Mamma mia che battaglia l’utero in affitto

Il Venerdì (supplemento di Repubblica)

1 Dicembre 2017

Alla vigilia del congresso di Arcilesbica e del pronunciamento della Consulta, l’eticità della surrogacy divide a sinistra tutte e tutti. Si inizia con le femministe. E si finisce con la comunità Lgbt

di Claudia Arletti

ROMA. «La perdita dell’innocenza». «La nostra Cambogia». «Il punto di non ritorno». Ma quante se ne dicono, e quanti stracci volano dentro il movimento Lgbt, che sta per lesbian gay bisex trans e altro ancora, e tra le femministe giovani e anziane, organizzate e autarchiche, intellettuali e punk. La questione della surrogacy – ovvero dell’utero in affitto, come si dice con malagrazia, ovvero ancora della Gestazione per altri, Gpa – manda all’aria gli equilibri di alleanze antiche e durevoli, incluso il patto fra Arcigay e Arcilesbica, quest’ultima chiamata a un congresso anticipato che potrebbe segnare – cosa inaudita – la scissione dell’organizzazione.

MATER INCERTISSIMA

La Gpa è permessa solo in una ventina di Paesi, fra i quali Ucraina, Canada, Stati Uniti e Nigeria. Vi ricorrono le coppie gay – delle quali Nichi Vendola papà felice da noi è il principale testimonial – ma soprattutto coppie tradizionalissime e sterili, che per avere un figlio vanno là dove la legge ammette questo percorso audace con le sue folle di protagonisti: i coniugi “committenti”, la donna che fornisce l’ovulo (o anche un uomo che dona un gamete), una terza donna al quale l’embrione è poi impiantato e che porta avanti la gravidanza, gli avvocati e, infine, l’agognato bambino.

La Chiesa trova aberrante questa procedura che rende il pater più incerto che mai e ora anche la mater incertissima. E poiché anche tanta sinistra-sinistra giudica male la surrogacy, si è generata un’apparente saldatura con la destra conservatrice che ha incattivito il confronto.

SENZA SE E SENZA MA

A farne le spese sono le femministe anti surrogacy: «Lo scontro è violentissimo» racconta Paola Tavella, giornalista e scrittrice con un passato e un presente libertario e di sinistra. «Sono accusata di stare con Mario Adinolfi, proprio io!». Adinolfi, il fondatore del giornale La Croce? «Lui. Ma pazienza. A chi marcia per la giustizia può capitare di trovarsi in pessima compagnia».

Tavella descrive la surrogacy come un business raccapricciante. L’ultima trovata è quella di impiantare gli embrioni – ottenuti in provetta magari con gli ovociti delle biondissime ragazze ucraine – nel ventre di giovani africane, «poco costose e ridotte in schiavitù».

«I contratti» dice «garantiscono una sola parte: i committenti. Che impongono la dieta, le medicine, le abitudini e decidono se sarà un parto cesareo o naturale. C’è anche chi vieta alla gestante di toccarsi la pancia perché non si crei un legame con il nascituro… Questa industria potente ora preme per sfondare sul mercato europeo. Le sue lobby investono in fonda zioni, in ricerche e forse anche in singole persone perché la maternità surrogata sia raccontata come un gesto progressista. Vendere e comprare neonati: proprio un bel progresso!».

Con lo stesso tono indignato, quasi con le stesse parole, nel libro appena uscito, La fine della madre, Lucetta Scaraffia – che di sinistra non è – nel capitolo Donne in vendita descrive le gestanti indiane rinchiuse «come animali da allevamento, lontane dai loro figli, espropriate del proprio corpo due volte». Poi in un sol colpo fa fuori il politicamente correttori contraccettivi e la rivoluzione sessuale tutta. Ma sulla “transazione impossibile” la sintonia con Tavella e le altre è perfetta.

ORACOLI E BLOGGER

Contro la Gpa si è pubblicamente schierata anche la filosofa Luisa Muraro, ritenuta l’oracolo della differenza sessuale (ultimamente ha parlato di omopatriarcato e sono state scintille); poi ci sono la giornalista e blogger Marina Terragni, la studiosa Francesca Izzo di “Se non ora quando-libere”(“Se non ora quando”, che un tempo gremiva piazza del Popolo, si è diviso per altre ragioni in Libere e Factory), Vittoria Tola dell’Udì, Alessandra Bocchetti, la scienziata Laura Corradi, la sociologa Daniela Danna…

Al di là di questa linea, s’incontra una platea di femministe che condannano lo sfruttamento delle gestanti, ma ritengono accoglibile la versione altruistica della Gpa come “dono” e comunque difendono l’autodeterminazione delle donne: ognuna deve potere gestire il proprio corpo liberamente.

In questa zona e negli immediati dintorni troviamo Grazia Zuffa, Maria Luisa Boccia, la giurista Tamar Pitch, la direttrice di Leggendaria Anna Maria Crispino, la filosofa Caterina Botti, la saggista Cecilia D’Elia. Autrice con Giorgia Serughetti di un altro libro appena uscito, Libere tutte, D’Elia si dice «contrarissima ai divieti» perché «sono quasi sempre inefficaci. La gestazione per altri è una pratica sociale e pone principalmente un tema: quello delle relazioni fra le persone coinvolte, con al centro la gestante. Non possiamo dare per scontato che queste donne siano tutte sfruttate. E poi nella nuova generazione di femministe il timore di essere espropriate della maternità è meno presente».

Un mondo che, per quanto articolato, si è sempre percepito dalla stessa parte, si è spezzato in un al di là e un al di qua dove già il dovere cercare dei ponti mette malinconia. Tavella invita tutte a ripartire da discussioni in piccoli gruppi, anche piccolissimi. Ma quanto alto sia il livello della tensione lo dimostra il timore – manifestato da ambo le parti – di essere male interpretate. Le anti surrogacy, in particolare, guardano con sospetto alla stampa: più d’una allude a un’alleanza gay, quindi maschile, che impedirebbe l’uscita di articoli contrari alla Gpa.

Si vocifera anche di contratti tv stoppati o non rinnovati. In quest’atmosfera surreale è stata vissuta come un affondo del fronte prò Gpa la trasmissione di Michela Murgia con Nichi Vendola (Le nuove maternità, Rai3, ottobre 2017). Pochi giorni fa, Agorà ha mandato in onda un dibattito riparatore. Silenzio dai vertici Rai.

CHI TRADISCE CHI

Dentro il frastagliato mondo Lgbt va anche peggio. Il movimento nazionale non ha prodotto un documento ufficiale, ma le associazioni – nel ribadire la ovvia condanna allo sfruttamento – sono tutte prò Gpa. O in imbarazzo. Aurelio Mancuso, che fu tra i fondatori di ArciGay e si è dichiarato contrario, racconta i suoi giorni difficili: «Sono diventato un traditore. Un reietto. Qualcuno ha messo mano alla mia biografia su Wikipedia scrivendo: “…dal 2015 assume posizioni sempre più distanti dal movimento Lgbt” e prima c’era pure scritto “…tradendo le sue battaglie”. E io sono uno che il movimento ha contribuito a costruirlo».

A scandalizzare Mancuso non è il denaro in gioco (130 mila dollari il costo standard in California per un bebé), «bensì il fatto che due maschi abbiano bisogno di soddisfare il bisogno di genitorialità usando il corpo altrui, che guarda caso è il corpo di una donna, la quale rinuncia a tutti i diritti sul bambino, non può proprio metterci becco. Poi dicono: manteniamo la relazione via Skype. Seeee, a undicimila chilometri di distanza».

Che c’entra Skype? A sottolineare che non si tratta di compravendita ma di un dono, i bambini di alcune coppie comunicano attraverso internet con la “madre surrogata”. Per esempio, nella famiglia romana di Tommaso Giartosio e Gianfranco Coretti, la ragazzina di 12 anni e il maschietto di 9 sanno da sempre che a partorirli è stata Nancy, un’infermiera canadese già madre di quattro figli.

Ma sanno che ha ricevuto del denaro? Giartosio, scrittore e conduttore di Fahrenheit (Radio3): «A Lia l’ho spiegato da poco, per evitare che lo scoprisse senza che fosse preparata. Le ho detto che Nancy ci ha fatto un grande dono, ma che è stato faticoso, impegnativo, e ci è sembrato giusto ripagarla in qualche modo». Reazioni? «Tranquillissima». Giartosio e Coretti, membri delle Famiglie Arcobaleno, con Vendola sono ritenuti gli alfieri della Gpa: «Ne siamo orgogliosi. La nostra è un’esperienza legittima e giustificata»

LA TEMPESTA PERFETTA

L’attenzione di tutti ora si concentra su Arcilesbica e il congresso dell’8 e 9 dicembre a Bologna: quasi un test. «Siamo lacerate da quando una parte di noi ha concluso che la Gpa altruistica non esiste» dice da Milano Cristina Gramolini, insegnante, «il denaro è sempre centrale, anche quando lo si camuffa con la parola rimborso». Gramolini racconta tristemente di essere bersagliata di insulti da parte dei maschi gay.

La misoginia ha rialzato la testa? «Non amano sentirsi dire la verità, cioè che si va in America o in Ucraina per portare a casa un figlio senza madre». Sull’altra sponda del fiume, Lucia Caponera, presidente di Arcilesbica Roma, è fra le sostenitrici di Riscoprire le relazioni, la mozione che chiede la regolamentazione e respinge i divieti. Propone che la gestante possa recedere dal contratto. E ritiene decisivo per le lesbiche stare nel movimento nonostante i contrasti.

Ma Gramolini non è d’accordo: «Se il sì alla Gpa diventa la posizione del movimento, io sono fuori. Mica senza i gay finisce la storia». Così, nel suo piccolo, a sinistra s’avanza l’ombra di un’altra scissione. E i bambini? In Italia vengono registrati con vari escamotage o tacendo sulla loro origine. Ora però la Consulta è chiamata a rispondere su un caso decisivo: è da considerarsi madre la signora milanese che sei anni fa portò dall’India un bebé, dichiarandolo suo e del marito, dopo che un’altra lo aveva partorito?

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Paese che vai prezzi e regole che trovi

Come funziona la Gpa? La madre surrogata riceve un embrione, fecondato in vitro grazie all’ovocita di un’altra donna e al seme del committente o di un donatore. Ucraina, Russia, Georgia, Repubblica Ceca, Portogallo, Nigeria, Usa (in alcuni Stati), Israele, Sudafrica e Iran permettono la Gpa commerciale.

Olanda, Belgio, Nuova Zelanda, Australia, Canada, Irlanda e Gran Bretagna consentono solo quella altruistica (è previsto un rimborso spese; in Australia e in Gran Bretagna la gestante può cambiare idea e tenere il bambino).

Messico, India, Thailandia e Nepal, dopo gli scandali, l’hanno vietata agli stranieri. In Grecia è vietata alle coppie gay ed è autorizzata solo per ragioni mediche. I prezzi? In Ucraina meno di 50 mila euro, negli Usa anche 150 mila. L’Italia, davanti alle coppie gay che tornano dall’estero, riconosce come genitore solo chi ha un legame biologico con il bambino.