Il Vangelo e la povertà

suoreContemplata aliis tradere

( San Tommaso D’Aquino )

di Bruto Maria Bruti

San Tommaso d’Aquino spiega che i consigli di perfezione evangelica – povertà, castità ed obbedienza -, come dice il loro nome, sono dei consigli e non dei precetti.

Il precetto implica una necessità e pertanto obbliga. Al giovane ricco Gesù non dice ” se vuoi salvarti ” ma ” se vuoi essere perfetto “. Il consiglio è lasciato all’opinione di chi lo riceve e pertanto implica una attitudine soggettiva in chi lo segue.

La vocazione coincide con l’attitudine soggettiva: in via ordinaria la propria vocazione è data dal contenuto dei propri talenti e dalle proprie esigenze interiori. La vocazione non deve essere vista come un comando esterno al nostro essere ma come l’esigenza più profonda del nostro essere perché Dio è ciò che di più intimo vi è in ogni cosa: l’atto primo che, dall’interno, dà al soggetto ogni perfezione.

La vocazione è una capacità che l’uomo ha fin dalla nascita. Egli la possiede così come il bambino possiede fin dalla nascita il genio musicale: avere questa capacità non esenta dallo sforzo individuale e dalle difficoltà per tradurla in atto ma essa resta una capacità e quindi un’esigenza del nostro essere.

Infatti Gesù nel dare i consigli accenna sempre all’attitudine soggettiva degli uomini che intendono seguirli: nel dare il consiglio della povertà assoluta aveva fatto la premessa: “se vuoi essere perfetto“(Mt 19,21 ). Nel dare il consiglio della castità perpetua aggiunge :” Chi può capire, capisca” ( Mt 19,12 ). Nel dare il consiglio dell’obbedienza assoluta, espresso nelle parole ” poi vieni e seguimi” ( Mt 19,21 ) aveva fatto la premessa: ” Se vuoi essere perfetto “.

Il consiglio di obbedienza si ha quando una persona non segue la propria volontà in una data azione che potrebbe lecitamente compiere, ma in quella data azione segue il consiglio del suo superiore.

Tutte le tentazioni, spiega l’apostolo Giovanni, si riducono a tre cose: concupiscenza degli occhi – che è il desiderio disordinato dei beni esterni -, concupiscenza della carne, superbia della vita.

L’abbandono totale di queste tre cose, nei limiti del possibile, e cioè della carne, dei beni esterni e anche dei propri diritti, è oggetto dei consigli di perfezione evangelica ( Summa Theologia I-II q. 108, in particolare a. 4 ). I consigli di perfezione servono per testimoniare, attraverso la rinuncia anche dei beni terreni che si possono lecitamente possedere, l’esistenza di un’altra vita che sarà perfetta: i consigli di perfezione servono per testimoniare una perfezione che verrà.

Un altro abbandono del mondo, nei limiti del lecito, è testimoniato, per esempio, da quel carcere volontario che è la clausura.

Giovanni Paolo II insegna che la Chiesa è un corpo differenziato in cui ciascuno ha la sua funzione: le attitudini suscitate dallo Spirito sono diverse e complementari. Lo stato di vita religioso, con i consigli di perfezione evangelica, serve a testimoniare l’indole escatologica della Chiesa, la sua tensione verso il regno di Dio, cioè serve a testimoniare la perfezione del mondo che verrà.

Accanto a questa vocazione esiste quella laicale che è una vocazione destinata a testimoniare la necessità della incarnazione cioè i laici devono inserire il progetto di Dio nelle realtà temporali, devono ordinare le realtà temporali secondo i comandamenti di Dio affinché Dio abbia il primato su tutte le cose

Quando Gesù esorta tutti gli uomini alla perfezione e non si riferisce alla particolare scelta di vita degli apostoli, con questo termine intende esortare gli uomini di buona volontà ad adeguare progressivamente il loro comportamento alla volontà di Dio, così come è riassunta nei dieci comandamenti. ( Cfr Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem 7; Giovanni Paolo II, Christifideles laici 15, 55, 56 ).

” (…) I carismi, i ministeri, gli incarichi ed i servizi del Fedele laico esistono nella comunione e per la comunione. Sono ricchezze complementari a favore di tutti, sotto la saggia guida dei Pastori” ( Christifideles laici 20 ). La Chiesa è un corpo differenziato, nel quale ciascuno ha la sua funzione; i compiti sono distinti e non devono essere confusi. Essi non danno adito alla superiorità degli uni sugli altri; non forniscono alcun pretesto alla gelosia.

Il solo carisma superiore, che può e deve essere desiderato, è la carità ( cf. 1 Cor 12-13 ). I più grandi nel Regno dei cieli non sono i ministri, ma i santi” ( Christifideles laici nota n.190, cf. Inter insigniores).

Con le vocazioni del laico e del religioso non devono essere confuse le beatitudini evangeliche che servono ad illuminare le azioni e le disposizioni di tutti i cristiani ( Catechismo della Chiesa Cattolica 1717 ).

” (…) ( “Con le vocazioni del laico e del religioso non devono essere confuse le beatitudini evangeliche che ). “Le beatitudini preservano dall’idolatria dei beni terreni e dalle ingiustizie, che la loro sfrenata bramosia comporta. Esse distolgono dalla ricerca utopistica e pericolosa di un mondo perfetto, perché -passa la scena di questo mondo-( Sacra Congregazione per la dottrina della fede, libertà cristiana e liberazione 62 ).

Chi sono i poveri di spirito che Gesù chiama beati? San Pio X insegna: “I poveri di spirito, secondo il Vangelo, sono quelli che hanno il cuore distaccato dalle ricchezze; ne fanno buon uso, se le posseggono; non le cercano con sollecitudine, se ne sono privi; ne soffrono con rassegnazione la perdita, se loro vengono tolte” (Catechismo maggiore n. 929).

Insegna Giovanni Paolo II: “Della povertà evangelica i Padri sinodali hanno dato una descrizione quanto mai concisa e profonda, presentandola come – sottomissione di tutti i beni al bene supremo di Dio e del suo Regno– ” ( Pastores Dabo vobis n. 30).

La povertà del cuore consiste nel sottomettere tutta la propria vita alla volontà Dio: in questo senso i tipi di povertà sono molteplici in quanto riguardano tutti gli aspetti della vita. Si può, infatti, parlare di povertà sessuale quando si mette il sesso al servizio di Dio e della sua legge, di povertà culturale quando si mette la propria cultura al servizio della fede ecc.

Cristo Gesù, da ricco che era, si fece povero per arricchire noi per mezzo della sua povertà. (…) Cristo ha scelto una situazione di povertà e di spogliamento per dimostrare quale sia la vera ricchezza da ricercare: quella della comunione di vita con Dio ( Libertà e liberazione, op. cit., 66 ).

Scrive Antonio Fuentes, docente di esegesi biblica :” I poveri di Iahvé (…) erano denominati in Israele con l’appellativo ebraico di ANAWIM. (…)  Il loro nome, ANAWIM, ci parla di sottomissione e donazione a un potere superiore; (…) Al di sopra di tutto, pongono la loro fiducia in Iahvé, al quale raccomandano la loro causa ( cfr Ger 11,20; 20, 12 ). I ‘ poveri di Iahvè ‘ sanno che la comunione con Lui ( cfr Sal 73, 26- 28 ) è il bene più prezioso nel quale l’uomo trova la vera libertà ( cfr Sal 16; 62; 84 ).

Per essi il male più tragico è la perdita di tale comunione.(…) Gli ANAWIM, o poveri di Iahvè, non sono solamente gli indigenti e gli invalidi, che in quanto tali reclamano da Dio una ricompensa; sono soprattutto e principalmente coloro che cercano Dio e adempiono i suoi precetti ( cfr Sof 2,3 ). (…) Nel libro di Giobbe troviamo un modello compiuto del ‘ povero di Iahvè ‘. Tutto il racconto è un canto alla fiducia in Dio, una splendida lezione di umiltà. (…) Giobbe si purifica interiormente e impara per diretta esperienza che cosa significa vivere veramente distaccato da tutte le proprie ricchezze; e, pienamente identificato con la volontà divina, si abbandona fedelmente nelle mani della Provvidenza.

(…) Nell’imminente attesa del Messia, il Vangelo pone in risalto, per la loro umiltà e fiducia in Dio, l’anziano Simeone ( cfr Lc 2, 25 ), la profetessa Anna ( cfr Lc 2,36-37 ) e l’austera figura di Giovanni il Battista ( cfr Mt 3,1 ss ). Sono tutti fedeli rappresentanti degli ANAWIM dell’antico Testamento.(…)

Al di sopra di essi, tuttavia, si erge nei Vangeli la figura unica e singolare di Maria, la giovane di Nazaret: è il modello compiuto di povertà, vale a dire di umiltà, distacco e fiducia in Dio (…). Quando l’Angelo le spiega che diverrà madre senza cessare di essere vergine, cioè quando le annuncia il mistero dell’Incarnazione, si dona interamente alla volontà divina, non indugia nella risposta né pone alcuna condizione alla propria donazione. (…)

Il canto del MAGNIFICAT, ponte di unione fra l’Antico e il Nuovo Testamento, è il luogo dove forse meglio si può apprezzare la statura e la grandezza d’animo di Maria: in questo breve inno si rispecchia alla perfezione l’anima degli ANAWIM.

(…) Egli – ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili- ( Lc 1,51-52 ) “( Antonio Fuentes, La cruna e il cammello, il significato cristiano della ricchezza, ed. Ares’94, pag.21-28).

La povertà del cuore, dunque, consiste nell’amare Dio più di ogni altra cosa e nell’amare ogni altra cosa per amore di Dio: Dio é il bene più grande e il fine della nostra esistenza

-“L’uomo peccatore, che rifiuta di aderire a Dio, è portato necessariamente ad attaccarsi in modo errato e distruttivo alla creatura ( conversio ad creaturam ) egli concentra su questa il suo desiderio insoddisfatto di infinito. Se non che, i beni creati sono limitati, per cui il suo cuore trascorre dall’uno all’altro, sempre in cerca di un’impossibile pace“- ( Sacra congregazione per la dottrina della fede, libertà cristiana e liberazione,Paoline, Milano 1986, n.40 ).

Il nostro cuore, dice S. Agostino, è stato fatto per il Signore e non può trovare pace se non si abbandona a Dio, se non è riempito da Dio.

La povertà del cuore significa che” Ai suoi discepoli Gesù chiede di preferirlo a tutto e a tutti( Catechismo della Chiesa cattolica 2544 ).

Non è possibile amare il prossimo se non amiamo noi stessi e non è possibile amare noi stessi se non amiamo Dio al di sopra di noi stessi: ” Se uno viene a me e non odia il padre, la madre, la moglie e i figli, i fratelli e le sorelle, e anche la sua vita, non può essere mio discepolo( Lc 14,26 ).

La parola odio va intesa nel senso di – amare di meno – e ciò lo si deduce confrontando questo insegnamento con quello analogo di Matteo:-“ (…) chi ama suo padre o sua madre più di quanto ama me, non è degno di me (…) ecc. “- ( Mt 10,37 ). Per questo Giovanni Paolo II insegna che” Non è carità nutrire i poveri o visitare i malati portando loro risorse umane e tacendo loro la Parola che salva( Giovanni Paolo II, discorso Sono lieto, cf. Annunciare il valore religioso della vita umana, cristianità 1991, pag 11 ).

Bisogna ricordare che esiste una gerarchia dei beni: il bene dell’anima è superiore al bene del corpo e quindi le opere di misericordia corporale devono sempre essere messe al servizio delle opere di misericordia spirituale.

Dio non ci comanda di amare il fratello per amore del fratello – che sarebbe filantropia – ma ci comanda di amare il fratello per amore di Dio. L’amore cristiano per il fratello è un ” amore che viene da Dio e va a Dio ( cfr Libertà cristiana e liberazione n.68 ).

Il semplice amore umano, invece, viene solo dall’uomo e va all’uomo ma è proprio l’assenza di Dio la causa di tutti i mali: dice il Concilio Vaticano II che ” la creatura senza il Creatore svanisce ( Gaudium et Spes n.36 ). L’esclusione di Dio produce la morte dell’uomo e provoca la divisione tra i fratelli: la Bibbia mostra che viene alterata la relazione fra l’uomo e la donna, poi la relazione tra i fratelli – Caino uccide Abele -. L’esclusione di Dio dalla società, nell’episodio di Babele, provoca la distruzione della società stessa ( cfr Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia n. 15-16 ). 

Chi non ama i fratelli non ama Dio ma è impossibile amare veramente i fratelli senza amare prima Dio, anzi, è impossibile amare se stessi senza amare Dio al di sopra di se stessi. Infatti il primo comandamento è :” Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Questo è il massimo e primo comandamento (Mt 22,37-38 ).

Il secondo comandamento è quello dell’amore del prossimo:” Amerai il prossimo tuo come te stesso ( Mt 22,39 ). Quindi Gesù insegna che, per amare gli altri, bisogna prima amare se stessi, ma per amare se stessi bisogna amare Dio al di sopra di se stessi: “ (…) Chi avrà perduto la sua vita per amore mio, la ritroverà” ( Mt 10,37-39 ). Amare Dio significa fare la sua volontà e metterlo sempre al primo posto: perché solo Dio è bene infinito adatto al nostro cuore, solo Lui è la felicità completa.

Amare il prossimo significa desiderare per il prossimo il suo vero bene e cioè i comandamenti e fra i comandamenti il primo comandamento, cioè l’amore di Dio. Quindi, chi ama il prossimo deve desiderare che il prossimo giunga soprattutto e prima di tutto all’amore di Dio.

L’amore di carità – cioè amare Dio al di sopra di se stessi e il prossimo per amore di Dio – può e deve richiedere il sacrificio dell’amore umano perché non è possibile amare veramente il prossimo senza amare prima Dio e i suoi comandamenti: senza Dio finiremmo, anche senza volerlo, a causa delle passioni disordinate, per fare del male a noi stessi e al prossimo, confondendo i piaceri disordinati e momentanei con il bene e finendo facilmente per persuaderci che è falso ciò che non vorremmo fosse vero.

Giovanni Paolo II insegna che, nell’episodio del giovane ricco, Gesù enuncia sia il consiglio di perfezione, sia la condizione generale di ogni credente: la carità. Gesù chiede di preferirlo a tutto e a tutti ( cfr catechismo della chiesa cattolica n.2544): ” L’appello è rivolto innanzi tutto a coloro ai quali egli affida una particolare missione, a cominciare dai Dodici; ma appare anche chiaro che essere discepoli di Cristo è la condizione di ogni credente ( cf At 6,1 ). (…) 

Non si tratta qui soltanto di mettersi in ascolto di un insegnamento e di accogliere nell’obbedienza un comandamento. Si tratta, più radicalmente, di aderire alla persona stessa di Gesù (…). Non solo l’uomo ricco, ma anche gli stessi discepoli sono spaventati dall’appello di Gesù alla sequela, le cui esigenze superano le aspirazioni e le forze umane(…) Il dono di Cristo è il suo Spirito, il cui primo – frutto – ( cf Gal 5,22 ) è la carità (…).

Sant’Agostino si chiede: – E’ l’amore che ci fa osservare i comandamenti, oppure è l’osservanza dei comandamenti che fa nascere l’amore ?-E risponde:- Ma chi può mettere in dubbio che l’amore precede l’osservanza? Chi infatti non ama è privo di motivazioni per osservare i comandamenti-(…)

L’amore e la vita secondo il Vangelo non possono essere pensati prima di tutto nella forma del precetto, perché ciò che essi domandano va al di là delle forze dell’uomo: essi sono possibili solo come frutto di un dono di Dio, che risana e guarisce e trasforma il cuore dell’uomo per mezzo della sua grazia: Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo- ( Gv 1,17 ). (…) Infatti la Legge Nuova non si contenta di dire ciò che si deve fare, ma dona anche la forza di – fare la verità – ( Gv 3,21 ).”  ( Veritatis Splendor n.19, 22,23,24 ).

Sul fatto concreto del giovane ricco, due sono le ipotesi: il – se vuoi essere perfetto- potrebbe essere il consiglio di Gesù che intende venire incontro ad un bisogno insoddisfatto del giovane ( il quale dice:- che mi manca ancora ?- ): Gesù svelerebbe al giovane l’esistenza, nelle zone più profonde della sua psiche, di un’esigenza personale non soddisfatta dalla semplice osservanza dei comandamenti. In questo caso il – se vuoi essere perfetto – starebbe a significare: se vuoi perfezionare la tua attitudine e quindi se vuoi essere pienamente te stesso.

La seconda ipotesi, più probabile, è quella secondo la quale Gesù enuncia il bisogno del dono teologale della carità: ciò che più conta è amare Dio e amarlo per se stesso, al di sopra di se stessi e di ogni altra cosa: il giovane, ” (…) davanti alla persona di Gesù avverte che qualcosa ancora gli manca. E’ alla consapevolezza di questa insufficienza che si rivolge Gesù nella sua ultima risposta: cogliendo la nostalgia per una pienezza che superi l’interpretazione legalistica dei comandamenti (…)” ( Veritatis splendor n.16 ).

Gesù, che conosce i cuori, “(…) scopre che la sua anima era attaccata ai beni materiali molto più di quanto egli stesso avrebbe potuto supporre(…). Gesù, che lo sa, gli chiede un atto eroico di vero distacco  (…) Il possesso di ricchezze è accessorio; servire Dio è l’essenziale. In realtà la rinuncia ai beni è solo un segno del fatto che il cuore è libero per amare”  ( Antonio Fuentes, op. cit., pag.84).

Rabbini, farisei, sadducei sono specializzati nella interpretazione legalistica dei comandamenti, hanno moltiplicato divieti e regolamenti ma nel loro cuore manca la cosa essenziale: l’amore totale a Dio, il distacco interiore, non solo dalla ricchezza, ma anche dalla propria volontà e dalla vita stessa.

Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me (…) chi avrà perduto la sua vita per amore mio, la ritroverà “( Mt 10,37-39 ).

Giovanni Paolo II insegna che, nell’episodio del giovane ricco, Gesù enuncia sia il consiglio di perfezione, sia la condizione generale di ogni credente: la carità. Gesù chiede di preferirlo a tutto e a tutti ( ): ” Sul fatto concreto del giovane ricco, due sono le ipotesi: il – se vuoi essere perfetto- potrebbe essere il consiglio di Gesù che intende venire incontro ad un bisogno insoddisfatto del giovane ( il quale dice:- che mi manca ancora ?- ): Gesù svelerebbe al giovane l’esistenza, nelle zone più profonde della sua psiche, di un’esigenza personale non soddisfatta dalla semplice osservanza dei comandamenti.

La seconda ipotesi, più probabile, è quella secondo la quale Gesù enuncia il bisogno del dono teologale della carità: ciò che più conta è amare Dio e amarlo per se stesso, al di sopra di se stessi e di ogni altra cosa: il giovane, ” ” ( Gesù, che conosce i cuori, “(…) Rabbini, farisei, sadducei sono specializzati nella interpretazione legalistica dei comandamenti, hanno moltiplicato divieti e regolamenti ma nel loro cuore manca la cosa essenziale: l’amore totale a Dio, il distacco interiore, non solo dalla ricchezza, ma anche dalla propria volontà e dalla vita stessa.”

E tutti quelli che, per causa mia, hanno abbandonato fratelli e sorelle, padre e madre, case o campi… riceveranno cento volte di più e avranno in eredità la vita eterna”  ( Mt 19,29 ).

Il distacco interiore da tutte le cose viene espresso magnificamente dall’apostolo Paolo: ” (…) coloro i quali hanno moglie siano come se non l’avessero, quelli che piangono come se non piangessero, quelli che godono come se non godessero, quelli che comprano come se non possedessero, e quelli che usano del mondo come se non ne fruissero appieno” ( 1 Cor 7,29-31 ).

La povertà del cuore, dunque, non è rifiuto e disprezzo dei beni materiali, ma uso giusto di questi beni ed insieme grande libertà interiore perché il cristiano ama Dio al di sopra di ogni cosa ( Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis n.30 ).

Nel Vangelo, infatti, ci sono molti esempi di persone ricche e facoltose che sono seguaci di Gesù. Lazzaro è un caro amico di Gesù: Egli pianse per la sua morte. Lazzaro, che ha ricevuto da Gesù il miracolo della resurrezione e gode della Sua amicizia, non è chiamato ad abbandonare la posizione che ha nel mondo. Lazzaro, infatti, è una delle persone più ricche di Betania, a tal punto che Maria, sua sorella, poteva permettersi di ungere i piedi di Gesù con un profumo di nardo purissimo, profumo valutato da Giuda in trecento danari – lui tradì Gesù per trenta danari – : trecento danari erano il valore di trecento giornate lavorative – un intero anno di lavoro – ( Gv 12,1-11).

Un altro caso è quello di Zaccheo, molto ricco per la lucrosità della sua professione, a cui Gesù non chiede di farsi povero ( Lc 19,1-10 ). Giuseppe d’Arimatea, che metterà a disposizione di Gesù la sua ricca tomba di famiglia, era – come racconta Matteo – ” un uomo ricco” eppure, dice il Vangelo, ” era divenuto anch’egli discepolo di Gesù” ( Mt 27,57 ). Marco aggiunge che non solo era ricco ma anche nobile: ” membro autorevole del sinedrio ” ( Mc 15,43 ). Eppure quest’uomo ricco e nobile è definito ” discepolo di Gesù ” anche da Giovanni ( Gv 19,38 ) e Luca lo chiama ” persona buona e giusta ” ( Lc 23,50 ).

Giuseppe d’Arimatea è un discepolo di Gesù buono e giusto e non è chiamato da Gesù ad abbandonare la posizione che ha nel mondo. Altra persona ricca e potente è Nicodemo che Giovanni dice essere ” un capo dei giudei” (Gv 3,1) e che porta per la salma di Gesù ” una mistura di mirra e di aloe di cento libbre “(Gv 19,39) e cioè quasi 33 chilogrammi di sostanze costosissime: uno scialo davvero regale.

Subito dopo l’ascesa al cielo di Gesù, i primi cristiani vivono il regime non obbligatorio della comunione dei beni, con la consegna delle proprietà nelle mani degli apostoli (At 5,4, 2,45 ).

Nell’euforia della Pentecoste, gli apostoli e i cristiani di Gerusalemme credevano imminente il Regno di Dio e la fine del mondo, ma nonostante questa euforica e fraterna attesa, Pietro spiega la non obbligatorietà della comunione dei beni e sottolinea la legittimità della proprietà privata ad Anania.

Per capire il carattere non obbligatorio di questa comunione dei beni è rivelatore l’episodio di Anania e Saffira. I coniugi Anania e Saffira avevano mentito a san Pietro. Essi, non avendo intenzione di mettere in comunione la loro proprietà, ma volendo far credere di averlo fatto, avevano venduto la proprietà, avevano nascosto la maggior parte del ricavato e una piccola parte l’avevano consegnata agli apostoli.

Pietro rimprovera Anania per la menzogna:”(…) perché hai mentito allo Spirito Santo? (…) Prima di venderlo ( il terreno:ndr), non era forse tua proprietà e, anche venduto, il ricavato non era sempre a tua disposizione?”

Pietro, quindi, ricorda l’assoluta non obbligatorietà del regime della comunione dei beni. Infatti anche dal punto di vista giuridico, la comunione dei beni è un modo d’essere della proprietà privata: cioè, io intendo mettere in comune con te ciò che è mio. Al contrario, il comunismo è abolizione della proprietà privata. ( cfr At 5,4 ).

Esiste un’antitesi totale fra comunismo e comunione perché, appunto, la comunione è un modo d’essere della proprietà privata – io voglio mettere in comune con te ciò che è mio – mentre il comunismo è abolizione della proprietà privata. A motivo della pratica della comunione dei beni nascono divergenze fra i gruppi dei cristiani.

Gli ellenisti si lamentano per essere stati trascurati e per loro vengono istituiti i diaconi ( At 6). Inoltre la comunità di Gerusalemme, a causa del regime della comunione dei beni, piomba rapidamente in miseria. Paolo perciò è costretto ad organizzare una colletta in favore dei fedeli di Gerusalemme ( 1 Cor 16,1; 2 Cor 8-9 ; At 24,17) .

L’esperienza della comunione dei beni, genericamente estesa a tutta una comunità, non verrà più ripetuta: Paolo vuole che ciascuno rimanga nella professione e nella situazione sociale in cui si trova. Anzi, egli combatte la tentazione di vivere alle spalle della comunità ed esorta a mangiare il proprio pane lavorando in pace (2 Ts 3,11-12, cfr AA. VV., 100 punti caldi della storia della Chiesa, ed. Paoline 86, pag. 27-29 capitolo 2: i primi cristiani erano comunisti ? ).

Quando Gesù sceglie gli apostoli, inizialmente li manda a predicare senza bisaccia, senza calzari, senza soldi e cioè privi anche della preoccupazione di dover gestire il possesso in comune dei loro soldi. Egli vuole che vivano solo del vitto e dell’alloggio che verrà dato loro da coloro che, divinamente ispirati, li ospiteranno ( Mt 10,9 ) .

Questo è solo un periodo temporaneo e speciale che Gesù concede agli apostoli, un periodo in cui Egli provvede direttamente a tutto ciò che serve loro affinché possano predicare senza alcuna preoccupazione, anche lecita, per le cose temporali, senza la preoccupazione di dover lavorare e neppure di dover comprare il necessario per mangiare: essi imparano, in questo modo ad affidarsi totalmente a Lui .

Che si tratti di una fase straordinaria lo si deduce, infatti , da altri passi del Vangelo dove si rileva, invece, che conservare il denaro e operare per procurarsi altri beni è conforme alla perfezione insegnata da Cristo: si legge, per esempio, che Gesù aveva la borsa dei denari, affidata a Giuda, in cui venivano riposte le offerte a Lui fatte e che – i discepoli andarono in città a comperare da mangiare –

Nell’imminenza della passione molte delle concessioni speciali che Gesù aveva fatto agli Apostoli vengono tolte:- ma ora chi ha un sacco lo prenda; così pure la bisaccia e chi non ha spada venda il mantello e ne compri una“- ( Lc 22,35 ).

Dopo questo periodo speciale, in cui Gesù era fisicamente presente ed educava e assisteva gli apostoli, così come un padre educa e assiste i figli quando sono piccoli, i discepoli dovranno occuparsi personalmente della loro vita, dovranno lavorare – quando non troveranno comunità di laici disposti a mantenerli affinché possano dedicarsi totalmente a diffondere il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini – e dovranno anche difendersi se sarà necessario, a loro dovrà bastare la grazia, anche perché San Paolo insegna che la virtù si rafforza nella debolezza: Dio non si sostituirà al loro lavoro e alle loro fatiche, ma li aiuterà spiritualmente nelle loro opere, – moltiplicandone- i risultati solo quando lo riterrà opportuno ( cfr San Tommaso D’Aquino, Summa Teologica,, I -II, q.108, a.2; II-II, q.185, a.6, ad 2, q.188, a.7, ad 5 ).