Il conformismo che nega il no all’utero in affitto

Avvenire 1 Dicembre 2017

Un sondaggio chiaro e le letture interessate

di Lucia Bellaspiga

Il piacere dell’onestà è (anche) leggere in modo retto i dati di un sondaggio, specie quando tocca argomenti epocali. E il sondaggio nella fattispecie riguarda la pratica dell’utero in affitto, illegale in Italia e nella stragrande maggioranza dei Paesi, anche se il business preme e le cifre a cinque zeri (tanto “costa” ogni bambino “prodotto”) muovono gli interessi di lobby decise a tutto.

Il no dal mondo della cultura, dello spettacolo, della politica è sempre più trasversale e dichiarato, ma quale fosse la posizione della popolazione nel suo insieme non era dato sapere, fino a quando le dirette interessate, le donne, hanno commissionato il primo sondaggio del genere: la “Rete 1 Ottobre” (Se non ora quando Libere, Rua Resistenza all’Utero in affitto, Arcilesbica nazionale, Udi Unione Donne Italiane, Resistenza Femminista ecc.) ha raccolto i fondi e incaricato l’Istituto Ixè, che ha intervistato un campione di 800 maggiorenni equamente distribuiti per genere, età, istruzione, zona geografica e ampiezza del centro abitato. Ieri i risultati.

Il 48% degli italiani è incondizionatamente contrario a un’ipotetica legalizzazione della maternità “surrogata”, e un altro 23% sarebbe favorevole solo se avvenisse gratuitamente, il che equivale a un no, poiché su molte decine di migliaia di bambini venuti al mondo in questo modo i casi di donazione del proprio figlio sono ovviamente così sporadici da rasentare percentualmente lo zero.

In totale, quindi, il 71% degli italiani vuole che nel nostro Paese continui ad essere reato ciò che avviene in altre regioni del mondo (le stesse in cui, pur di rado, si recano anche cittadini italiani e, attraverso escamotage, tornano con il figlio acquistato; “graziati” poi da sentenze creative che “baipassano” la legge e ci mettono una pezza a cose fatte).

Favorevole all’utero in affitto è però un 18%, che ammette il vero e proprio pagamento o un generico “rimborso spese” (termine peraltro dietro il quale oggi si mascherano le famose cifre a cinque zeri sborsate alle agenzie specializzate nella tratta delle nascite).

Se si passa dalla teoria alla pratica, ovvero si chiede agli italiani se in caso di infertilità si servirebbero loro stessi di una madre “surrogata”, il crollo dei sì è verticale: solo il 6% sarebbe disposto, e la percentuale scende al 4% se il contratto fosse a pagamento. Altro dato positivo è che fi 61%, piuttosto che al figlio comprato, ricorrerebbe invece all’adozione, percentuale che sale al 71% tra i più giovani (18-24 anni).

Seguono a distanza un 24% che proverebbe la fecondazione assistita e un 19% che rinuncerebbe del tutto ai figli se non venissero naturalmente. Nette anche le opinioni con cui la gente definisce l’utero in affitto: un atto di compravendita, la peggiore forma di potere sulle donne povere usate come contenitori di bambini, una pratica disumana, pericolosa per le madri e i nascituri ecc, nella stragrande maggioranza delle risposte…

Sopravvive però una fetta di persone che credono alla favola della gratuità, convinti (perché qualcuno lo scrive, anche sui maggiori quotidiani) che davvero esistano decine di migliaia di donne disposte a partorire figli e regalarli. La retorica del dono, grottesca e bugiarda, miete ancora le sue vittime.

La coltre di silenzio che tuttora copre il fenomeno è lamentata dal 49% di persone che dicono di essere poco informate sul tema: un quadro realistico e desolante, che ben descrive il timore di molti media nel raccontare le storie vere di maternità “surrogata”, che sono i contratti disumani e schiavisti, le tragedie delle donne, gli ordini degli acquirenti cui devono obbedire nei mesi di “affitto”, e il modo in cui dopo il parto il bambino viene loro sottratto (azione che i regolamenti comunali vietano persino per i cuccioli di cane).

E poi i rischi per la salute, il bombardamento di ormoni, il degrado in cui le ricche agenzie le vanno a reclutare. Se ne parla poco e se ne parla male. In tivù non se ne parla affatto. Ecco perché qualcuno ancora può credere ingenuamente all’atto di generosità”: urge informare, far sapere, dare voce alle vittime, aprire a un dibattito serio, onesto, scevro da ideologie, mirato esclusivamente a far luce sui fatti reali.

Questi i dati del sondaggio, talmente scomodi da meritare da una parte il silenzio mediático che li ha accolti, dall’altra i titoli fuorviami (“Sull’utero in affitto italiani divisi”, per fi Corriere) o la stizza di siti (gaypost.it) secondo i quali il sondaggio sarebbe solo il capriccio di “pasionarie”. Contrarie “alla genitorialità maschile”.