di credere in se stessi, e cominciarono a prestar fede a giornali e megafoni, tuttavia l’enorme maggioranza smarrì gradualmente il senso dell’opposizione alla pressione delle  mistificazioni della realtà esterna. Il senso e la capacità.

Se aggiungiamo la perdita di speranza in un cambiamento che venisse dall’«Occidente» — ciò si verificò dopo le elezioni del 1947 — e teniamo conto della tattica efficacissima impiegata dal Partito Operaio Polacco e dai gruppi di altri partiti politici che con esso collaboravano, volta ad indebolire le forze sociali non ancora sottoposte mediante passi graduali, creando abilmente una passerella che avrebbe facilitato il passaggio dalla parte del nuovo potere, potremo comprendere perché i governanti riuscirono a privare la società della capacità di un’azione organizzata autonoma.

Il reale pluralismo della società cessò di esistere nel periodo a cavallo tra gli anni ’40 e ’50, ma ciò che avvenne in Polonia tra il 1949 e il 1956 potenziò in maniera inaudita i processi qui segnalati. Il fiume umano che fluiva dalle campagne alle città, per le grandi edificazioni del Piano sessennale, costituì una nuova fase delle grandi migrazioni dei Polacchi.

La violenza raggiunse grandi dimensioni, la vita era dominata dalla paura.

Paura non solo per le repressioni di carattere poliziesco, ma paura anche di perdere il proprio posto nella società. Pochi si rivolsero consapevolmente all’emigrazione interna come prezzo da pagare per conservare la propria identità e il proprio senso della libertà. Il sistema già definitivamente formato era allora in una fase culminante in cui l’ideologia ritualizzata svolgeva un ruolo estremamente essenziale, e trasgredire l’ideologia costituiva una colpa punibile, meno severamente, è vero, che un’offesa arrecata allo stato, ma che tuttavia esigeva pur sempre una punizione.

La funzione svolta dall’ideologia nella fase stalinista del sistema favorì comunque il formarsi di nuove strutture politiche, connesse integralmente col sistema, tuttavia di carattere automatico. Si fondavano su una cieca fiducia nella «visione scientifica del mondo» e nei dogmi politici del marxismo-leninismo-stalinismo, possedevano tuttavia un profondo senso della propria soggettività, senza naturalmente rendersi conto che tale soggettività era assolutamente apparente.

Tale era la società quando il sistema, in conseguenza di un complesso di fattori esterni e interni si trovò di fronte ad una prima acuta crisi. I gravi disturbi dell’equilibrio economico si congiunsero al graduale indebolirsi della repressione dopo la morte di Stalin, il che a sua volta allentò un poco l’atmosfera di terrore paralizzante.

Parte della società non aveva bisogno delle trasmissioni del colonnello Swiatlo, vicedirettore del X dipartimento del Ministero della Sicurezza, che il 5 dicembre 1953 era fuggito dal paese e il 28 settembre dell’anno successivo sulle onde di «Europa Libera» cominciò a smascherare l’attività degli organi di sicurezza e dei vertici dell’apparato del partito, per orientarsi, a parte i dettagli, nei recessi più oscuri del sistema.

Comunque, per molti furono o delle rivelazioni, o impulsi che liberarono dubbi profondamente nascosti, persine a se stessi. Un ruolo simile in ambito notevolmente più esteso e in modo più profondo lo svolse il rapporto di Chruscev al XX Congresso del PCUS; al contrario dell’URSS e di molti paesi dell’area socialista, in Polonia infatti esso fu ampiamente diffuso. Non era più possibile dire a se stessi o agli altri che si trattava di invenzioni di un rinnegato. I crimini di Stalin e anche la loro rivelazione da parte di Chruscev traumatizzarono molte persone.

Lo stato della società che abbiamo disegnato a grandi linee contribuì in gran misura a definire l’andamento, il carattere e le conseguenze ultime del «disgelo» del 1956. È ancora troppo presto per poter valutare quale sia stato allora il ruolo delle manipolazioni, se fossero conseguenza di conflitti ai vertici del potere, o se fossero dettate dalle pressioni provenienti dal basso della società. Ciò richiederebbe l’accesso a materiali che forse non potranno trovarsi molto presto a disposizione degli storici.

La tesi che dietro ciò che intendiamo con il concetto di Ottobre si celasse l’ispirazione di uno dei due gruppi del partito che si confrontavano allora, è senz’altro troppo semplificata rispetto alla situazione, sebbene l’esistenza di strette connessioni tra gli uomini più attivi del «disgelo» del 1956 e diversi circoli del potere sia un fatto che nessuno può negare. La società come forza consapevole di sé, organizzata, a sé stante, non fece la sua comparsa nel 1956. La rivolta degli operai di Poznan restò isolata, il sangue che si versò allora a Poznan non causò un’ondata di proteste operaie in altre parti del paese.

Troppo forte e fresca era ancora la paura, ma soprattutto troppo disgregate erano le strutture sociali. La vecchia classe operaia, formatasi nel periodo tra le due guerre aveva già cessato d’esistere, la nuova non s’era ancora formata del tutto. Gli operai di allora erano un conglomerato di gente che proveniva dalle campagne, un misto di vecchi operai e giovani provenienti dalle scuole professionali o di avviamento industriale.

Lo stesso vale per l’intelligencija. La «ribellione» — e qui citiamo — dei giornalisti, dei letterati, degli studiosi comprese in misura notevole uomini appartenenti alla vecchia e alla nuova guardia del sistema, membri dell’Associazione Giovanile Polacca e membri del POUF che con orrore si resero conto di essere corresponsabili di criminosi errori e deviazioni, come convenzionalmente si dice, e con lo stesso ardore con cui poco tempo prima avevano edificato Nowa Huta e avevano propagato il socialismo nelle campagne, iniziarono la lotta per la purificazione del sistema e per il ritorno al vero socialismo.

Il precursore d’ottobre di Lech Walesa, Lechoslaw Gozdzik, era segretario della Cellula del POUF nella fabbrica di autovetture Zeran. La società, la maggior parte della quale aveva vissuto l’Insurrezione di Varsavia, il referendum e le prime elezioni, la rovina del Partito Socialista Polacco e del Partito Popolare Polacco e il crollo delle speranze in un pluralismo autentico, guardò con una certa speranza a ciò che stava avvenendo, ma troppo amare erano le sue espe­rienze e troppo era stato distrutto da ogni punto di vista, perché potesse svolgere un ruolo veramente significativo di fronte al potere.

Le attese sociali — o piuttosto parte di esse — venivano, con la legittimazione del partito, articolate da giornalisti, pubblicisti, scrittori spesso più o meno legati ai centri del potere. Il ruolo della società si ridusse soprattutto ad una pressione dal basso. L’agitazione nazionale, l’umore della gente che si manifestava nelle riunioni, nei raduni pubblici e di massa posero il potere di fronte all’alternativa: o ritornare ad una più violenta repressione o assumere il patronato sul «disgelo», mantenendo in tal modo intatta la sostanza del sistema.

Il fatto che la società avesse partecipato in un certo senso passivamente all’ottobre spiega perché così facilmente e rapidamente il potere potesse desistere dalla democratizzazione promessa. Con l’alleviarsi delle difficoltà in campo economico, ciò permise di mantenere immutati gli elementi fondamentali del funzionamento del sistema. Quello che subì notevoli modificazioni furono le dimensioni e la portata della repressione.

Il posto da essa occupato come mezzo di contatto tra potere e società fu occupato dai beni materiali e da slogan ideologici ben confezionati che si richiamavano ad emozioni nazionali o addirittura nazionaliste. Ciò funzionò tuttavia solo a breve scadenza. La fine degli anni’60 portò nuove gravi agitazioni: il marzo 1968 e il dicembre 1970.

Guardando ad esse dalla parte della società si può dire che sia gli studenti e gli intellettuali nel 1968, che gli operai nel 1970 costituivano ormai delle forze emancipate, ma ancora non mature alla auto-organizzazione. Erano inoltre due forze isolate tra loro, occorrevano i successivi 10 anni perché si incontrassero in un movimento pansociale, quale quello che si è sviluppato dopo gli scioperi di agosto.

Un po’ demagogicamente si potrebbe dire che il sistema si è creato la sua controparte, una nuova società che si è rammentata del diritto ad una compartecipazione e ad una corresponsabilità reali e non esistenti solo nel mondo delle illusioni, risonante di parole. Edificando una grande industria, trasferendo milioni di persone dalle campagne alle città, dall’agricoltura alle fabbriche, il potere ha fatto sì che sorgesse una moderna classe operaia, che non si sarebbe accontentata solo di ascoltare gli slogan sul suo ruolo «guida» e prima o tardi avrebbe dovuto metterli in pratica.

In un sistema in cui per principio non viene ammesso un autentico pluralismo, il processo di organizzazione della società fu lento ma anche ineluttabile. Formulando la sua amara diagnosi sullo stato della società, il Seminario Esperienza e Futuro non vide come essa allo stato latente fosse pronta ad una matura autoorganizzazione, come aspettasse soltanto la prima occasione favorevole per prendere a piena voce la parola.

I giovani abitanti di Ursynów, che spontaneamente senza aspettare ordini dall’alto, piantarono alberelli attorno alle loro case costituiscono un presagio di tale prontezza. Di presagi del genere ve ne sono stati moltissimi, essi testimoniavano che nella società dorme una grossa necessità di azione autentica, che i gruppi e i movimenti più organizzati — il KOR, i sindacati liberi, l’Associazione dei Corsi Scientifici, i comitati studenteschi di solidarietà, l’Officina Editoriale Indipendente, i club dell’intelligencija cattolica, i movimenti delle oasi, il clero della pastorale universitaria — non sono isole isolate in un mare di apatia e marasma.

Sarebbe ovvio dire che un potente impulso al processo di maturazione della società dell’auto-organizzazione è stata la visita di Giovanni Paolo II in Polonia. Anna Walentynowicz intervenendo ad un’assemblea di giornalisti a Varsavia ha detto che durante la sua visita la gente «ha sollevato il capo», «ci siamo sentiti più forti». Il significato della visita del Papa polacco (e forse già solo la sua elezione alla Sede Apostolica) è tuttavia più profondo.

Occorre qui tornare alla divisione tra «noi» e «loro». Nella coscienza della gente è abbastanza chiaro chi siano «loro»: «loro» sono quelli che ci governano, che decidono di noi, che sono al di fuori di noi. Chi siamo «noi», in una società non organizzata internamente era poco chiaro, difficile da identificare. Mancava un centro che avesse una forma ben precisa attorno a cui «noi» potessimo articolare la nostra identità. «Noi» non vuoi dire i cattolici, poiché non tutti siamo credenti. Il centro formante non poteva essere una negazione: «noi» non è «loro». Era molto difficile dare un determinante positivo, lo è diventato appunto il «nostro» papa, un uomo attorno al quale si sono concentrati sentimenti diversi: nazionali, religiosi, politici.

La nascita di «Solidarnosc» e di «Solidarnosc Rurale», le tendenze sempre più crescenti e forti all’autenticità in altre organizzazioni fin ad oggi di essa del tutto prive, sono i fatti sociali che cambiano sostanzialmente la struttura del potere e la società formata tra la fine degli anni’40 e l’inizio degli anni’50 dopo la liquidazione delle ultime vestigia del pluralismo.

Mi scuso, non di tutte, ad essere sincero: restò la Chiesa cattolica. Il rinnovato ritrova­mento della soggettività della società dopo un intervallo più che trentennale non è tuttavia in alcun modo un ritorno a ciò che era. Nasce un nuovo movimento operaio, un nuovo movimento popolare. Anche per questo scorgo una sostanziale differenza tra la situazione del 1956 e del 1970 e quella del dopo agosto, per questo sono pronta, collocando gli avvenimenti dell’ultimo anno in un ampio contesto storico, ad attribuire ad essi il signi­ficato di un’importante cesura. E non solo nella storia polacca.

da Tygodnik Solidarnosc n.16, 17 luglio 1981